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 2016  ottobre 30 Domenica calendario

LA TERZA ESPANSIONE RUSSA

In una recente corrispondenza da Istanbul per «Le Monde», Marie Jégo ha attirato l’attenzione sulla singolare iniziativa presa dalla stampa turca filogovernativa, la quale ha pubblicato le carte geografiche dell’Impero ottomano prima della sconfitta nella Grande guerra. I giornali hanno ricordato all’opinione pubblica interna che Mosul e Kirkuk, nonché l’intera Siria, un tempo appartenevano all’impero turco. Un influente commentatore politico, vicino al presidente Erdogan, ha scritto che il Nord dell’Iraq e la Siria debbono considerarsi il cortile di casa della Turchia, così come Putin considera lo spazio della defunta Urss la naturale sfera d’influenza della Russia. In effetti, vi sono analogie tra i sogni imperiali del sultano di Ankara e i progetti dello zar di Mosca, se non altro per il linguaggio antioccidentale che li accomuna.

A lungo Barack Obama e le cancellerie europee hanno sottovalutato i proclami e gli atti imperiali di Vladimir Putin, scorgendovi una rude espressione dell’orgoglio nazionale russo. Neppure l’invasione e lo smembramento dell’Ucraina, uno Stato sovrano grande come la Francia, hanno aperto gli occhi ai governanti e all’opinione pubblica dell’Occidente. Soltanto adesso Obama e alcuni governi europei, non quello italiano, sembrano aver capito chi è davvero e cosa vuole il signore del Cremlino. Ma ciò è avvenuto soltanto dopo infiniti segnali inquietanti, dalle provocatorie esibizioni degli aerei militari di Mosca alla montante isteria guerrafondaia in Russia, dalla rozza intromissione nella competizione elettorale americana ai crimini di guerra contro la popolazione civile di Aleppo.

Dopo aver intonato spesso un cupo lamento sulla fine dell’Urss, negli ultimi anni Putin è andato annunciando con voce tonante la necessità per la Russia di riarmarsi e di tornare da protagonista sulla scena internazionale. Aprendo il 5 ottobre i lavori del suo docile Parlamento, egli ha ribadito il diritto storico della Russia ad «essere forte». Tale messaggio ricorda quanto avvenuto parecchie volte nella storia dell’impero eurasiatico, assurto con Pietro il Grande al rango di potenza europea e mondiale. Alberto Ronchey coniò la calzante formula di «superpotenza sottosviluppata» per designare i tratti peculiari dell’Urss poststaliniana, pronta a rivaleggiare con gli Usa nella corsa al riarmo, ma incapace di garantire un livello di vita decoroso ai suoi abitanti. L’economia statalizzata destinava le migliori risorse e le più progredite tecnologie al settore militare, garantendo il benessere della casta privilegiata e trascurando i bisogni della popolazione comune.

L’odierno capitalismo mafioso e parassitario, che ha sostituito la pianificazione burocratica, ha logorato il vecchio tessuto produttivo, generando stridenti diseguaglianze e diffuse sacche di povertà. Gli alti prezzi del petrolio e del gas hanno rimpinguato, per alcuni anni, le casse dello Stato. Putin ne ha approfittato per potenziare la capacità bellica del Paese, senza curarsi di ammodernare l’economia e di tutelare i ceti meno abbienti. Così, oggi la Russia dispone nuovamente di armi sofisticate e altre ne prepara, come il nuovo missile intercontinentale Satan 2; ma carenti restano la tecnologia civile e la medicina. Ci sarebbero tutti i presupposti per una violenta esplosione della collera popolare, come tante volte è accaduto nella storia russa. Invece — ecco il miracolo operato da Putin — la gente si stringe intorno al suo zar, sfogando contro l’Occidente frustrazione e rabbia. Come mai? La risposta si trova nelle parole del giornalista tedesco Christian Neef: «Il patriottismo offre anche ai più umiliati russi della provincia, privi di diritti, un sentimento di superiorità sulle persone che vivono in Paesi di gran lunga più democratici e opulenti. Essi si rallegrano quando Putin fa di nuovo volare sull’Atlantico bombardieri a lungo raggio, e parla giorno dopo giorno di “armi miracolose”; e quando l’Occidente ha di nuovo paura della Russia» («Der Spiegel», 28 marzo 2015).

Perché un Paese gigantesco, che dopo la fine dell’Urss non è stato invaso né minacciato da nessuno, non sa utilizzare saggiamente le proprie immense risorse? Se diamo uno sguardo alla storia, vediamo che il primo grande sforzo produttivo si ebbe all’inizio del Settecento per iniziativa di Pietro il Grande, impegnato nel grande duello con la Svezia per il dominio sul Baltico. Oltre a introdurre costumi occidentali, lo zar creò in breve tempo un apparato industriale, decuplicando il numero delle fabbriche e manifatture. Create dallo Stato, esse si reggevano sulle commesse statali, lavoravano per la guerra e adopravano manodopera servile. Si trattava d’una industrializzazione drogata e diretta dall’alto, volta a finalità belliche e basata su una tremenda pressione fiscale, che esaurì il Paese suscitando malcontento e rivolte. Inoltre, Pietro consolidò ed estese la servitù della gleba, che in Occidente s’era estinta o stava morendo. Su tali basi egli creò l’impero, assumendo nel 1721 il titolo di imperatore. La Russia divenne una grande potenza espansionistica, dotata d’un temibile esercito e partecipe dei grandi giochi diplomatico-militari. Ma la società russa, al di là della occidentalizzazione di facciata, restava arcaica e arretrata era l’economia.

I successori di Pietro ampliarono ulteriormente i confini dell’impero, senza avviare un reale rinnovamento. Soltanto negli ultimi decenni dell’Ottocento sorse una più solida base industriale e l’influsso europeo si fece maggiormente sentire. Il terremoto del 1917 portò poi alla disgregazione dell’artificioso e anacronistico impero russo. Ma la «prigione dei popoli» fu in parte ricostruita dai bolscevichi, i quali ne rinnovarono le basi ideologiche, sostituendo alla religione ortodossa e al culto dello zar il messaggio falsamente universale del comunismo, in cui si celava il nocciolo duro dell’imperialismo zarista.

Aggredendo l’Urss nel 1941, Hitler paradossalmente salvò l’impopolare regime comunista, e contribuì enormemente alla mirabolante espansione dell’impero di Stalin. La Seconda guerra mondiale ebbe un’altra importante conseguenza: la nascita dello spirito patriottico in un Paese i cui ceti popolari prima erano rimasti sordi alla sirena patriottarda e avevano sempre avversato i signori di turno, nobili o comunisti che fossero. Invece, dopo la «Grande guerra patriottica», il culto sciovinistico di Stalin cominciò ad attecchire tra i russi, fieri della marcia trionfale dell’Armata rossa in Europa. Fu allora che si forgiò un’identità nazionale, o meglio nazionalista.

La coscienza sciovinistica dei russi andò affievolendosi, fin quasi a scomparire, in seguito alle attese deluse di un benessere economico che non giungeva mai. Cominciò a diffondersi tra gli abitanti delle grandi città l’ammirazione del livello di vita occidentale, tanto superiore al loro. La fine dell’Urss portò all’insorgere di frustrazioni e fobie, generate dal peggioramento delle condizioni di vita e dal sentimento d’umiliazione per la perdita, dai russi giudicata iniqua, di territori etnicamente e culturalmente non russi. Il retaggio della propaganda comunista fece sì che molti cominciassero a rovesciare sugli stranieri la colpa dei loro mali e della loro incapacità, radicata in secolari vicende storiche, di dar vita a una società e a uno Stato moderni e civili. Putin ha saputo cavalcare per le sue ambizioni imperiali gli umori antioccidentali dei suoi compatrioti. I russi, da sempre alla disperata ricerca d’una identità nazionale, l’hanno oggi trovata nel furore sciovinistico. Ad alimentare una siffatta identità contribuisce grandemente la Chiesa ortodossa di Mosca, alleata del potere politico.

La Russia di Putin è ancora, al pari dell’Urss, una potenza sottosviluppata. Ma vi sono importanti differenze. L’arsenale convenzionale non ha raggiunto il livello dell’epoca sovietica, e il poderoso complesso militare-industriale è solo un ricordo del passato. Ma Putin è popolare, come non lo è stato nessun capo sovietico dopo Stalin, e possiede un terrificante arsenale nucleare. Mentre la direzione collegiale nell’Urss poststaliniana rappresentava, in fondo, una garanzia contro follie individuali, Putin è solo al comando; e paiono sinistre le sue reiterate minacce di premere il grilletto atomico. L’angosciosa speranza è che gli Stati Uniti e la Nato sappiano assolvere l’arduo compito di fermare il capo del Cremlino senza mettere a repentaglio la sopravvivenza del genere umano.