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 2016  ottobre 29 Sabato calendario

LA CINA DEGLI ORFANI BIANCHI

La Cina non smette di sorprendere. Da tempo ha cessato di farlo per i dati economici, se si escludono investimenti pubblici interni e internazionali che sembrano senza limiti e che stanno gonfiando a dismisura una bolla di crisi potenziale in un Paese senza strutture solide. Una bolla che, espandendosi, mette in luce come lo sviluppo sia stato pagato con sacrifici immensi dalla popolazione meno protetta e che questo processo continui ancora, con effetti moltiplicatori. Effetti che sono proporzionati alla scala della popolazione cinese, che ha raggiunto 1,4 miliardi di individui. E che discendono anche dalle priorità della leadership, che tiene al centro la salvaguardia del controllo esercitato dal Partito comunista. Se la contrazione produttiva e le necessità di bilancio statale vanno spopolando di impianti e dipendenti le immense periferie industriali delle metropoli del Sud, questo pone un fardello insostenibile su milioni di individui e sulle loro famiglie che già pagano un prezzo elevato per briciole di benessere. Con una migrazione interna massiccia che le convulsioni produttive e occupazionali non possono che incrementare. E qui emergono le nuove sorprese, non positive, del colosso cinese.
I dati dell’ultimo Rapporto nazionale sulle migrazioni interne sono di grande interesse, perché confermano una realtà di grande mobilità interna, seppure sottoposta a restrizioni, che sfida sempre più demografia e statistiche ufficiali, ponendo un peso sempre maggiore su risorse pubbliche e servizi. In particolare quelli delle metropoli. Tra le problematiche emergenti, va acquisendo una valenza emergenziale quella dei ’figli abbandonati’, ovvero dei minori che per buona parte dell’anno vivono separati da genitori che perlopiù cercano fortuna nelle città costiere. Dal rapporto emerge che nel 2015 sono stati registrati 247 milioni di lavoratori migranti sparsi sul territorio cinese con una età media di 29,3 anni. Una media inferiore a quella della popolazione complessiva, ma che va rapidamente invecchiando, dato che solo nel 2013 l’età media era di 27,9. Un settore della popolazione potenzialmente dotato di una maggiore prolificità, favorita dall’apertura a una discendenza più numerosa ormai ufficializzata in sostituzione dell’ultra-trentennale ’politica del figlio unico’.
S ono 61 milioni i giovani cinesi delle aree rurali – per oltre un terzo con meno di 17 anni d’età – che vivono affidati alle cure di parenti più anziani oppure in piccole comunità sotto una precaria sorveglianza di adulti. Un numero tre volte superiore a quello del 2000. Un numero che i dati del rapporto compilato dalla Commissione nazionale per la Sanità e la Pianificazione familiare evidenziano, al di là delle finalità pratiche dell’iniziativa, come uno dei costi maggiori in termini umani della crescita cinese.
Perché alla base di questa situazione sta l’impossibilità per i genitori di avere con sé nelle località di impiego i propri figli, data la difficoltà di avere documenti regolari e quindi di garantire loro l’accesso a servizi scolastici e cure mediche. Le condizioni esistenziali degli immigrati nelle metropoli come Pechino Shanghai e Guangzhou (Canton) sono un altro ostacolo, per la loro essenzialità e precarietà, refrattaria alla presenza di giovani sovente vulnerabili. I due terzi dei migranti guadagnano tra 2.000 e 5.000 yuan al mese (tra 270 e 680 euro), con una media di 4.500 yuan per gli uomini e 3.411 yuan per le donne.
Una realtà difficile da immaginare su questa scala, che provoca effetti choccanti per gli stessi cinesi. Nella memoria collettiva si è fissata la tragedia del giugno 2015, quando quattro bambini tra i 5 e i 13 anni di età , parte di una stessa famiglia priva dei genitori emigrati, si suicidarono ingerendo pesticida a Bijie, nella provincia di Guizhou. Tre anni prima, cinque ragazzi lasciati a se stessi erano stati uccisi dal monossido di carbonio diffuso da un fuoco di carbone che avevano acceso per scaldarsi all’interno di un cassonetto dell’immondizia. Nel giugno dello stesso anno, due bambine di uno e tre anni erano morte di fame nella provincia di Jiangsu, perché il padre era in carcere e la madre, tossicodipendente, le aveva abbandonate. A turbare in questo caso fu soprattutto il disinteresse della comunità verso le piccole. Pochi giorni dopo, due fratellini la loro sorella affidati a una nonna erano annegati in uno stagno del loro villaggio della provincia dello Jiangxi.
«Q ueste tragedie e i titoli di giornale creano sentimenti negativi nella società – aveva segnalato allora Tong Xiaojun, docente di Scienze politiche citato da vari media –. Il Paese ha bisogno di avviare con urgenza un sistema di assistenza per i più deboli». Ove necessario, suggeriva l’esperto, avviando una collaborazione con organizzazioni internazionali del calibro di Save the Children e Unicef, già presenti ma sovente limitate nelle loro potenzialità dalla volontà di controllo ufficiale. Ancor più di quelle citate, le province più interessate dal fenomeno sono quelle di Anhui, Henan e Sichuan, non a caso quelle a più alta densità migratoria nel Paese, dove il 44 per cento dei bambini vive senza uno o entrambi i genitori. Una percentuale da confrontare con la media nazionale del 35,6 per cento. L a reazione ufficiale, stimolata da dati pesanti in sé e diffusi oggi con maggiore frequenza, è stata finora debole. Non sono bastate a smuovere politici e opinione pubblica le storie terribili riportate dai mass media circa le terribili condizioni esistenziali, le difficoltà psicologiche, lo sfruttamento, gli abusi, i rischi di tratta e l’abbandono scolastico. Lo scorso febbraio, il Consiglio di Stato, organismo facente funzioni di esecutivo, ha sollecitato le autorità locali a migliorare le condizioni fisiche e psicologiche dei minori lasciati a casa dai genitori, ma i risultati sono ignoti. A maggio, uno studio condotto dall’accademico Zhang Dandan su un campione di 1.200 criminali in carcere ha evidenziato che il 17 per cento ha avuto un’infanzia e una gioventù da «bambini abbandonati». «Un gran numero di essi ha lasciato la scuola in età precoce e ciascuno ha avuto poca o nessuna cura parentale successivamente». Di conseguenza, proseguiva Zhang, «l’esperienza di abbandono ne ha influenzato le azioni criminali».
In modo crescente gli organi di informazione, social media e blog criticano le politiche governative che continuano a favorire la crescita economica e a incentivare il ruolo del partito-Stato, ma ignorano il benessere dei lavoratori migranti e della loro prole.
Sono in tanti a chiedere che ai figli lasciati indietro da chi emigra per lavoro sia consentita una educazione adeguata durante il tempo della lontananza dei genitori e che sia attuata una profonda riforma del sistema di registrazione delle famiglie ( hukou) per consentire a più giovani di vivere con i genitori e di frequentare le scuole fuori dai distretti di origine. La Cina che non smette di sorprendere per le sue enormi contraddizioni ha urgente bisogno di curare le sue ferite sociali.