Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 29 Sabato calendario

BUONI AFFARI DI FAMIGLIA

Le aziende familiari italiane hanno da sempre scarsa propensione a quotarsi in borsa. Ma quando sbarcano a Piazza Affari realizzano performance migliori o peggiori delle altre? Per rispondere al quesito, Milano Finanza ha chiesto a Cellino & Associati sim di fare un confronto su diversi archi temporali (uno, due, tre, cinque e dieci anni) utilizzando il Global family business index (Gfbi), elaborato dall’Università di San Gallo (Svizzera), che comprende le 500 maggiori imprese familiari al mondo. Rientrano in questo indice le società controllate per oltre il 50% da un gruppo familiare. Oppure, se quotate, per almeno il 32%. Delle 500 maggiori realtà censite, 181 sono dell’Eurozona e, tra queste, le 66 quotate facenti parte del campione dell’analisi.
Dall’indagine è emerso che le aziende familiari in media garantiscono un total return (pari alla performance del titolo+il rendimento della cedola) superiore alle altre. Da uno sguardo alla tabella pubblicata in questa pagina, si può notare come il divario sia rilevante in tutti i nove Paesi analizzati (Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda Portogallo e Spagna), ma soprattutto in Italia. In sintesi, con l’eccezione di Belgio e Olanda, le società familiari hanno realizzato performance decisamente migliori dei mercati di riferimento.
Per esempio, negli ultimi 12 mesi le aziende familiari hanno accusato sul listino milanese un calo del 10%, la metà di quello evidenziato dell’indice Msci Italy (-20%). Il vantaggio si conferma anche su due anni (+13% medio annuo contro -2,9%), tre anni (+3,3% contro -1%), cinque anni (+10,9% contro +3,9%) e dieci anni (+1,4% contro -4,4%).

Più in dettaglio, la migliore in assoluto a dieci anni è stata Danieli & C, (+122%), seguita da Luxottica (+112%) e da Exor (+95%). A cinque anni sul podio ci sono invece Buzzi Unicem (+176%), Banca Mediolanum (+175%) ed Exor (+151%), mentre a tre anni dominano Italmobiliare (+118%), Saras (+79%) ed Erg (+41%).


In Europa il primo in classifica è il gruppo tedesco Dürr (specializzato in tecnologia medicale) che fa capo all’omonina famiglia, con una performance a dieci anni del 729%, seguito da Bechtle (+700%) della famiglia Schick, focalizzato nel settore It (Information technology) e dal gigante portoghese della grande distribuzione Jeronimo Martins (+609%). «Prima di sancire la superiorità del capitalismo familiare, occorre però approfondire la composizione del campione», fa notare Silvio Olivero, responsabile dell’ufficio studi di Cellino & Associati sim. «Siamo reduci da una crisi che ha colpito in modo profondamente asimmetrico i diversi settori economici. In particolare, il settore bancario ha pagato un prezzo altissimo, e altri comparti, come il minerario, hanno subito forti cali per effetto del crollo dei prezzi delle materie prime, energetiche e non. Molti altri settori invece, dopo i forti ribassi del 2008-2009, hanno recuperato fino a raggiungere nuovi massimi storici». Fra le 66 società del campione non c’è alcuna banca e solo sei appartengono al settore minerario-petrolifero, mentre i comparti in questione hanno un peso molto rilevante in tutti gli indici nazionali. Una parte della sovraperformance osservata potrebbe quindi dipendere da questa distorsione.

Non si può escludere una supremazia del modello familiare di gestione delle imprese, ma l’evidenza è certamente meno netta di quanto possa emergere da un’analisi superficiale. Del resto lo studio ha un valore di prima approssimazione e, comprendendo solo le aziende più grandi e quotate, esclude le piccole imprese familiari e quelle grandi non quotate. In ogni caso si può asserire che, almeno in parte, la miglior tenuta nel corso della crisi delle imprese familiari è dovuta al fatto che queste sono poco presenti nei settori che hanno perso di più sui listini. «La ricerca consente anche di constatare come alcuni criteri di composizione dei portafogli, molto in voga in questi tempi, abbiano acquistato visibilità in virtù della peculiarità della crisi in corso. Scegliere titoli ad elevato dividendo, mid-cap, indici equalweight o, come simulato in questo caso, società familiari, si sarebbe rivelata negli ultimi anni una buona scelta, anche perché questi criteri avrebbero ridotto la quota di titoli problematici, aumentando invece il peso di settori che si sono rivelati vincenti», aggiunge Olivero. Queste strategie potrebbero rivelarsi efficaci anche in futuro, solo se le particolari condizioni che si sono realizzate negli ultimi anni si dovessero ripetere.