Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  ottobre 29 Sabato calendario

IL MIRACOLO DROGATO DELLA SPAGNA DI RAJOY

Meglio vivere nella Spagna di Rajoy che riacciuffa un governo dopo 300 giorni di caos politico ma con un Pil che cresce annualmente del 3,2% (dato tendenziale del 3° trimestre 2016)? O meglio vivere in Italia con un esecutivo stabile da due anni e mezzo e ciò nonostante con un Pil che aumenta soltanto dello 0,7% (dati tendenziali relativi al 2° trimestre di quest’anno)? La domanda appassiona molti e secondo alcuni la maggiore crescita della Spagna dimostrerebbe straordinarie doti intrinseche di resilienza e competitività del Paese iberico a fronte della cronica debole performance italiana, nonché, implicitamente, un presunto scarso impatto delle politiche economiche adottate dal nostro Governo.
La realtà è molto più complessa di quanto il lettore possa immaginare e piuttosto diversa da come appare dalle statistiche del Pil, che spesso nascondono il contributo di fenomeni che poco hanno a che fare con variabili virtuose come la competitività, la produttività o il rigore fiscale. Su quest’ultimo punto, perlomeno, non dovrebbero esserci dubbi, visto che nel 2015 la Spagna ha avuto un deficit pubblico del 5,1% contro il 2,6% dell’Italia. Se l’Italia lo scorso anno avesse potuto presentare un deficit del 5,1% come la Spagna, Europa permettendo, avrebbe avuto a disposizione grosso modo 42 miliardi di euro correnti in più da immettere nell’economia e a quel punto anche la nostra crescita reale sarebbe stata all’incirca intorno al 3%. In aggiunta, nel primo semestre di quest’anno l’Italia ha ridotto il deficit pubblico di 4,6 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2015 abbassandolo a 19,3 miliardi mentre la Spagna l’ha aumentato di 3 miliardi portandolo a 34,2 miliardi!
Le statistiche economiche non sempre sono di facile lettura. In una serie di articoli recenti abbiamo dimostrato che, senza variazioni dei consumi finali della Pubblica Amministrazione (che sono molto aumentati negli altri Paesi dell’Eurozona mentre sono diminuiti in Italia), negli ultimi 6 trimestri la crescita del Pil in Italia sarebbe stata all’incirca uguale a quella di Germania e Francia. Abbiamo anche visto che dietro il miracoloso boom dell’Irlanda (magnificato da molti) in realtà ci sono quasi unicamente enormi aggiustamenti contabili che hanno inglobato di punto in bianco nel Pil irlandese, a partire dal 2015, l’attività economica di multinazionali che si sono localizzate nell’isola unicamente per ragioni fiscali.
Per quanto riguarda la Spagna, al di là della forte crescita del suo Pil chiaramente aiutata dal deficit pubblico, la domanda chiave che bisogna porsi circa il miracolo iberico, altrettanto lodato frettolosamente da molti commentatori di quello irlandese, è principalmente la seguente: rispetto a prima della crisi i cittadini spagnoli vivono oggi meglio o peggio in confronto a quelli italiani? A questo quesito possiamo tentare di rispondere analizzando tre indicatori. Il primo è l’andamento trimestrale in termini reali dei consumi delle famiglie in Italia e in Spagna dal 2007 ad oggi (misurato in base ai dati destagionalizzati e aggiustati per il calendario).
In Italia i consumi trimestrali delle famiglie (a valori concatenati 2010) sono diminuiti dell’8,1% tra il secondo trimestre 2007 e il secondo trimestre 2013, scendendo da 249 miliardi a 228,9 miliardi di euro. Poi sono risaliti del 3,3% fino al secondo trimestre 2016 toccando quota 236,4 miliardi. In Spagna invece i consumi privati dopo aver registrato un picco di 163,8 miliardi il primo trimestre 2008 hanno avuto una caduta ininterrotta del 14% fino al secondo trimestre 2013 quando sono sprofondati ad un minimo di 140,9 miliardi. Da allora fino al secondo trimestre 2016 sono poi cresciuti del 7,7%, dunque molto più che da noi, fino a quota 151,8 miliardi. Ma non per questo i cittadini spagnoli se la passano meglio di quelli italiani.
Infatti, la caduta dei consumi privati è stata più forte nel Paese iberico che da noi durante la crisi. Sicché è naturale che in seguito, rispetto al punto di minimo, il recupero spagnolo dei consumi sia stato più intenso di quello italiano (contribuendo notevolmente anche al differenziale di crescita del Pil tra Madrid e Roma). Però, nonostante la loro ripresa più forte, i consumi delle famiglie spagnole restano tuttora inferiori del 7,3% rispetto ai valori pre-crisi, mentre quelli delle famiglie italiane lo sono soltanto del 5%. Ciò non è certo una sufficiente consolazione per noi ma è comunque cosa ben diversa dal pensare che la situazione economica della Spagna sia un paradiso mentre quella italiana sia un inferno.
Il secondo indicatore che considereremo sono i consumi individuali effettivi (Actual Individual Consumption, Aic), a parità di potere d’acquisto, che l’Eurostat definisce una misura del benessere materiale delle famiglie. Ebbene, nel 2007, fatta 100 la media europea, gli Aic italiani erano pari a 104 contro i 98 della Spagna (e, per un confronto, i 111 della tigre Irlanda). Nel 2015 rispetto alla media europea fatta sempre uguale a 100 gli Aic italiani sono scesi a quota 97 ma sono diminuiti molto di più gli Aic spagnoli a quota 88 (e quelli irlandesi sono crollati a quota 95). Sicché rispetto agli spagnoli (e agli irlandesi) gli italiani consumano oggi comparativamente di più in termini reali che nel 2007. E ciò nonostante la forte ripresa del Pil spagnolo (e quella drogata del Pil irlandese che abbiamo descritto a suo tempo).
Da ultimo, nel confronto Spagna-Italia vale la pena di considerare anche che cosa è accaduto all’occupazione durante la crisi e la successiva ripresa. Analizzeremo qui i dati grezzi delle indagini sulla forza lavoro prendendo in esame tre trimestri omogenei e quindi confrontabili senza operazioni di destagionalizzazione, cioè i secondi trimestri del 2007 (pre-crisi), del 2013 (punto di minimo dell’occupazione) e del 2016 (ultimo trimestre disponibile). Ebbene, tra il secondo trimestre 2007 e il secondo trimestre 2013 la Spagna ha perso 3 milioni e 486 mila occupati mentre l’Italia ne ha persi 1 milione e 52 mila. Poi a tutto il secondo trimestre 2016 la Spagna ne ha recuperati 1 milione e 141 mila mentre l’Italia 718 mila. La differenza tra la Spagna e l’Italia è piuttosto evidente. Il nostro Paese ha ricostituito il 68% dei posti di lavoro persi durante la crisi mentre la Spagna soltanto il 33%. In Italia, in particolare, confrontando i dati grezzi del secondo trimestre 2014 con quelli del secondo trimestre 2016, cioè il periodo del Governo Renzi, la crescita tendenziale degli occupati è stata di 619 mila unità, di cui ben +439 mila nell’ultimo anno grazie al Jobs Act.
Dunque non tutto il Pil che luccica è oro ed altre variabili socio-economiche sono altrettanto importanti per capire se la vita dei cittadini dopo la lunga crisi economica è migliore in Italia piuttosto che in Spagna (o in Irlanda). E se il lavoro del nuovo Governo Rajoy in campo economico d’ora in avanti sarà più facile di quello del Governo Renzi.