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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

GLI ITALIANI FANNO MENO FIGLI? TROPPO NOBILI


Si sono create talmente tante polemiche sulle pubblicità del governo contro il declino delle nascite, che si è finito per parlare più di quelle che di questo. Più del fatto che quelle fotografie erano offensive per le donne o le minoranze etniche (lo erano), che delle ragioni del declino della natalità e su ciò che è possibile fare per arrestare e invertire la tendenza.
Ho già parlato in questo spazio di un apparente paradosso: in Italia calano le nascite, ma sembra essere in calo anche l’uso di tutti i tipi di anticonceziona
li e per fortuna anche le interruzioni volontarie di gravidanza. Forse gli italiani hanno perso nel complesso vitalità, forse la finestra della massima fertilità si sta restringendo in una popolazione che invecchia, o magari è tornato un controllo delle nascite di tipo più antico e poco costoso.
Manca però almeno un tassello, perché niente di tutto questo aiuta a capire perché gli italiani mettono in atto queste strategie. In realtà è impossibile orientarsi, senza gettare uno sguardo all’indietro. I cicli demografici sono molto più lunghi di quelli economici, si sviluppano nei secoli e qualche indizio sulle radici del comportamento degli italiani di oggi si trova forse in quelli dei primi gruppi di popolazioni europee che hanno iniziato a fare sempre meno figli. Le loro ragioni potrebbero essere in parte le nostre.
C’è chi ha studiato i precursori del declino della fertilità in Europa. In un saggio di una quarantina di anni fa (SocialGroup Forerunners of Fertility Control
in Europe, Princeton University Press) il demografo italiano Massimo Livi-Bacci
è andato in cerca di alcuni primi casi di controllo delle nascite di cui resti traccia. Due potrebbero essere illuminanti anche sulle cause delle scelte dei giovani italiani oggi: le aristocrazie nelle grandi città europee dalla fine del ’600 all’inizio dell’800, e le comunità ebraiche in Italia e altrove nel ’700 e nell’800. Questi due gruppi avevano in comune un discreto livello di alfabetizzazione, uno status economico superiore alla media, e l’appartenenza alla popolazione urbana. In entrambi questi gruppi la frequenza delle nascite ha iniziato a calare prima che nel resto della società, e potrebbe essere successo in parte a causa delle stesse che valgono anche oggi in Italia.
Vediamo qualche esempio, degli uni e degli altri casi. A Venezia il tasso annuo delle nascite nella nobiltà locale (circa il 5% della popolazione) cade da 34 o 39 bebé per ogni mille abitanti a metà del 1500, a 27 nell’anno 1642, fino a venti o poco più nella seconda metà del ’700. Anche gli aristocratici inglesi, i «pari» della Corona britannica, iniziano a riprodursi sempre meno e già a metà del ’700 presentano tassi di natalità molto più bassi degli altri sudditi del regno: la dimensione media delle loro famiglie crolla da oltre sette persone a metà del ’500 a cinque un secolo e mezzo più tardi, fino a tre all’inizio del ’900. Qualcosa di simile succede con l’aristocrazia commerciale di Milano o di Genova, o con quella di sangue della Francia pre-rivoluzionaria.
Nel frattempo, rivela Livi-Bacci, il comportamento degli ebrei nelle città italiane è curiosamente molto simile. A Firenze passano da 43 nuovi nati l’anno per mille abitanti nella seconda metà del ’600 a 24 nella prima metà dell’800, a livelli molto più bassi rispetto ai loro concittadini cattolici. A Trieste crollano da quota 51 a quota venti fra la seconda metà del ’700 e la stessa fase del secolo successivo. Storie analoghe si possono raccontare di Livorno, Modena, Padova o Verona.

IL SOSPETTO. Cos’era successo che interessa l’Italia oggi? Forse la ricerca di un futuro assicurato con una vita di rendita, nel caso degli aristocratici; e una limitazione delle dimensioni familiari, nel caso degli ebrei. La nobilità ha frenato il ritmo della riproduzione perché viveva di rendite, e i padri capivano che dovevano limitare il numero dei figli in modo da poter assicurare a ciascuno di essi una congrua eredità. Resta il sospetto che questo possa essere vero anche nei ceti medio-alti dell’Italia di oggi. Quanto agli ebrei, avevano bisogno di avere famiglie più piccole dei cattolici perché avevano meno spazio in casa; per legge, vivevano concentrati nei ghetti. Fino a cinque generazioni fa i cancelli dei loro quartieri venivano chiusi a chiave ogni sera. E resta il sospetto che, fuori dai ghetti, molte famiglie dei ceti medi e bassi limitino oggi le nascite per lo stesso motivo: case troppo piccole.
Un’Italia meno imperniata sulle rendite di posizione e più capace di offrire ai giovani abitazioni a buon mercato otterrebbe dunque forse un risultato prezioso. Ci libererebbe di quelle pubblicità del ministero della Salute.