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 2016  ottobre 28 Venerdì calendario

ORSO BIANCO AVREMO IL TUO SCALPO?


Per quanto tempo ancora potremo vedere lo spettacolo grandioso di questi e altri animali in natura? Scatti di straordinaria bellezza, immagini di grande sensibilità artistica ma anche un’occasione per riflettere sul rapporto fra l’uomo e la biodiversità del nostro Pianeta. Se guardiamo in particolare agli animali di grandi dimensioni, la cosiddetta megafauna, il loro declino è iniziato molto tempo fa e la scienza indica con chiarezza il ruolo avuto dall’uomo. La perdita di megafauna in varie regioni del Pianeta è coincisa con l’arrivo di Homo sapiens. In Australia e Nord America, ad esempio, in concomitanza con la comparsa dell’uomo, tra dieci e tredicimila anni fa, si registrò un netto e rapido crollo delle popolazioni di megafauna, di grandi mammiferi in particolare. Lo stesso accadde più tardi, intorno a un paio di migliaia di anni fa, in Nuova Zelanda e Madagascar. Per il Nord America, a metà degli anni 80, ricercatori dell’Università dell’Arizona hanno tentato una stima dell’impatto dell’uomo sulla megafauna locale. Ipotizzando l’arrivo all’incirca 11.500 anni fa – dalla Siberia attraverso lo stretto di Bering di una prima ondata di un centinaio di paleo-indiani, hanno calcolato che in 300 anni dall’Alaska giunsero ai confini del Messico lasciandosi alle spalle 100 milioni di capi uccisi di megafauna. Nel frattempo, quel centinaio di uomini erano diventati 300.000. Mastodonti, mammut e molte altre specie si estinsero.

Supposte facoltà terapeutiche. Un overkill ovvero la caccia di quegli uomini era tale da non consentire alle popolazioni il recupero numerico con la riproduzione. Che le cose siano andate così è confermato anche da ricerche più recenti, mentre è quasi abbandonata l’ipotesi che attribuiva la responsabilità di queste estinzioni al clima. Se allora nulla poteva arginare l’estinzione dei grandi animali, oggi, abbiamo una consapevolezza superiore di quelle che sono le minacce che gravano sulla megafauna e dunque su molte delle specie così magicamente colte in queste immagini. Gli elefanti, ad esempio. Sono africani quelli della foto, un bel gruppo sociale, perché è così che vivono gli elefanti. Una ventina di individui che stanno insieme, guidati e comandati dalla matriarca, la femmina più anziana. Sociali, intelligenti, con una bella mente e una ricca emotività. Eppure le popolazioni di elefante africano sono in costante diminuzione, al punto che si teme per la loro scomparsa nel giro di poche decine di anni. È la sete d’avorio la minaccia principale. L’hanno, purtroppo, sostenuto anche all’ultima riunione della CITES in Sudafrica: il commercio illegale d’avorio non accenna a diminuire, il bracconaggio è fiorente e trascina con sé la strage costante dei meravigliosi pachidermi. Lo stesso problema per il corno dei rinoceronti. E pensare che, durante la loro lunga storia evolutiva, è stato la loro valida difesa e ora proprio i corni sono quel tocco che li sta portando all’estinzione. E qui l’uomo, il più temibile tra tutti i predatori, rivela la sua
più assurda superstiziosa irra
zionalità. Sul rinoceronte gra-
va un pesantissimo bracco
naggio per le supposte facoltà terapeutiche della polvere di
corno, usata ancora nella medicina popolare in varie parti
del mondo per curare le più
diverse infermità e per, non
manca mai, il supposto po
tere afrodisiaco. E poi la zuppa di pinne di squalo. Da non credere, eppure per questo piatto, amatissimo in Oriente, si pratica un’intensa pesca illegale, lo shark finning, ovvero la cattura e la rimozione, sul pesce ancora vivo, delle pinne pettorali e dorsali. Se a queste pratiche insensate sommiamo la perdita e il degrado degli habitat elettivi di molte specie, il cambiamento del clima che interferisce a livello globale con le comunità animali e vegetali degli ecosistemi del Pianeta, non possiamo far altro che prendere atto che, Homo sapiens, è ancora, ma stavolta consapevolmente, il responsabile dell’estinzione in atto della biodiversità.

Nelle acque termali. E a chiusura di questa visione catastrofica del futuro che attende il Pianeta, mancherebbe un commento alla bellissima foto dell’orso polare scattata in Alaska, animale simbolo del cambiamento globale del clima. Ma non lo faccio e voglio invece parlare del macaco giapponese in ammollo in acque termali. Perche nella natura c’è anche cultura. E sono il meglio i macachi giapponesi quanto a cultura animale. La loro storia di “animali culturali” è vecchia e nota a partire dall’invenzione del lavaggio delle patate in acqua dolce prima, e, in acqua salata, poi. La scoperta del piacere di un bagno nelle calde acque termali a Jigokudani, tra monti innevati, è diventata un’abitudine di tutta la popolazione. Non solo. Giocano con le palle di neve e immergono in acqua calda la frutta per spellarla meglio. Sotto gli occhi felici e i lampi degli obiettivi dei turisti.
Danilo Mainardi