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 2016  agosto 23 Martedì calendario

QUELLE IPOTESI SUL TAVOLO BCE

Si avvicina il momento delle scelte alla Banca centrale europea per il 2017. È sempre più probabile che si vada verso un quantitative easing flessibile, parametrato alle esigenze delle singole economie.
Alla Banca centrale europea si avvicina il momento delle scelte che definiranno il 2017, in tutta la zona euro e soprattutto nelle aree fragili come l’Italia. Più di un anno e mezzo fa è partito il primo programma di acquisti di obbligazioni — in gran parte titoli di Stato — inizialmente al ritmo medio di 60 miliardi al mese, quindi a 80 includendo anche bond emessi dalle imprese. Senza quell’operazione, che crea moneta per un volume superiore al reddito dell’Italia in un anno, la dinamica dei prezzi in Europa avrebbe rischiato di avvitarsi verso il basso e probabilmente più di un Paese sarebbe stato colpito da un’altra recessione.

Questo però oggi è solo il passato recente, per la Bce e per le banche centrali nazionali del sistema europeo. Il quantitative easing , il programma di interventi, è strutturato in modo tale che il futuro prossimo imporrà nuove decisioni: oggi il piano prevede di continuare gli acquisti «almeno fino al marzo del 2017 od oltre», come non si stanca di ripetere il presidente della Bce, Mario Draghi. Significa che la Banca centrale nei prossimi due mesi dovrà dare indicazioni sui tempi e i modi del quantitative easing oltre il marzo 2017. Se non lo facesse, i mercati dei titoli di Stato potrebbero iniziare a dare segnali di nervosismo. Proprio dieci giorni fa sono bastate voci di stampa sull’ipotesi che dopo marzo la Bce avrebbe ridotto il ritmo degli acquisti per far schizzare verso l’alto di 10 punti (0,1%) il rendimento dei titoli di Stato italiani a lungo termine. Da Francoforte è arrivata subito una (inusuale) smentita. Ma quell’episodio è stato la spia che, a sette anni dall’inizio della crisi del debito sovrano, l’Italia e altri Paesi non sarebbero ancora in grado di sostenersi sui mercati se la Bce decurtasse le dosi della sua medicina.

Di qui la delicatezza del consiglio direttivo della Bce della settimana prossima, perché lì alcune ipotesi saranno sul tavolo in vista di una decisione (probabilmente) per l’8 dicembre. Quella che oggi appare l’opzione più forte non prevede una frenata negli acquisti di titoli di Stato dei Paesi vulnerabili, ma introduce l’ennesima innovazione della presidenza di Mario Draghi: un quantitative easing flessibile, parametrato alle esigenze delle singole economie dell’area secondo il giudizio delle rispettive banche centrali nazionali. In base agli accordi del gennaio 2015, sono queste ultime infatti ad acquistare i titoli e a tenerli sui propri bilanci. Profitti e perdite sui circa 10 miliardi di titoli italiani comprati ogni mese spettano alla Banca d’Italia, così come spettano alla Bundesbank quelli sui 18 miliardi di Bund tedeschi (gli interventi sono di dimensioni più o meno proporzionali al peso di ciascuna economia nell’area euro ) .

In base all’ipotesi di un programma «flessibile», le singole banche centrali potrebbero diminuire gli interventi se credono alle prospettive di ripresa nel proprio Paese. Non ci sono decisioni già prese e questa è solo una delle ipotesi in esame. Ma la Bundesbank su questo punto è aperta, anche in vista di una frenata negli acquisti di Bund tedeschi. Bankitalia, secondo varie ricostruzioni dal resto d’Europa, avrebbe avanzato anche una proposta ulteriore: redistribuire su altri Paesi le quote di acquisti di titoli delle banche centrali che rinunciassero. Ma qui la Bundesbank invece frena, nel timore che i Paesi del Sud Europa finiscano per finanziare regolarmente i loro deficit di bilancio creando sempre nuova moneta .

C’è poi anche un’altra ipotesi, meno avanzata, a cui guardano ambienti della Banca di Francia e lo stesso capoeconomista della Bce, Peter Praet: allargare gli acquisti agli Exchange Traded Funds (Etf), fondi che riflettono gli indici di Borsa. La Bce finirebbe così per comprare azioni di tutte le società quotate in maniera omogenea sui listini dell’area euro, un po’ come fa la Banca del Giappone a Tokyo. Su questo punto la Bundesbank è fredda, mentre la Banca d’Italia sarebbe più aperta; di certo, da Francoforte di recente sono giunti sondaggi presso grandi produttori di Etf per approfondire gli aspetti tecnici di queste eventuali operazioni. In proposito Draghi non si pronuncia, anche se già il 21 luglio aveva fatto notare in pubblico che un crollo di Borsa delle banche è nocivo perché alza il loro costo del capitale, le spinge a limitare il credito e dunque ostacola la politica monetaria espansiva. Per ora questa partita resta molto incerta. In ogni caso, gli acquisti di indici azionari da parte di Francoforte non potrebbero che essere molto limitati .