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 2016  settembre 30 Venerdì calendario

JAVIER CERCAS: «IL ROMANZO È UNA PARTITURA MUTA. LA MUSICA LA FARE VOI»

Io credo che non sia possibile la letteratura senza ambiguità – confessa Javier Cercas – perché la vita è essenzialmente ambigua”. Nel suo ultimo libro, Il punto cieco, pubblicato in Italia da Guanda, Cercas s’interroga sulla natura del romanzo, che definisce “il genere delle domande”, sempre al confine tra la finzione e la realtà.

Il romanzo dev’essere sempre una sorta di indagine, la scoperta di “ciò che è umano”. E come Calvino, Barthes e tanti altri prima di lui, è convinto che la letteratura la faccia il lettore, che sia il lettore a creare il libro, una volta che lo finisce: “Come diceva Valery, il capolavoro non lo fa l’autore, ma il lettore. Allora l’ambiguità è quello spazio creato dall’autore per il lettore, perché il lettore possa entrarci e fare suo il libro. Perché ancora oggi parliamo del Don Chisciotte, di Amleto, di Moby Dick? Perché sono incredibilmente ambigui. Ho appena riletto Infinite Jest di Foster Wallace, lui per me è molto intelligente, è il primo della mia generazione ad aver fatto una critica della postmodernità. Solo che alla fine non è riuscito a uscire da quella postmodernità ed è arrivato a una conclusione pazza, che la letteratura deve dare risposte. Ma l’unica risposta di un libro, se è un vero libro, è che non ci sono risposte, come l’unica soluzione della vita è che non ci sono soluzioni”.

E il lettore, una volta finito un libro, come dovrebbe sentirsi?

Diverso, cambiato. La grande letteratura, per me, cambia il lettore, ci mostra la realtà fisica, la realtà morale, la realtà umana, come se la vedessimo per la prima volta. Non tutti i lettori vedono le stesse cose, per fortuna, più è ambiguo un libro, più chiavi di lettura offre. Qualsiasi lettore può trovare in un libro qualcosa di personale, che lo riguarda. Lichtenberg diceva una cosa bellissima, che il libro è come uno specchio, quello che trova un profeta non può trovarlo un asino. Calvino, che io amo molto, diceva che un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire, i grandi libri sono inesauribili, non finiscono mai.

Come diceva Modiano, il libro è come se fosse il negativo dell’autore, sta poi al lettore svilupparlo nella camera oscura, rendere tutto più chiaro…

Sì, in parte è così, anche se l’immagine che ho in mente è quella di una partitura. Lo diceva un mio professore all’università: la forma la pone l’autore, ma il fondo dipende dal lettore. Io scrivo una partitura, sta al lettore trovare la musica. Se si tratta di un grande libro, si troveranno sempre tante musiche nuove e diverse.

Giocando un po’ con il titolo del suo primo romanzo, qual è stato “il movente”, la ragione che l’ha spinta a diventare uno scrittore?

Credo una sensazione di disagio con me stesso. Io non ho radici, vengo da un piccolo paesino nel sud della Spagna, la mia famiglia era ricca, e a un certo punto, a quattro anni, sono andato al nord. Provavo una sensazione di orfanità, diciamo. Come diceva Pavese, la letteratura è una difesa contro le offese della vita. Da che ricevevo un’educazione cattolica, che la mia vita era tutta organizzata, poi qualcosa è cambiato. Mi sono innamorato di una ragazza e ho cominciato a leggere. Il primo libro che letto era dello scrittore spagnolo Miguel De Unamuno, che in Spagna è una sorta di Pirandello, che parlava di un prete che perde la fede (San Manuel Bueno, mártir). Allora ho cominciato a fumare, a bere birre, e la letteratura è diventata la mia nuova fede.

E finora, pensa di essere diventato lo scrittore che sognava di essere?

A dire il vero, io non pensavo che un giorno sarei diventato uno scrittore. La mia famiglia non aveva tanto a che fare con i libri, gli scrittori mi sembravano un po’ come degli extraterrestri. Per me era un sogno, niente di più. Se qualcuno mi avesse detto che un giorno avrei campato con i miei romanzi, con le mie storie, che sarebbero stati tradotti in tutto il mondo, l’avrei preso per un pazzo. E pensi che in questi giorni sono iniziate le riprese di un film tratto da Il movente, per me è incredibile.

Sta preparando qualcosa di nuovo?

Sì, ho appena finito di scrivere il romanzo che avrei voluto scrivere da sempre, anche prima di diventare uno scrittore, è un’apertura a un altro mondo, la risposta a tutte le domande che mi sono posto scrivendo Soldati di Salamina, c’è una relazione evidente tra i due libri.

E a tutti quelli che adesso, in questo momento, mentre noi stiamo parlando, sognano di diventare scrittori, lei cosa consiglia?

Leggere molto, scrivere molto e non avere fretta di pubblicare troppo presto.

Un po’ come una preghiera…

Sì, la preghiera dello scrittore.