Facebook, bacheca di Guido Melis, 29 settembre 2016
Una cosa che vorrei ricordare sommessamente ai pasdaran della fedeltà al testo costituzionale del 1948 è la discussione in Costituente sull’ipotesi, scartata a larga maggioranza, di ammettere le donne in magistratura
Una cosa che vorrei ricordare sommessamente ai pasdaran della fedeltà al testo costituzionale del 1948 è la discussione in Costituente sull’ipotesi, scartata a larga maggioranza, di ammettere le donne in magistratura. Leggo: "Nel 1947 l’Assemblea Costituente si trovò a decidere se riconoscere o meno alle donne il diritto di svolgere l’attività di magistrati. Il dibattito fu, in numerosi interventi, rivelatore di pregiudizi a lungo sedimentati: “La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche. Questa è la mia opinione, le donne devono stare a casa.” (Antonio Romano) Questi erano i toni diffusi all’interno dell’Assemblea, toni rappresentativi di una cultura che identificava la donna con il corpo e con le sue funzioni riproduttive e la confinava nella sfera domestica. Nonostante ciò e nonostante l’esigua presenza di donne (solo il 4 %) l’Assemblea scelse di mantenere il silenzio su questa specifica questione, stabilendo all’art. 51 che “tutti i cittadini dell’uno e dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Tanto per dire. Niente è eterno, e le Costituzioni, anche le miglori come la nostra, devono poter essere aggiornare ai tempi che cambiano. Bisognò aspettare il 1963 perché le prime 8 donne, responte nel 1946 dai padri costituenti, potessero indossare la toga.