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 2016  agosto 30 Martedì calendario

L’AUTO, LE CITTA E IL RISCATTO RUMENO


Gabriela Firea. Questo nome, a meno che non siate rumeni, non vi dirà nulla (almeno credo). Ma, per chi pensa che l’automobile abbia ancora valenze positive, è una persona da fare santa subito. Di mestiere fa – da poco – il sindaco di Bucarest, è una bella signora di 44 anni, prima di essere eletta svolgeva la nobile arte del giornalismo e, subito dopo, ha avuto il coraggio di dire una cosa straordinariamente impopolare di questi tempi: ovvero, che è giunta l’ora di finirla con la chiusura di strade originariamente pensate e progettate per far scorrere il traffico. Il casus belli è stata una manifestazione chiamata, non a caso, Via Sport, che per sette anni ha imposto la chiusura – durante i weekend estivi – di un viale nel pieno centro della capitale. La Firea non si è neppure accomodata sullo scranno di primo cittadino che subito ha sparato a palle incatenate: «Durante l’ultimo fine settimana, Bucarest era paralizzata non dalle troppe macchine, bensì da una serie di eventi culturali e sportivi tutti invariabilmente organizzati sulle vie cittadine». Sconcerto e stridor di denti. Ma la Firea, incurante delle critiche, ha rincarato la dose: «Non prendo lezioni di civismo da cinque persone che per il proprio diletto impongono a decine di migliaia di automobilisti di perdere tempo in coda». La notizia è rimbalzata sui media di mezzo mondo. Il britannico Guardian ha addirittura spedito un inviato nella capitale rumena per raccontare di persona lo scandalo, descritto con le dolenti espressioni abitualmente riservate a tragiche repressioni etniche.
Effettivamente c’è da trasecolare di fronte all’iniziativa della nostra ex collega, che apre un’inattesa breccia nel granitico fronte europeo del partito antiauto, uso a declinare i propri intenti vagamente persecutori (o la propria incapacità di affrontare in maniera organica il problema del traffico) in mille modi. A Londra come a Milano si usa l’arma della congestion charge (un modo elegante per dire che non ci s’illude di ridurre l’inquinamento, ma perlomeno si è certi di rimpinguare le casse del Comune). A Oslo hanno proposto di espellere dal centro le macchine entro il 2019 e sperano di poter rinunciare ai carburanti fossili entro il 2050 (curiosa scelta per uno Stato che fa dell’estrazione del petrolio la base della propria economia). Madrid e Amburgo stanno spingendo su inediti programmi di valorizzazione del trasporto pubblico. Ma la campionessa dell’estremismo velatamente luddista è senza dubbio alcuno Anne Hidalgo, sindaco di Parigi, che per riflesso identitario con i più basici valori dei verdi o per semplice antipatia ha deciso un’escalation della politica di ostracismo iniziata dal suo predecessore Delanoë. Prima ha inaugurato le giornate senz’auto. Poi ha annunciato di non voler più un solo diesel nella capitale entro il 2020. Infine, dal 1° luglio ha decretato che qualsiasi veicolo immatricolato prima del 1997 (a benzina e gasolio) non potrà circolare tra le 8 e le 20, scatenando furiose polemiche per le modalità in effetti abborracciate (per esempio, le storiche sono esentate, ma a riconoscerne lo status di privilegio dovrà essere la Prefettura: i gendarmi diverranno esperti di Bugatti e Delahaye?).
Istanza politica per eccellenza anche per le sue valenze simboliche (è emblema preclaro d’individualismo nonché bandiera di classe), l’automobile – complice il dieselgate, che ha amplificato oltre misura le latenti perplessità sulle implicazioni ambientali del traffico – soffre in Europa di un pregiudizio che non trova paragoni nel resto del mondo, dove ancora significa affrancamento personale e ambizione sociale. E ciò si riflette nei numeri. Nonostante gli innumerevoli de profundis intonati sull’inevitabile, tragico destino delle macchine private, l’automotive è industria che non accenna a rallentare. Anzi: in dieci anni, tra il 2005 e il 2015, si è passati da una magnitudo produttiva globale di 67 milioni di veicoli a 90,7. Non esiste nessun altro comparto che ha registrato una tale espansione. E a fare ancora più impressione sono i tassi di motorizzazione: sempre negli ultimi dieci anni, nella scettica Europa c’è stato un aumento di appena il 7%, ma in Russia è stato del 57%, in Africa del 31% e in Asia del 123%. La media mondiale è di 180 veicoli per 1.000 abitanti: in tutta l’Asia siamo, oggi, soltanto a quota 79. L’automobile, dunque, magari non nella forma che conosciamo ora, rimarrà protagonista della nostra civiltà ancora a lungo. Forse il sindaco di Bucarest non ha poi tutti i torti.
Gian Luca Pellegrini