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 2016  agosto 25 Giovedì calendario

VENTIMILA EURO PER UNA CASA ANTISISMICA

Mica puoi buttare giù i centri storici e i vecchi paesini di mezza Italia, per poi ricostruirli con tecnologie antisismiche. Si tratterebbe di «distruggere» le case in cui vivono cinque milioni di italiani, sparsi in 6.500 comuni (l’82 per cento del totale) per una superficie considerata critica (ovvero minacciata da terremoti, frane e alluvioni) che si estende per oltre 29.500 chilometri quadrati (pari al 9,8 per ceno del territorio nazionale). Come dire: impossibile. Insomma, serve il classico piano «B».
E in effetti qualcosa di concreto e assai utile si può fare per evitare che palazzi, quartieri o addirittura cittadine collassino sotto gli effetti di un sisma che in altre zone del mondo, con costruzioni all’avanguardia, non fa poi troppi danni. Il terremoto che ha colpito ieri il centro dell’Italia (la scossa maggiore, su circa 300 contate fino alle 21:30, c’è stata alle 3:36 di magnitudo 6.1) ha devastato diversi, antichi borghi e piccole località (tra cui Amatrice, Accumoli, Arquata e Pescara del Tronto) distribuiti nelle province di Ascoli Piceno, Perugia e Rieti. Interi centri abitati letteralmente crollati. Ed è questo il nodo: in particolare nei terremoti il pericolo maggiore (sia per le vite umane sia per i danni cagionati) sono proprio i cedimenti. Che - almeno in buona parte - si potrebbero evitare se negli edifici in muratura fossero installate “semplici” catene. Un’operazione non particolarmente complessa da realizzare, peraltro a costi decisamente contenuti: secondo Giandomenico Cifani, massimo esperto del Cnr (Consiglio nazionale ricerche) per le tecnologie della costruzione, la spesa varia da 10mila a 20mila euro, secondo il tipo di intervento e la dimensione dell’immobile. Non è la soluzione definitiva né tantomeno la svolta antisismica per il nostro Paese, ma almeno si salverebbe la pelle di migliaia di persone che spesso muore sommerso dalle macerie, come ieri. L’esempio positivo nel sisma che oltre 35 anni fa colpì l’Irpinia. «Durante il terremoto verificatosi a Sant’Angelo dei Lombardi nel 1980 - spiega Cifani - gli edifici in muratura e cemento armato sono crollati, tranne una decina che aveva le catene». Difficile calcolare quanti fondi siano neccessari, complessivamente, per «proteggere» i vecchi palazzi con l’installazione di catene. Di sicuro, il crollo delle abitazioni ha inciso in maniera rilevante sui 160 miliardi spesi dopo i terremoti degli ultimi 40 anni. Dunque, con pochi quattrini si potrebbero ridurre i costi derivanti dai danni successivi a eventi sismici. Ma le catene, ovviamente, non basterebbero. Del resto, oltre agli edifici privati esistono vecchie strutture pubbliche, di dimensioni nettamente maggiori: su 18.000 immobili della pubblica amministrazione, secondo un’indagine del Cnr, oltre la metà è ad alto rischio. «Il vero problema dell’Italia - osserva ancora Cifani - risiede nell’immenso patrimonio storico, artistico e architettonico che necessita di un trattamento particolare». Una caratteristica che non appartiene ad altri paesi con alto rischio sismico, tra cui il citatissimo Giappone.
La parola d’ordine resta «prevenzione», a tappeto. Anche per quanto riguarda le infrastrutture: l’Ance (Associazione costruttori) l’anno scorso ha messo a punto una mappa con 5.300 opere pubbliche immediatamente cantierabili con una spesa pari a 9,8 miliardi. Strade, ponti e gallerie, ma non solo. Sul versante «pubblico» c’è da fare molto per prevenire, a cominciare da 30mila scuole situate in zone a rischio, per la quasi totatlià costruite più di 40 anni fa, quando le regole antisismiche erano meno stringenti.
L’età è centrale: ha più di 40 anni il 65% degli edifici italiani. Le regioni più esposte sono Basilicata, Calabria, Molise, Umbria, Valle d’Aosta, provincia di Trento. E poi, a seguire, Lazio, Liguria, Marche e Toscana. Nel 2012, il ministro per l’Ambiente Claudio Clini (c’era il governo tecnico guidato da Mario Monti) presentò un piano nazionale con una spesa da 40 miliardi complessiva: 2,5 miliardi per 15 anni con risorse facilmente reperibili quasi interamente all’interno del bilancio statale, senza ricorrere a inasprimenti fiscali. Di fatto, meno dei 3,5 miliardi che ogni 12 mesi pesano sui conti dello Stato per riparare ai danni degli eventi calamitosi. Andrebbe fatto un banale calcolo di convenienza. Bastano poche operazioni algebriche.