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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

L’ULTIMA IDEA ANTI-CRISI RIMASTA: ABOLIRE I CONTANTI

Un anno fa il governo Renzi ha alzato la soglia massima per il pagamento in contanti da 1.000 a 3.000 euro. Di fronte alle accuse di favorire l’evasione fiscale, il ministero del Tesoro e Palazzo Chigi hanno risposto che non c’era alcuna evidenza che ampliare la possibilità di pagare in contanti favorisse l’economia illegale. Il sommerso è, per definizione, difficile da studiare. Ma che il contante sia il carburante di evasione fiscale, criminalità organizzata e terrorismo è fuori di dubbio. Tanto che uno degli economisti più famosi del mondo, Kenneth Rogoff, propone di abolire o almeno ridurre drasticamente le banconote in circolazione come strumento per uscire dalla crisi.
Rogoff è stato capo economista del Fondo monetario internazionale, insegna ad Harvard, il suo studio (con Carmen Reinhart) sul legame tra finanza pubblica e crisi finanziarie è stato prima una delle basi teoriche dell’austerità, poi bersagliato dalle critiche per alcuni errori nei calcoli scoperti da uno studente. Ora Rogoff pubblica un nuovo libro ambizioso come quello sull’austerità (This time is different): si chiama The curse of cash, la maledizione del contante, e uscirà il 7 settembre per la Princeton University Press. In un momento in cui le idee originali su come uscire da questa stagnazione sembrano finite, soprattutto in Europa, le tesi di Rogoff vanno valutate con attenzione.
Nel mondo c’è troppo contante, molto più di quanto ne servirebbe all’economia, e quasi tutto in banconote del massimo taglio disponibile, che nessuno di noi tiene in tasca. Nel caso degli Stati Uniti, per esempio, dividendo il totale di banconote in circolazione per gli abitanti, risulta che ogni americano dovrebbe avere 4.200 dollari cash, l’80 per cento dei quali in banconote da 100. Nella zona euro la statistica dice che ciascuno ha 3.200 euro in banconote, il 90 per cento di queste con tagli sopra i 50 euro, addirittura il 30 per cento in pezzi da 500. È chiaro che si tratta di una media del pollo: dai sondaggi la gente normale, secondo uno studio del 2014, tiene in tasca 37 dollari negli Usa e 30 euro in Francia (dato mediano, in media il doppio). Dove finisce tutto il resto? Nell’economia illegale: secondo una stima della Banca mondiale, tra il 2001 e il 2002, sono state pagate mazzette per corrompere per una cifra intorno ai 1.000 miliardi di dollari nel mondo. Nel giro di 15 anni dovremmo essere ormai arrivati a 2.000 miliardi. Ed è difficile corrompere un ministro o un funzionario con un bonifico bancario (anche se qualche volta succede, per esempio, nella compravendita di concessioni petrolifere).
Il primo passo, spiega Rogoff, è eliminare le banconote di grosso taglio: la Bce ha già annunciato il ritiro di quella da 500 euro. Non hanno altro scopo, a leggere le statistiche, che risolvere problemi pratici per trafficanti di droga come il messicano El Chapo o agevolare il finanziamento del terrorismo. Oggi le Banche centrali fanno “riciclaggio al contrario”, stampano banconote pulite che entrano legalmente nel sistema finanziario e poi spariscono subito per alimentare le transazioni peggiori. Nel giro di 10-15 anni, il governo degli Stati Uniti potrebbe riassorbire tutte le banconote sopra i 20 dollari, emettendo debito pubblico per ricomprarle. Comprare e vendere un chilo di cocaina in banconote da 10 dollari diventerebbe una notevole sfida logistica. Un borsone non basterebbe più.
Il “piano Rogoff” ha dei costi, soprattutto legati alla perdita di signoraggio per gli Stati dietro le valute: alla Federal Reserve costa 12,3 centesimi stampare una banconota da 100 dollari, la differenza è il profitto di chi emette moneta (anche maggiore quando il denaro è solo elettronico). Per gli Usa ricomprarsi tutto il contante significherebbe far salire il debito del 7 per cento, per l’eurozona del 10,1. Ma i vantaggi sarebbero grossi: se tutti avessero un conto, o anche solo una carta prepagata, per lo Stato sarebbe molto più semplice fare politiche sociali (per esempio dare sussidi a chi non ha abbastanza reddito da pagare le tasse) e arginare l’evasione fiscale.
Tutto questo per Rogoff è un mezzo, non il fine. Lo scopo ultimo è superare lo stallo di cui sono vittime le Banche centrali da quando i tassi sono a zero: se li abbassano ancora rendendoli negativi (ci sono alcuni tentativi, anche in Europa), invece che perdere soldi lasciandoli depositati su un conto dove diminuiscono, la banca o il risparmiatore può conservarli in contanti. Che, in un’epoca di prezzi piatti o deflazione, non perdono potere d’acquisto.
Senza contante in giro, o con una drastica riduzione, le Banche centrali potrebbero agire con i tassi negativi in modo massiccio. Chi vuole prendere a prestito si troverebbe pagato per farlo, chi investe invece di ottenere un rendimento perderebbe soldi. Ci sarebbe una formidabile spinta ai consumi, visto che tenere il denaro fermo significa vederlo ridursi (esattamente come quando l’inflazione erode il potere d’acquisto). C’è solo un piccolo dettaglio: questo ribaltamento delle logiche di base della finanza nella fase di transizione innescherebbe una corsa al contante, tutti vorrebbero banconote invece che tenere i soldi sul conto. E le “corse agli sportelli” innescano crisi di liquidità che possono distruggere le banche e tutto il sistema finanziario. Certo, il governo potrebbe mettere fuori corso tutte le banconote nel giro di una notte, evitando i prelievi. Ma sarebbe un esproprio capace di scatenare rivoluzioni.
La seconda parte del libro di Rogoff è meno convincente della prima. Magari abolire il contante non risolve i problemi della politica monetaria. Ma scoraggiarne l’utilizzo farebbe danni soltanto all’economia sommersa e alla criminalità organizzata.
di Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 24/8/2016