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 2016  agosto 24 Mercoledì calendario

TANTI AUGURI E POCHE TASSE, MISTER COOK

Tim Cook nel 2011 ha dovuto accettare un lavoro difficile quasi quanto fare il ministro delle Finanze della Grecia: ha preso il posto di Steve Jobs alla guida di Apple. Oggi tutti festeggiano il suo quinto anniversario: i ricavi sono aumentati, anche se per oltre metà dipendono da un mercato che sembra saturo, quello dell’iPhone. Ha dichiarato la sua omosessualità diventando un’icona liberal e ha consolidato il successo dell’azienda rendendola un po’ meno spocchiosa che ai tempi di Jobs. Però è anche diventato un alfiere della disinvoltura fiscale tipica dei giganti tecnologici.
Merita di essere ripresa senza commento una delle risposte che ha dato a Jena McGregor del Washington Post, tradotta in Italia da Repubblica. La giornalista chiede cosa risponde Cook all’economista Joseph Stiglitz che ha definito una “frode” il sistema con cui Apple fa confluire verso l’Irlanda, Paese a tassazione ridotta, i suoi utili: “Il denaro in Irlanda a cui si riferisce è probabilmente denaro che è soggetto alla tassazione americana. La legislazione fiscale al momento dice che possiamo tenerlo in Irlanda o riportarlo indietro. E nel momento in cui lo riportassimo indietro, ci pagheremmo sopra il 35 per cento di tasse federali e una media ponderata delle tasse degli Stati in cui siamo presenti, che è circa il 5 per cento, quindi diciamo il 40 per cento. Abbiamo detto che al 40 per cento di aliquota non intendiamo riportarlo indietro, perché è un’aliquota iniqua. Su questo non c’è discussione. È legale o non è legale farlo? È legale. Non è questione di essere o non essere patriottici. Non è che più paghi più sei patriottico. Noi diciamo che ci sta bene di pagare di più su quel denaro, perché al momento non ci stiamo pagando sopra nulla e lo lasciamo laggiù. Ma come tante, tante altre aziende aspettiamo che quei soldi possano tornare indietro”.
In Italia chi guadagna più di 75.000 euro paga il 43 per cento di imposte sul proprio reddito. Tim Cook considera iniquo il 40 per cento sugli utili di una multinazionale. E se una tassa è iniqua, lui non la paga. Perché può farlo. Punto.
Stefano Feltri, il Fatto Quotidiano 24/8/2016