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 2016  agosto 23 Martedì calendario

LUNGA VITA AL CENTRAVANTI (E ABBASSO IL TATTICISMO)

Bisogna seguire le tracce dei centravanti per districarsi nel luna park della giornata inaugurale. È il ruolo al quale il calcio, salvo eccezioni che, come tali, hanno corretto la storia – penso a Nándor Hidegkuti, che la Grande Ungheria arretrò per liberare l’estro balistico di Ferenc Puskás – ha chiesto e imposto una sola merce, un solo obiettivo: il gol. La tattica e, soprattutto, il tatticismo ne hanno inquinato il repertorio e sabotato la posizione. Si parla di lui, del centravanti, come del primo difensore. Il pressing alto l’ha coinvolto e, in alcuni casi, stravolto.
All’istinto, però, non si comanda. Per sfortuna, brontolano a Coverciano. Per fortuna, si brinda nei bar sport. In fin dei conti, anche l’ultimo Europeo è stato deciso da un “nove”, non importa se di riserva. Eder, si chiamava. Entrò agli sgoccioli, puntò il destro su Hugo Lloris e firmò la sentenza: Portogallo campione, Francia vice.
Edin Dzeko è un traliccio bosniaco che mezza Roma avrebbe ceduto volentieri. Invece no. Spalletti gli ha dato fiducia. Ed Edin, alla sua maniera – sbucciando e sputando reti, ma anche facendo valere la stazza, le leve – ha cominciato a ripagarlo. Contro l’Udinese, quando l’equilibrio galleggiava ancora su una trama pericolosamente viscida, ha propiziato il rigore della svolta e decorato il tabellino. Sarà sempre Sancho Panza, Dzeko, ma nel cuore dei tifosi si entra anche così. E non solo dei tifosi.
Altra musica, Gonzalo Higuain. Veniva dall’aver sbriciolato il record di Gunnar Nordahl (36 gol), la Juventus lo aveva pagato 90 milioni di euro. E così, nel segno di una clausola di mezza estate, il Pipita è diventato il Giudita. La sua pancia, poi, aveva fatto il giro del web. Fino al gol di sabato. Era in panchina, a dieta. Appena entrato, ha pareggiato la Fiorentina. Con Nikola Kalinic, compare di mestiere, meno feroce sotto porta, più generoso di sponde e nel lavoro sporco.
Un guizzo, e tutto lo Stadium si è sdraiato ai suoi piedi. D’improvviso, “il” peso di Higuain non era più “un” peso. Siamo il Paese che ha sempre coltivato una profonda attrazione per gli uomini della provvidenza, e che non ha mai concluso una guerra con l’alleato con il quale l’aveva iniziata. E Higuain, fino a maggio, giocava nel Napoli e dunque, per gli juventini, era “il” nemico.
Carlos Bacca, viceversa, era stato messo sul mercato dal Milan cinese. Per fare cassa, si scrisse. È rimasto. E con il Toro, al debutto di Vincenzo Montella, ha siglato la tripletta della vittoria. Vittoria che, fino all’ultimo, gli ha conteso un altro centravanti: italiano, per romanzesco che possa sembrare. Andrea Belotti, colui che, nel derby di marzo, fissò l’imbattibilità di Gigi Buffon. Un gol, a San Siro, più il penalty (procurato e sbagliato) del possibile tre pari. L’ordalia era all’epilogo, si aspettava solo il suo sparo. Gianluigi Donnarumma intuì e parò. In tribuna c’era Giampiero Ventura, neo Ct ed ex tutore del “gallo”. Immagino il groviglio di sentimenti.
È un solista dell’area, Bacca. Un colombiano che, come l’interista Mauro Icardi, gioca poco “con” gli altri e quasi mai “per” gli altri. Ma non appena gli offrono una cartuccia, bum. Morale: 18 reti la scorsa stagione, all’esordio. C’è poi Ciro Immobile, tanto Toro, un po’ di Dortmund e Siviglia, e la Lazio come nuova frontiera. Sua la zampata che ha introdotto il croccante 4-3 di Bergamo. A 25 anni Mattia Destro era sprofondato nel tunnel che, di solito, cattura i giovani che si credono arrivati prima ancora di essere partiti. Nel Bologna di Roberto Donadoni, tra un infortunio e l’altro, sta ritrovando coraggio, piacere e mira, come documenta la fuga-arresto-tiro con cui ha fulminato il Crotone.
L’incornata di Marco Borriello non è bastata al Cagliari, rimontato dal Genoa. Borriello, classe 1982, è un collezionista di squadre. Centravanti tecnico e di vecchia scuola, con la fama del donnaiolo. Uno di quelli che non segnano per vivere e neppure vivono per segnare. Parafrasando George Best, se fosse stato brutto non avremmo sentito parlare di Pelé (e di Belén).
di Roberto Beccantini, il Fatto Quotidiano 23/8/2016