Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 23 Martedì calendario

CODICE NUOVO, APPALTI FERMI. COSÌ SI RISCHIA LA RECESSIONE

Delle due l’una: o le amministrazioni pubbliche hanno chiuso i battenti in blocco o qualcosa non torna: da Bolzano a Caltanissetta è tutto fermo. S’intende la pubblicazione dei bandi per gli appalti pubblici che da qualche mese, per la precisione dall’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, registrano un tracollo da tempi di recessione e che potrebbe assestare il colpo di grazia ai conti pubblici.
L’ultimo allarme l’ha lanciato ieri l’ex capo economista del Tesoro, Lorenzo Codogno in un report della sua società di consulenza Lc Macro Advisor: se continua così – si legge – l’impatto sugli investimenti pubblici rischia di affossare la già debole ripresa.
Andiamo con ordine. Nel secondo trimestre il Pil è rimasto fermo, bruciando le già traballanti stime di crescita del governo (il buco è tra i 6 e i 10 miliardi). E le cose potrebbero peggiorare. I lavori pubblici valgono il 19,6% del settore delle costruzioni (24,5 miliardi) e l’edilizia impatta per l’8,3% sul Pil, la metà degli investimenti fissi totali (già al palo) e un quarto dei posti di lavoro dell’industria. Il suo impatto sull’economia è ancora più grande visto che il moltiplicatore (l’effetto sul reddito nazionale) è del 3,5%. Se l’edilizia è ferma, si ferma tutto. E quella su commissione pubblica è al palo.
Presentato da Renzi come una “rivoluzione copernicana” che “chiude le strade alla corruzione”, il nuovo codice è entrato in vigore il 19 aprile: dovrebbe migliorare la trasparenza e “sbloccare” i lavori affidando un enorme compito di supervisione all’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone. Lo stallo è partito a inizio anno: nel primo semestre il calo dei bandi è stato dell’8,8% nel numero e del 13,3% in valore rispetto al 2015.
È andato meglio ad aprile, ma solo perché Comuni, Regioni, ma anche società come Anas, Enac etc. si sono affrettate a pubblicare tutto prima dell’entrata in vigore delle nuove norme. A maggio, il tracollo: 985 bandi contro i 1.343 del 2015 (-75% in valore). A giugno, al netto del “piano banda larga” (1,4 miliardi), il calo è pesante (-60% in valore per i Comuni). Per Codogno “l’incertezza sta uccidendo gli appalti”.
L’Anac ha ammesso che le nuove norme stanno rallentano le operazioni perché vanno adeguati bandi, procedure e criteri di aggiudicazione, ma spiega che è una fase passeggera. “Che queste complesse novità avrebbero creato qualche problema è evidente. Dovremo aiutare le amministrazioni ad applicarle” ha spiegato il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio. Difficile trovare un dirigente pubblico che non ammetta sconsolato che “tutto è fermo”, anche perché ora i bandi vanno fatti su progetti esecutivi, per evitare la triste pratica delle varianti d’opera.
L’Ance, la Confindustria del settore che ha applaudito alla riforma, è in fibrillazione. “L’atteggiamento delle amministrazioni è ingiustificabile – spiega il vicepresidente Edoardo Bianchi – l’84% dei bandi è sotto il milione di euro, dove le procedure sono state semplificate”. Ma ammette che comunque non cambierebbe nulla visto che anche poco sopra quella soglia non si può applicare il “massimo ribasso” ma “l’offerta economicamente più vantaggiosa”: “Vanno presentate ‘offerte migliorative’ anche per piccoli lavori e questo dilaterà molto i tempi”. L’Ance chiede modifiche e una moratoria per i bandi già definitivi. Il governo non ne vuole sapere.
Il guaio è che il codice è tutto sulla carta. Delle 51 norme attuative, a bilancio ci sono solo 2 decreti, e delle 10 “linee guida” dell’Anac nessuna è arrivata in porto. Per 3 di loro, il Consiglio di Stato ha chiesto modifiche. E serpeggiano dubbi di costituzionalità.
E così le attività di costruzione si sono contratte nel primo trimestre. Per Codogno, lo stallo “può avere un effetto notevole nel tempo se non c’è un recupero”. A luglio l’Ance ha tagliato le stime di crescita reale delle opere pubbliche dal 6 allo 0,4% (-3,6% nel 2017). Se va avanti così, spiega l’uomo che a lungo ha scritto i documenti di bilancio del Tesoro italiano, “si avrà inevitabilmente un impatto negativo sul Pil nei prossimi trimestri, una cattiva notizia per le finanze pubbliche mentre il governo tratta con l’Ue per una maggiore flessibilità. Stia attento!”.
di Carlo Di Foggia, il Fatto Quotidiano 23/8/2016