Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  agosto 22 Lunedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - GLI SHAHID BAMBINI REPUBBLICA.IT Emergono nuovi inquietanti dettagli dalle indagini della strage di Gazientep, in Turchia, dove un 12enne si è fatto esplodere alla festa di nozze di un membro del partito filocurdo Hdp, provocando la morte di 54 persone

APPUNTI PER GAZZETTA - GLI SHAHID BAMBINI REPUBBLICA.IT Emergono nuovi inquietanti dettagli dalle indagini della strage di Gazientep, in Turchia, dove un 12enne si è fatto esplodere alla festa di nozze di un membro del partito filocurdo Hdp, provocando la morte di 54 persone. Cnn Turk ha riferito che l’analisi delle telecamere di sicurezza sul luogo dell’esplosione ha mostrato che poco prima della detonazione l’adolescente kamikaze è stato accompagnato sul posto da due persone che si sono poi allontanate velocemente. Sempre di questa mattina è l’indiscrezione secondo cui l’esplosione potrebbe essere stata attivata attraverso un comando a distanza e non dall’attentatore. Si aggrava anche il bilancio della strage: da 51 sono saliti a 54 i morti, perché tre dei feriti sono deceduti. Delle vittime 29 sono bambini e adolescenti e almeno 22 avevano meno di 14 anni. Si contano anche 66 feriti, ancora ricoverati in ospedale, di cui 14 in condizioni gravi. Nei 54 morti non è incluso l’attentatore, di cui è stato trovato un giubbetto esplosivo sul posto. Sinora sono state identificate 44 persone, ha riferito l’agenzia di stampa Dogan, aggiungendo che tra esse c’è anche un bambino di tre mesi. Lo sposo è rimasto ferito, mentre la sposa è illesa. Dopo che ieri il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha annunciato che l’attentatore aveva "tra i 12 e i 14 anni" e ha indicato collegamenti con l’Is - anche se non sono arrivate ancora rivendicazioni -, i media turchi riportano la notizia secondo cui sono in corso gli esami autoptici e quello del dna per stabilire chi sia il kamikaze. Secondo le prime informazioni delle indagini l’attentatore potrebbe essere entrato in Turchia dalla Siria, ma si indaga su possibili cellule cresciute sul territorio turco a Istanbul o nella stessa Gaziantep, secondo il quotidiano Huriyet. Sempre stando al giornale il tipo di bomba usata nell’attentato, con pezzi di metallo all’interno, è simile agli esplosivi impiegati negli attacchi kamikaze contro filocurdi nella città di confine di Suruc e alla stazione di Ankara l’anno scorso, entrambi collegati allo Stato islamico. La storia. Un dramma nel dramma. È quello di una madre, Emine Ayhan, che ha avuto 4 dei suoi cinque figli uccisi. "Se non fosse sopravvissuto almeno lui mi sarei suicidata", ha raccontato alla Cnn. REPUBBLICA.IT Non solo il bambino di Gaziantep. C’è un altro piccolo di 12 anni che ha rischiato di diventare una bomba umana. E’ stato fermato con indosso la cintura nella tarda serata di ieri a Kirkuk, capitale del Kurdistan iracheno, poco prima che si facesse esplodere. Bloccato dai peshmerga. Lo riferiscono i media curdi, che pubblicano le drammatiche immagini del ragazzino con indosso la cintura esplosiva e degli agenti che disinnescano l’ordigno. Iraq, fermato dodicenne con cintura esplosiva a Kirkuk Condividi Lo si vede impaurito mentre i poliziotti prima gli tolgono l’esplosivo che ha attorno alla vita e poi con più decisione lo portano via. Lo strumento di morte era nascosto sotto la maglietta del suo campione preferito: quella del Barcellona, col numero 10 di Messi. Si sentono gli applausi degli agenti, dopo che il disinnesco dell’ordigno è riuscito. Mentre piange il 12enne reclutato dallo Stato islamico. Probabilmente neppure immagina a quale destino è sfuggito. Iraq, fermato 12enne con cintura esplosiva a Kirkuk Navigazione per la galleria fotografica 1 di 10 Immagine Precedente Immagine Successiva Slideshow () () Sabato proprio un bambino è stato all’origine della strage alla festa di matrimonio a Gaziantep, in Turchia. Le telecamere mostrano due adulti che lo portano sul luogo della strage. A farlo esplodere è stato un telecomando. GUOLO Baby kamikaze a Kirkuk, Guolo: "Più l’Is è in difficoltà, più cresceranno i piccoli martiri" "La strage di Gazientep e il bambino fermato a Kirkuk con una cintura esplosiva sono un brutto segnale, ma anche prevedibile, che aveva avuto dei precedenti fuori dall’area siro-irachena. Nella visione del mondo jihadista non ci sono civili e non esistono soggetti esenti da jihad che non possano diventare attentatori suicidi". Ma c’è di più: "Le scuole dell’Is si sono riempite di giovanissimi. Questo significa che ci saranno sempre più bambini impiegati in operazioni di questo tipo" l’analisi di Renzo Guolo, sociologo ed esperto di Islam GUIDO OLIMPIO SUL CDS Usano i bambini perché sono un simbolo di innocenza ed è più facile farli passare attraverso i controlli. I terroristi scommettono sull’indulgenza delle sentinelle o del servizio di sicurezza, ritengono – non a torto – che magari davanti a un minore l’attenzione della guardia sia meno forte. Ed eccoli saltare per aria in mezzo alla folla in Medio Oriente, in Africa o in Afghanistan agli ordini dei talebani. Due volte vittime: prima reclutati, quindi mandati a morire tra gli innocenti. Molti movimenti jihadisti hanno fatto ricorso a quest’arma, terribile, letale, inesauribile. Un modus operandi che porta all’emulazione e alla celebrazione propagandistica dei «leoncini», indicati a esempio, modelli di lotta irriducibile. E non sarebbe una sorpresa se – come sostiene il governo turco – l’azione kamikaze al matrimonio di Gaziantep sia stata condotta proprio da un adolescente. La cittadina nel sud della Turchia è stata la culla di molti attentatori suicidi. Elementi ingaggiati da un personaggio chiave, Yunus Durmaz, esponente dello Stato Islamico ed emiro della zona. Ha pescato tra i parenti e gli amici, ha creato una rete terroristica legata al comando di Raqqa (Siria), ha pianificato i massacri di Suruc e Ankara, è riuscito ad agire nella regione curda. E poi si è immolato in maggio quando la polizia stava per catturarlo. Nel computer trovato nel suo rifugio – come segnala l’esperto Aaron Stein – c’era una lista di possibili bersagli, tra questi anche i ricevimenti nuziali. Impossibile proteggere feste e ritrovi di questo tipo, facile infiltrare qualcuno tra gli invitati. E’ dunque probabile – sempre se è vera la ricostruzione ufficiale – che gli uomini del suo gruppo abbiano deciso di proseguire la missione affidandosi a un tredicenne. E sono poco più grandi i quelli che l’Isis mette alla guida dei veicoli-bomba utilizzati in Siria o in Iraq. Le foto diffuse in questi mesi rivelano come l’età degli «istishadi» stia scendendo in modo netto, in risposta alle esigenze operative e magari a qualche «buco» nei ranghi. La guerra non conosce tregue, ci sono basi da assaltare e rifugi da proteggere, non è un momento facile per il Califfo. Ogni singolo membro deve essere pronto al gesto estremo per fermare il nemico, quando è nato conta poco. Gli eccidi nel Vicino Oriente sono talvolta superati dallo scempio dei criminali di Boko Haram, attivi in Nigeria, Camerun, Niger e Ciad. Nelle statistiche dell’orrore sono loro a guidare la classifica: nel 2014 avevano eseguito solo quattro attacchi suicidi con minori, un anno dopo erano ben 44, circa un terzo dei 150 totali. Un attentatore su cinque è un bimbo. Secondo le autorità in alcuni casi avevano appena 8 anni. Portati a coppie vicino a un mercato e poi fatti detonare: c’è il sospetto che non siano stati loro ad attivare la carica, bensì gli estremisti che li hanno condotti nei pressi dell’obiettivo. Per l’accompagnatore sono come dei robot, macchine per uccidere e non essere umani.Per alimentare la loro campagna di sangue i militanti africani hanno rapito centinaia di giovani poi tramutati in bombe che camminano, con una particolare attenzione alle donne. A ottobre, nella città di Maiduguri, località spesso sfregiata da atti indiscriminati, sono passate (costrette) all’azione ben cinque di loro. Di recente nel movimento si è prodotta una frattura: Abu Musab al Barnawi si è proclamato leader cercando di estromettere Abubakar Shekau. Contrasto segnato da accuse di eccessi da parte del primo nei confronti del rivale. Fonti militari statunitensi hanno spiegato che proprio il ricorso ai bambini per gli assalti avrebbe reso più duro il dissidio interno. Ma sono aspetti tutti da verificare in una lotta per il potere da parte di assassini che fino ad oggi non hanno esitato a sacrificare migliaia di vite. MARTA SERAFINI 1 Da tempo Isis investe energie nella propaganda che ha come target i bambini. Applicazioni per insegnare l’alfabeto con i nomi delle armi, filmati e immagini che li mostrano in uniforme da soldati. Ma c’è anche un lavoro capillare di lavaggio del cervello e indottrinamento che viene portato avanti ogni giorno nelle scuole dei territori occupati in Siria, Iraq e Libia. L’obiettivo naturalmente non è solo allevare e crescere nuovi cittadini del Califfato. Soprattutto a causa delle sconfitte militari Isis ha bisogno di nuovi soldati. Da usare, all’occorrenza negli attacchi kamikaze o anche in battaglia. L’ultimo esempio, un ragazzino all’incirca di 10 anni fatto morire martire nella zona di Salah al Din, in Iraq. Alcuni libri di testo distribuiti nelle scuole del Califfato Alcuni libri di testo distribuiti nelle scuole del Califfato Lo studioso statunitense del Washington Institute Jacob Olidort ha analizzato 112 «libri di testo» utilizzati da Isis nelle classi con l’obiettivo di spiegare quali argomentazioni politiche e religiose vengono utilizzate. Prodotti da una divisione del Califfato, la Zeal Presse, questi testi si basano su un meccanismo piuttosto complesso, lo stesso usato nei pamphlet distribuiti nelle strade per spiegare, ad esempio, come mai le donne debbano girare coperte dal velo integrale. Secondo Olidort, il “trucco” è di coniugare i temi del salafismo (movimento sociale che si ispira a una specifica dottrina teologica e legale) e della tradizione sunnita con la dottrina sulla creazione e il rafforzamento dello Stato islamico. Il tutto condito da argomenti apocalittici e di incitamento alla violenza. Chi si rifiuta di difendere questa visione non è un vero musulmano. Esempio classico di questo meccanismo è il concetto di hijra, migrazione, rivisto e manipolato come obbligo di trasferimento in uno dei territori del Califfato. Anche i precetti di elemosina e di pietà vengono rivisti in chiave di obbligo e di obbedienza. «In questi due anni i contenuti sono cambiati. All’inizio enfatizzavano maggiormente i concetti di martirio e di battaglia. Nel 2015 i temi religiosi e i precetti di osservanza sono diventati più frequenti. La religione è diventata dunque un mezzo per rafforzare le loro argomentazioni», spiega al Corriere Jacob Olidort. Un volantino distribuito nelle classi Un volantino distribuito nelle classi Per la creazioni dei manuali Isis si è ispirata ai testi salafati del saudita Muhammad ibn Abdul Wahhab. Su questa base viene innestato il simbolismo di Isis, dalle armi, passando per i coltelli, fino al mito della forza. Ed è questa la novità rispetto ad altri gruppi salafiti. «La “Isisizzazione delle scuole”», così Olidort chiama . Ogni materia, anche la matematica, è finalizzata al lavaggio del cervello. Per insegnare a contare si usano domande come questa «Se lo Stato islamico ha 275.220 eroi in battaglia e gli infedeli ne hanno 356.230 chi ne ha di più?». A livello storico si parte dalla vita del Profeta fino ad arrivare alla creazione dello Stato Islamico nel 2014, con il chiaro obiettivo di legittimare Al Baghdadi come Califfo In alcuni quiz viene chiesto agli alunni di definire «il politesimo», “la natura della missione del Profeta», «l’apostasia», la «fratellanza», la «conquista». Per insegnare la lingua inglese si utilizzano frasi tipiche del linguaggio militare come «Chiedi a qualcuno di pulire la mia pistola». Alla teoria, poi, segue la pratica. In alcuni campi di addestramento vicino a Raqqa ai bambini vengono fornite bambole dai capelli biondi da decapitare. I ragazzini devono diventare la «jihadi generation» di domani. Perché «l’obiettivo è che anche i bambini contribuiscano efficacemente al funzionamento del Califfato. E questo significa, ad esempio, che siano fisicamente in forma e sappiano utilizzare le armi», conclude Olidort. MARTA SERAFINI 2 Li hanno reclutati, indottrinati, manipolati, addestrati e infine li hanno mandate a combattere. Piccoli, piccolissimi. Hanno anche sei anni. Sono i bambini soldato del Califfato, forza su cui Isis sembra puntare sempre di più in un’escalation di follia e perversione. E che secondo gli esperti potrebbe costituire l’esercito jihadista del domani. Nell’ultimo terribile filmato che non pubblichiamo si vedono 25 ragazzini. Lo scenario è Palmira, teatro romano del II secolo avanti Cristo, caduto insieme alla città nelle mani dei jihadisti. I bambini a volto scoperto, vengono fatti sfilare davanti alla folla. Entrano in scena come in una rappresentazione teatrale. Schierati in fila, lo sguardo fisso, qualcuno si passa una mano sul volto cercando di scacciare il caldo e la paura. Davanti a loro, in ginocchio, i prigionieri. Poi il grido. E questi 25 giovani estraggono le rivoltelle per sparare un colpo nelle cervella dei condannati a morti. Le immagini sono montate al rallenty, quasi a voler immortalare per sempre quell’attimo in cui dei bambini vengono trasformati in assassini. Non è la prima volta che Isis utilizza i più piccoli per giustiziare i nemici. Ma ultimamente l’utilizzo dei bambini soldato (pratica diffusa soprattutto in Africa centrale e in Medio Oriente) sembra essere diventato sempre più sistematico nel Califfato. A dirlo sono i materiali di propaganda e le analisi degli esperti. Nell’ultimo anno sono almeno una ventina i video in cui “i piccoli leoni di Isis” (come vengono definiti) vengono mostrati al mondo per inorridire e scioccare il nemico. Ma secondo gli analisti non si tratta solo di propaganda. «I bambini vengono usati per attentati kamikaze, come combattenti, come cecchini e come spie», spiega John G. Horgan esperto di terrorismo, docente di psicologia alla Georgia State University di Atlanta e autore di Psicologia del Terrorismo (edizioni Edra). Horgan è convinto che il loro numero sia cresciuto in modo esponenziale dall’inizio della Guerra. «Secondo le mie stime almeno 700 bambini sono stati addestrati come combattenti», spiega. I bambini soldato vengono reclutati in vari modi. Come riportato dagli attivisti di Raqqa is being slaughtered, che hanno pubblicato anche delle immagini provenienti dalla cosiddetta capitale dello Stato Islamico, l’Isis l’anno scorso ha avviato anche un progetto di reclutamento delle giovani leve. «Hanno aperto dei campi di addestramento. Obbligano i genitori a mandarci i figli, oppure li convincono con cibo e denaro. In altri casi addirittura li rapiscono», ha raccontato al Corriere della Sera Abu Ibrahim Raqqawi (il nome è di fantasia). Abu Ibrahim riporta anche un episodio che mostra chiaramente le tecniche usate da Isis «Un ragazzino di 13 anni Hamadi Al-Ibrahim è sparito. Ho aiutato la famiglia a cercarlo disperatamente. Poi abbiamo scoperto che era finito nel campo di Isis di al-Sherkrak, pensato apposta per i più piccoli (ce ne sono altri quattro: Al Zarqawi Camp, Osama Bin Laden Camp, Al-Sharea e Al Talea, ma secondo gli esperti il numero potrebbe essere salito a 12 tra Siria e Iraq ndr). Quando i genitori sono entrati nell’accampamento e hanno chiesto all’emiro spiegazioni, lui ha accettato di dare informazioni solo dopo aver ricevuto una cospicua somma di denaro. E una volta incassati i soldi ha ammesso che il ragazzo era diventato un combattente e il suo nome cambiato con un nome di battaglia. Tornato a casa il bambino ha spiegato di essere stato convinto ad andare al campo dopo essere stato pagato». GIORDANO STABILE Corano e cintura esplosiva. Nelle scuole del Califfato si prepara una generazione di terroristi e kamikaze, disposti a immolarsi già da bambini, persino a otto anni. È uno degli aspetti più inquietanti della costruzione dello Stato islamico in Siria e Iraq. Migliaia di piccoli frequentano i nuovi corsi imposti dall’Isis in tutto il territorio sotto il suo controllo. Che prevedono due pilastri: Islam nella versione salafita più estremista possibile, istruzione militare fin dalle prime classi. Finita la scuola ci sono i campi di addestramento. I «leoncini» del Califfo Abu Bakr al-Baghdadi apprendono a usare pistole e kalashnikov a dieci, dodici anni, vestono piccole tute mimetiche e proclamano che il loro più grande desiderio della vita è diventare «shahid», «martiri». Il lavaggio del cervello sistematico ha dato i suoi frutti. A febbraio scorso erano già stati catalogati 89 attacchi lanciati da kamikaze minorenni. Ma in totale potrebbero essere centinaia. E poi ci sono i bambini boia. Pubblicizzati con il massimo entusiasmo in video di propaganda dell’orrore. Il più piccolo aveva quattro anni. Il nipotino di Merah Le gesta dei bambini terroristi vengono mostrati dall’Isis come prova della compattezza dello Stato islamico. Solo nel 2015 sono stati individuati 150 video con minori protagonisti. Uno dei più scioccanti, messo online l’11 marzo, ha come protagonista Ryan, un francese dodicenne, figlio del foreign fighter Sabri Essid e nipotino acquisito del terrorista di Tolosa Mohammed Merah, autore di una strage in una scuola ebraica nel 2012. Ryan, in mimetica, spara alla testa di una presunta spia del Mossad, in realtà un palestinese di 19 anni, Mohammed Ismail, che aveva cercato di raggiungere i ribelli siriani ed era stato sequestrato dall’Isis. Ryan è stato poi riconosciuto dai suoi compagni di scuola di Tolosa. Gli inquirenti francesi hanno stabilito che era il figliastro di Sabri Essid, partito per la Siria nel 2014 con la moglie e 4 bambini. Padri e figli. Come tanti altri arrivati insieme nel Califfato, compreso l’australiano Khaled Sharrouf, che ha mostrato la prole alle prese con i suoi kalashnikov in una serie di selfie pubblicati sui social. Sharrouf, nato e cresciuto a Sidney, si era unito all’Isis nel 2013, portando con sé la moglie, Tara Nettleton, e i cinque figli. Foreign fighters, consorti e figli compongono famigliole alla rovescia. Appaiono spesso sulla rivista mensile Dabiq e nei video, predicano e praticano la violenza all’unisono. In un altro filmato, del febbraio 2016, si vede Isa Dare, un bimbo di 4 anni, che fa esplodere un’auto con all’interno tre prigionieri. È il figlio dell’estremista Grazia Khadija Dare, del sobborgo di Lewisham a sud-est di Londra. Isa indossa una tuta militare e una fascia nera con il simbolo dell’Isis, urla Allah è il più grande e minaccia miscredenti e apostati. Stesso copione per Abudullah, un kazako di 10 anni, protagonista di un altro video, del gennaio 2015, che mostra l’esecuzione di due presunte spie russe, probabilmente kazaki o caucasici. I due sono fatti inginocchiare e poi uccisi con una calibro nove dal bambino. Abdullah era già comparso in un video girato in un campo di addestramento e diffuso nel 2014, dove aveva rivelato il suo nome e detto di provenire dal Kazakhistan. Un esempio per le migliaia di «leoncini del Califfato» addestrati nei campi in Siria e Iraq. I leoncini del Califfato Solo nel 2015 sono apparsi almeno una ventina di video con protagonisti i «leoncini». In genere l’ambiente è idilliaco, zone verdi vicino a Raqqa, lungo l’Eufrate, dove i piccoli studiano, pregano e sparano all’aperto, saltano ostacoli, recitano shure del Corano e imparano le arti marziali. E proclamano di sognare il martirio nella guerra contro gli infedeli. Come in tutti i regimi dittatoriali l’ideologia estremista fa presa più facilmente sui bambini. E l’Isis sfrutta appieno la totale sottomissione della generazione più giovane. Emblematico è un video girato nella provincia di Aleppo nel febbraio 2016. Un ragazzino abbraccia i genitori. Poi indossa la cintura esplosiva. Si inginocchia verso il padre e gli bacia la mano prima di partire per la missione suicida. Il filmato faceva parte di una campagna di reclutamento. La macchina dei kamikaze-bambini gira a pieno regine. In un rapporto pubblicato lo scorso febbraio, realizzato per conto dell’Accademia Militare di West Point, «The Islamic State is mobilizing children and youth at an increasing and unprecedented rate», erano confermati 89 attacchi suicidi compiuti da minori in Iraq e Siria dalla metà del 2014. Il 60% avevano fra i 12 e i 16 anni, la fascia di età del kamikaze di Gaziantep. Almeno undici erano tra gli 8 ed i 9 anni. LIBERO L’ennesimo bimbo nelle vesti del boia. L’ultimo orrore dell’Isis. Nell’ultimo filmato di decapitazioni si vedono tre prigionieri vestiti con le ormai tristemente famose tute arancioni, rinchiusi in un’auto abbandonata nel deserto. Un’auto che viene fatta esplodere. A premere il pulsante del detonatore è Isa Dare, un bimbo di quattro anni che sarebbe figlio dell’estremista musulmana Grazia ’Khadijà Dare, proveniente da Lewisham, sud-est di Londra. Il piccolo indossa una tuta militare e una fascia nera con il simbolo dell’Isis sulla fronte, dunque invoca Allah, minaccia i miscredenti, preme un pulsante e uccide. Nel video compare anche un adulto mascherato, che minaccia direttamente il premier inglese David Cameron: "Non potrà combatterci, tranne dietro rocche fortificate o dietro le mura", afferma il terrorista. "In primo luogo, quando hai inviato le tue spie in Siria e quando hai autorizzato i tuoi uomini, a migliaia di miglia di distanza, hai premuto il pulsante per uccidere i nostri fratelli che vivono in Occidente. Così oggi, stiamo uccidendo le vostre spie nello stesso modo."