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 2016  agosto 22 Lunedì calendario

E ALLA FINE BERNABEI LO AMMISE: “ITALIANI, 20 MILIONI DI TESTE DI C…”

Diciamolo, una famiglia di gente potente e famosa. Il capostipite, Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, il figlio, Roberto, famoso geriatra, marito di Sidney Rome, famosa attrice, la figlia, Matilde, famosa manager, moglie di Giovanni Minoli, famoso giornalista. Tutti famosi in quella famiglia. Ma quando andai ad intervistare Ettore, per Sette, era in ogni caso il più famoso di tutti. Rai, Italstat, Lux Vide. Una vita di successi e di potere.
Era stato il diavolo della sinistra. E, nonostante fosse stato “rivalutato” non riusciva a togliersi di dosso quell’immagine di bacchettone, di puritano, di integralista cattolico: l’uomo che aveva censurato e cacciato Dario Fo, che aveva messo i mutandoni alle Kessler, che aveva cambiato i versi delle canzoni di Dalla.
“In tv c’è troppo sesso e c’è troppa violenza. La colpa è della pubblicità. La pubblicità causa l’omogeneizzazione al livello più basso, più ombelicale, più belluino. Ci saranno conseguenze gravi. La televisione non è come il cinema. La televisione è sempre accesa, viene vista in pantofole, a casa. La gente non la percepisce come qualcosa di finto, di inventato. È come se si continuasse il discorso fatto nell’altra stanza con la moglie, la suocera, il figlio, il padre”. Ettore Bernabei era convintissimo della forza della televisione. La suggestione del colore, la “suasività” della parola ben tornita, la dolcezza delle musiche di sottofondo, tutto questo, secondo lui, dava forti modelli di comportamento. E cioè: chi ha più forza fisica e chi ha più denaro vince. Io, che la sapevo lunga, gli feci notare che questi messaggi venivano anche dalla società. Ma lui ribatté: “Nella società i violenti sono una minoranza. La televisione enfatizza il fenomeno. È un moltiplicatore atomico”.
Io, forte dei miei studi classici, gli ricordai la funzione catartica della rappresentazione della violenza. Ma lui ribatté: “Nel teatro greco arrivava il messaggero e diceva: ‘Il re è stato ucciso!’. Fine. Adesso in tv scorrono litri di conserva di pomodoro. Ogni giorno di più. Nella prima Piovra ho contato due morti a puntata. Nell’ultima, trenta. E che morti! Pezzi di budella, di cervello, sangue che sprizza da tutte le parti”.
L’analisi era corretta, e lo è ancora, ma gli feci notare che non bastava criticare, bisognava indicare una via. Che fare? Lui aveva idee chiarissime e gergo aggiornato: “Rappresentare il violento come un fuori norma. È lui che sbaglia. Invece no, è un ‘ganzo’, un ‘fico’. E la vittima è rappresentata come uno sfigato”.
La televisione come educatrice, conscia dei valori morali che doveva rappresentare e difendere. Ma i “giusti” che fine hanno fatto? Non dovrebbero essere loro ad educare le nuove generazioni? No, i giusti non vedono la televisione, disse. “Le persone colte non vogliono ‘rincretinirsi con quelle baggianate’. Le persone che hanno una vita equilibrata non vedono la televisione e non se ne curano. Nel frattempo la metà dei ragazzi dai 6 ai 18 anni vede tre ore di tv. E riceve, in queste tre ore, mille inviti a bere alcolici ad alta gradazione”. Non riuscivo a dargli torto. Ma non potei fare a meno di ricordargli quello che metà degli italiani pensavano di lui: che fosse un sessuofobo. Rispose in maniera abbastanza banale. “Ho avuto una moglie che mi ha dato otto figlioli, non mi meraviglio di nulla. Io non sono un puritano ossessionato dal sesto comandamento. Ma ogni sera tra le 9 e le 10 in tv viene trasmesso tutto quello che si può trovare nei cinema a luci rosse e nelle cassette porno. Il nudo, il coito, la ginnastica sessuale che un tempo era solo di quei testi come il Kamasutra che insegnavano le varie posizioni della congiunzione fra uomo e donna…”. Ma lei mise le mutande alle Kessler! “Ma se facevano vedere le cosce fino all’inguine!”. E adesso? “Ieri sera in tv ho visto un film in cui c’era una ragazza che faceva i suoi bisogni e si puliva con la porta del bagno aperta. Così si distruggono le norme fondamentali di rispetto per il proprio corpo e per il corpo degli altri! Il nostro corpo non è sempre così bello come quello delle attrici. È quasi sempre sgradevole, emana cattivi odori. È brutto il nostro corpo”.
Non era facile stare dietro ai principi morali, etici, estetici e igienici di Bernabei. Non mi rimaneva che chiedergli che cosa gli piacesse. E lì mi sorprese. Gli piaceva Arbore. Perché non urlava, non diceva sguaiatezze, non diceva parolacce, non circuiva lo spettatore con violenze, sesso, cattivo gusto. Intelligente ed onnicomprensivo. Disse: “Sfrutta meno degli altri i reconditi deteriori dell’umanità”. Disse proprio così: “I reconditi deteriori dell’umanità”. Non riuscivo a capire se l’umanità, nel suo complesso gli piacesse o non gli piacesse. E quindi azzardai: e Chiambretti? Rispose: “È fantasioso, pirotecnico. In una mia ideale tv lo prenderei. Ma è come uno sfizio a tavola. Non si può tutti i giorni mangiare sfizi”. Respirai un poco. Ma fui subito travolto da una nuova ondata di etica del buon padre di famiglia. Attaccò i quiz, “distribuzione insulsa di danaro facile”. “Ormai regalano milioni anche alla tv dei ragazzi”. Se la prese con le ragazzine “che sculettano nel programma di Boncompagni. Roba per maniaci sessuali e per impotenti”. Se la prese con Colpo grosso, Avanzi, col giornalismo scoopistico di Ferrara, di Santoro, drogato e falso. Se la prese perfino con Chi l’ha visto. E con Paolo Rossi che “dice le parolacce”. Gli feci notare la stranezza di un toscano che è contro le parolacce. Lui disse: “Noi non usiamo mai il turpiloquio a fini perversi. Lo usiamo a fini bonari”. Il turpiloquio a fin di bene.
Era arrivato il momento della domanda obbligatoria: mi racconta la vera versione di quella frase che l’ha resa celebre: “Gli italiani sono 20 milioni di teste di cazzo”? Negò, ma contemporaneamente ammise. “Io usavo spessissimo la frase ‘testa di cazzo’. È un’espressione toscana. Le terminologie toscane sono molto variegate per quanto riguarda le definizioni dispregiative. Si comincia con ‘bischero’ e si continua con ‘testa di cazzo’. Poi ci sono i ‘bucaioli’ e i ‘merdaioli’, che sono il massimo dell’amoralità”.
Una vera e propria lezione di turpiloquio a fin di bene. Ma Bernabei stava sfuggendo, ed io che ero un giornalista a schiena dritta, lo incalzai impietosamente. Ma “teste di cazzo”? “Io dicevo che anche le persone colte, quelle che hanno fatto le superiori, quando sono di fronte al televisore sono come dei ragazzi delle elementari. Io dissi: mettetevi in mente che ci sono 20 milioni di analfabeti”. Insomma, lo aveva detto. Turpiloquio a fini bonari.
Bernabei, non può negare che lei era un censore. “Mi hanno fatto passare degli anni infernali, soprattutto i miei amici democristiani. Quando si cercava di fare qualcosa subito insorgevano, inveivano, avrebbero voluto castrare, impedire. I dorotei erano terribili. Mi hanno rovinato non so quante vacanze di Natale, Saragat che protestava, che urlava, Rumor con la bava alla bocca…”. Ma lei era un censore? “Io andavo a vedere Tv7 prima che andasse in onda. Ogni sera alle sei telefonavo al direttore del Telegiornale e mi facevo raccontare che cosa c’era. E dicevo la mia. Toglierei questo, cambierei quest’altro, se sentite Tizio sentite anche Caio”. Ma lei era un censore? “Sta scherzando? Ho sempre sentito sopra di me tanti superiori, tanti giudici, tanti padroni, tanti a cui dovevo rendere conto, tanti che mi avrebbero criticato, e ho cercato di barcamenarmi tra le tante paure”.
Nel complesso che giudizio dà dell’informazione oggi? “La concorrenza l’ha migliorata”. Merito quindi del Tg5? “Il Tg5 è un po’ epilettico come il suo direttore Mentana. C’è già tanta ansia, tanta tensione nella vita! Se anche la televisione si mette a dare queste palpitazioni…”.
di Claudio Sabelli Fioretti, il Fatto Quotidiano 22/8/2016