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 2016  agosto 21 Domenica calendario

A DRAGHI È IMPAZZITA LA MAIONESE

Il nemico numero uno delle banche si chiama Mario Draghi. Sì proprio lui, il governatore della Bce. Un paradosso? Una provocazione? Mica tanto, perché a lungo andare le politiche di denaro facile e tassi negativi decise a Francoforte finiranno per danneggiare i bilanci degli istituti di credito, dalle nostre parti già in crisi da un pezzo (a parte poche eccezioni) per via della scarsa redditività e dell’alto livello delle sofferenze. È questa la conclusione a cui sono giunti due ricercatori del Fondo monetario internazionale (Fmi) in uno studio pubblicato all’inizio d’agosto. Prima di loro però altri economisti avevano sollevato lo stesso problema, compreso uno studioso insospettabile di ostilità verso l’alta finanza come il francese Benoit Coeuré, che fa parte del comitato esecutivo della Bce. A fine luglio Coeuré aveva sottolineato che a un certo punto gli effetti negativi della discesa dei tassi sui profitti delle banche potrebbero superare i benefici, che pure non mancano, almeno da principio.
Che cosa succede? Semplice, la quota più rilevante dei profitti degli istituti di credito viene dalla differenza tra i ricavi sui prestiti a imprese e privati e i costi per remunerare i depositi dei correntisti. Ebbene, i ribassi a catena dei tassi decisi dalla Bce, hanno compresso i margini di guadagno, perché la diminuzione degli interessi sui finanziamenti alla clientela è stata maggiore rispetto al calo dei rendimenti garantiti sui depositi. In Italia per esempio, secondo i dati forniti dall’Abi (Associazione bancaria italiana) la differenza tra il tasso medio sui prestiti e quello sulla raccolta per famiglie e imprese è sceso a giugno a quota 1,95 per cento. A dicembre 2015 lo stesso dato era pari al 2,3 per cento e alla fine del fine 2007, quando è cominciata la crisi finanziaria, si viaggiava intorno al 3,3 per cento. In altri Paesi la compressione dei margini è stata ancora più veloce. Tanto che in Germania alcuni istituti, nel tentativo di limitare i danni, hanno introdotto tassi negativi per i correntisti.
Va detto che gli effetti della politica della Bce non sono così immediati. Molti istituti in Europa hanno compensato la caduta del margine di interesse grazie alla rivalutazione del portafoglio dei titoli a reddito fisso, il cui prezzo è aumentato per effetto del calo dei rendimenti. Inoltre si è ridotto anche il costo della cosiddetta raccolta all’ingrosso, quella che le banche fanno presso altre banche. E questo ha avuto effetti positivi sulla redditività.
A lungo andare però sarà sempre più difficile per i banchieri remare controcorrente. Con i tassi raso terra o addirittura sotto zero il loro mestiere diventerà più complicato. E alla fine c’è il rischio che per evitare nuove perdite nei bilanci, già sotto stress per via del calo dei margini, le banche decidano di tirare il freno sui prestiti alle aziende. Soprattutto in un Paese come l’Italia, dove sofferenze e crediti incagliati sono già molto superiori al resto d’Europa. In altre parole la politica del denaro facile varata dalla Bce avrebbe l’effetto di diminuire il credito alle imprese. L’esatto contrario di quanto va predicando Draghi.