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 2016  luglio 24 Domenica calendario

LA BABELE DEI COMITATI PER NO ALLA RIFORMA

Qualche giorno fa, quando Raffaele Fitto si è rallegrato per la nascita del comitato del Pli sul referendum costituzionale, dalla platea del teatro Santa Chiara di Roma s’è levato un moto di stupore. Ai convenuti per festeggiare il comitato dei Conservatori e Riformisti di Fitto e Capezzone sfuggiva che nella sterminato firmamento del No brillasse anche un comitatino creato da quel che resta del glorioso Partito liberale.
Tanto è monolitico il fronte del Sì, affidato da Renzi alle cure comunicative del duo italo-americano Simona Ercolani-Jim Messina, tanto è babelico quello del No. Partitini, correnti, dissidenti, cani sciolti, cavalli di razza e cavalli di ritorno: ciascuno fa da sé, registra un logo, declina un nome, stampa un manifesto, organizza un convegno e recluta un paio di costituzionalisti. Mai così richiesti i presidenti emeriti della Consulta: per fortuna abbondano grazie alla prassi, a lungo in voga, di eleggere sempre quello in scadenza, in modo da garantire a tutti un giro di valzer da presidente (e i connessi benefici da «emerito»).
Negli ultimi giorni le manifestazioni pubbliche si sono moltiplicate. Ieri ad Arezzo Meloni, Toti, Maroni (Salvini solo via skype) e duecento sindaci di centrodestra hanno lanciato il comitato «No Grazie» con il presidente emerito Annibale Marini, gettonato al punto da doversi dividere con il comitato di Forza Italia.
Brunetta predica un no per mandare a casa Renzi. Fitto e Capezzone, che si sono affidati al costituzionalista Alfonso Celotto, un «no consapevole». Fini un no per rilanciare il presidenzialismo. Il Pli - ça va sans dire - in difesa delle libertà costituzionali. Tremonti balla da solo, non è una novità.
A sinistra il comitato più autorevole è quello dei «professoroni» del Coordinamento per la democrazia costituzionale: Pace, Rodotà, Zagrebelsky tra gli altri. Attorno a loro partiti come Sel, politici senza più partito come Di Pietro, associazioni come Libertà e Giustizia. D’Alema guida i dissidenti del Pd con il network della sua associazione ItalianiEuropei. Civati balla da solo, ma anche questa non è una novità.
C’è poi uno sparuto ma non meno combattivo fronte centrista. Dopo non pochi tormenti, l’Udc si è schierata per il no (ma Casini e Galletti presidiano saldamente la sponda opposta). Al cospetto di una platea non proprio gremita nel Tempio di Adriano, a presentare il comitato c’erano Cesa, De Poli, i De Mita (zio Ciriaco e nipote Giuseppe), Dellai e il sempre brillante Marco Follini, defilato dalla politica e ora presidente dell’associazione produttori televisivi. Mario Mauro, Gargani e Giovanardi si sono fatti un autonomo Comitato popolare per il No, arruolando un altro presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli.
Quagliariello e Onida hanno scritto un libro per sostenere il No, in quanto ex saggi riformatori della Commissione Napolitano. Molta saggezza c’è anche nell’appello per il No di 56 costituzionalisti (tra i quali diversi presidenti emeriti), che pure non disconosce alcuni aspetti positivi della riforma.
La frammentazione del fronte del No ha diverse ragioni. Una culturale: c’è chi difende l’intangibilità assoluta della Carta del ’48 e chi vorrebbe cambiarla più di Renzi. Una politica: ciascuno combatte con obiettivi diversi. E ha bisogno di visibilità per intestarsi, almeno pro quota, la paternità della crociata. E riscuoterne, in caso di successo, i dividendi.
Ma ai più avveduti non sfugge il potenziale autolesionistico del caleidoscopio del No. Al dunque, il Sì schiererà una falange compatta attorno a leader riconoscibili (Napolitano, Renzi, Boschi) e a pochi slogan di facile presa. Il no si presenterà con piglio brancaleonesco, parole d’ordine molteplici se non contraddittorie, assenza di frontman.
La strategia suggerirebbe condivisione, la tattica no. In primis in Forza Italia e nel Movimento 5 Stelle. Berlusconi non è personalmente ingaggiato. Formalmente per il No, i grillini sono sostanzialmente inattivi. Tempo fa avevano cercato costituzionalisti per fare un comitato, poi sono spariti. Nella raccolta delle firme si sono disimpegnati. Idem sull’ipotesi radicale di spacchettare i quesiti. Forse perché se cade la riforma costituzionale viene meno anche l’Italicum?
«Quello del M5S è un No con lingua biforcuta - ironizza Follini - Berlusconi manderà in tv Brunetta a strillare per il No e Barbara D’Urso a sorridere per il Sì». Babele berlusconiana. Mai casuale, però.