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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

WAITING FOR HELMUT

«Follow me...». Due parole, le ultime. Alla sua prima modella e all’ultimo viso di donna impresso nel cristallino. Helmut Newton ha 83 anni quando realizza un sogno di gioventù. Esce dal suo nido losangelino, l’hotel Château-Marmont. Vuole provare il nuovo bolide, una Cadillac vin- tage bianca. Lui sta davanti e le dice di seguirlo con l’auto noleggiata. Lei lo vede accelerare, troppo. Si dirige contro un muro. Lo schianto, un malore. Il cuore. Quello dedicato, per tutta la vita, alla celebrazione della donna. E tutte le donne che Newton fotografa sono le mille sfaccettature di June. June Browne Newton, complice e collega che opera «dans l’ombre d’une lumière». Lo segue, cammina sempre un passo dietro al marito. Nella vita, come davanti alla parete della morte.
La fascinazione per le belle macchine gli è letale, quella per le belle donne gli permette continue rinascite. L’infanzia del fotografo berlinese è tempestata di Tabaccaie, Volpine e Gradiscile sui generis. Il piccolo Helmut è sedotto dal fascino della madre, fiera delle sue gambe. A 7 anni incontra Erna la Rossa, prostituta avvezza a frustini e stivaloni a mezza coscia. Nelle notti d’estate sbircia le giovani donne di servizio prussiane ballare nel giardino di casa. Nello studio di Else Simon s’infatua dell’assistente della fotografa, delle sue curve sotto- lineate dalle luci rosse della camera oscura.
Come affetto dalla sindrome di Pigmalione, grida alle sue creature di prendere vita sulla pellicola. Le Newton ladies sono femmine dominatrici, con o senza vestiti. Non strumentalizzate, bensì esaltate, conferiscono valore all’oggetto pubblicizzato. Donne guerriere la cui arma, micidiale, è la seduzione. Mai attacchi e proteste femministe furono più infelici. Pattysmitherianamente parlando, Women have thè power. Pubblica Un mondo senza uomini, espressione visionaria di una società in cui le donne hanno conquistato potere e soldi a sufficienza da fare a meno degli uomini. Un «I had a dream» con valenza, sessualmente e socialmente, futuristica. Newton, con le sue donne cromate e carenate di almodovariane scarpe col tacco, è un futurista. Svecchia la concezione del nudo femminile, esaltandone vigore e monumentalità. Fonde le linee morbide femminili con quelle spigolose e scattanti delle moto. La sintesi tra donna e mezzo. Due passioni che si accavallano, due mondi in cui evadere. Come vi evade Ligabue sulle moto Guzzi barattate con le sue tele.
La donna di Newton è anche capace di ritorni dal futuro. Nella Grecia classica. Posa come una statua, una scultura di Fidia. Il suo erotismo austero e glaciale la rende ieratica. Come Lisistrata di Aristofane è consapevole della forza che le viene dal potere della seduzione, del sesso, della persuasione dei sensi. Come Cleopatra è ambiziosa, carismatica e audace. È la donna fatale dell’iconografia del Decadentismo, la vamp e la divina iconizzata dal cinema americano. Sedotto precocemente dalla bellezza femminile, l’obiettivo della fotocamera di Newton diventa, a sua volta, seduttore. Induce l’osservatore a entrare in una relazione sensuale con i suoi scatti. La vera seduzione non si esercita nel soddisfare il desiderio, ma nel suscitarlo. E Newton, come i seduttori settecenteschi, come il seduttore esteta e provocatore di Wilde, come il seduttore sensuale di Kirkegaard, vede, desidera e ama. «Come cominciamo a desiderare, Clarice? Il desiderio nasce da quello che osserviamo ogni giorno», parola di Hannibal Lecter. Non basta conquistare, bisogna imparare a sedurre, dice Voltaire. Newton porta l’erotismo nella fotografia di moda, lo fa con ironia e provocazione. Come Gainsbourg nella canzone francese. A volte sfiora il kitsch, molto più eccitante del comune buon gusto. Dalle mises sadomaso trapela la violenza latente dei giochi di potere altoborghese. Giudicato talvolta «trop cochon», al pari di Modigliani e dei suoi nudi scevri di ogni pudore. Come Caravaggio, anche Newton trasfigura puttane in madonne. E come il pittore barocco drammatizza la scena, così Newton, armato di Hasselblad, Rolleiflex e di meticolosità compositiva, rende teatrale il set fotografico. Un teatro che con l’assurdo di Beckett condivide la nozione di tempo senza tempo, di un’attesa di eventi non definiti né definitivi. Le modelle, a cui un certo Godot ha dato appuntamento, aspettano. Sono fiduciose, e anche se annoiate e stanche, restano. Il loro è un passare il tempo ma anche andare oltre il tempo. «L’attesa del piacere è essa stessa il piacere» scrive Gotthold Lessing. Newton fotografa anche le coulisses, lo spazio dell’attesa, i non-luoghi. Somewhere è il film, del 2010, che Sofia Coppola gira nella cornice hollywoodiana dell’hotel dei vip, il Château-Marmont. Una sera di 6 anni prima, la regista incrocia Newton nell’ascensore dell’albergo. Ammira il suo lavoro. Il fotografo se ne rallegra ma va di fretta, deve uscire per provare una Cadillac nuova di pacca. Le propone di aspettarlo per bere qualcosa al suo ritorno. Lei lo aspetta. Non lo segue.