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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

PIÙ CHE STRUMENTO, PER MOLTI FU MUSA E AUTENTICA AMICA

PIÙ CHE STRUMENTO, PER MOLTI FU MUSA E AUTENTICA AMICA –
Giuseppe Tomasi di Lampedusa
Verso l’inizio della primavera del 1956, quando furono completati quattro capitoli, Orlando [a cui Tomasi a partire dal 1953 aveva tenuto un ciclo di lezioni di lingua e letteratura inglese], indovinando di far piacere al maestro, poiché questi non aveva una buona macchina per scrivere, gli propose di dattilografare quanto andava scrivendo. L’allievo conosceva già il testo, sia per aver letto egli stesso i primi due capitoli ad alta voce, come dapprima desiderava l’autore (quasi per verificarne l’effetto), sia per aver ascoltato i successivi dalla viva voce dell’autore [...].
In via Dante 15 [a Palermo], nello studio legale del padre, nei soli giorni pari in cui questo era chiuso, Orlando, discretamente veloce sotto dettatura, batté a macchina il manoscritto, facendone quattro copie con carta carbone. Nelle prime ore di tanti pomeriggi della primavera del 1956, dopo aver pranzato insieme nel vicino ristorante Castelnuovo, rimpetto al Politeama, Lampedusa, «da una poltrona in camicia color tabacco o cenere con maniche corte, dettava con voce chiara, fumava e sudava, interrompendosi spesso anche per alleviare urbanamente la meccanicità» del compito.
[Andrea Vitello, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Sellerio, Palermo 2008, pag. 230]
Dino Campana
Lei, cavaliere [Giovanni Bucivini-Capecchi], come conobbe Campana?
Sono pensionato, dopo oltre cinquant’anni di servizio presso l’Amministrazione comunale di Marradi quale capo dell’Ufficio di Stato Civile dell’Anagrafe. Quindi è naturale che io abbia conosciuto bene Dino Campana. Anche perché coetaneo di lui: io del 1888 e lui del 1885. Dino veniva nel mio ufficio e, senza badare se le esigenze lo permettevano, ordinava al mio dattilografo di battere a macchina i versi che egli dettava dagli appunti presi su pezzetti di carta straccia e che tirava fuori dalle varie tasche del suo vestito. Accadeva spesso che il dattilografo commettesse degli errori di scrittura e allora Campana, dopo un sacco di improperi, non esitava a strappargli il foglio e a fargli ripetere la battuta.
[Sergio Zavoli, Campana Oriani Panzini Serra. Testimonianze raccolte in Romagna, Cappelli, Bologna 1959, pag. 99]
Luigi Pirandello
[1932]
Solitudine d’un uomo arrivato alla celebrità. Pirandello in tutti i suoi atteggiamenti ha l’aspetto dell’uomo solo. Spesso tiene le mani nelle tasche dei calzoni, coi gomiti stretti ai fianchi. A volte apre lui la porta a chi suona. Non vuole disturbare il suo autista che s’è comperata una macchina da scrivere e sta componendo una commedia.
[Corrado Alvaro, Quasi una vita, Bompiani, Milano 1950, p. 109]
Giorgio Scerbanenco
Il suo era un lavoro ordinato e continuo: cominciava come un operaio al mattino: si metteva alla macchina da scrivere ed andava avanti con le sue storie al ritmo di quattro cartelle all’ora. Scriveva ovunque, anche in vacanza. A Lignano Sabbiadoro, dove passava l’estate con la sua compagna e le due bambine, la portatile lo seguiva anche sulla spiaggia. E lui come se fosse nel deserto del Sahara, senza un’anima intorno, scriveva. Rientrando in casa, lasciava sulla spiaggia, come un costume da bagno, la macchina da scrivere per il giorno dopo.
[Gaetano Afeltra, Milano amore mio, Rizzoli, Milano 2000, pag. 167]
Umberto Saba
Trieste, 27 ottobre 1947
Mio caro Alberto,
così queste sono le ultime righe che scrivo sulla tua macchina. Mi aveva servito per Mediterranee, per Storia e Cronistoria, per i miei articoli sul Corriere, ecc. Speravo che te ne fossi… dimenticato.
Oggi stesso, al più tardi domani, te la rispedisco. Non so come si fa; ma incaricherò Carletto.
Grazie ad ogni modo di avermela lasciata per un tempo così lungo.
Se avessi soldi te ne avrei spedita una nuova uguale, perché a questa ero affezionato, anche perché me l’avevi prestata tu. Un affettuoso abbraccio dal tuo
Saba
Com’è giusto riceverai la macchina franca di porto.
Milano 30 ottobre 1947
Mio caro Umberto,
quella macchina non è più mia, è tua: la macchina con la quale Saba ha scritto Mediterranee, Storia e Cronistoria, gli articoli per il Corriere e scriverà ancora, per gioia sua, degli amici cari e di coloro che in eterno ameranno la poesia, altra Mediterranee altra Storia e Cronistoria altri articoli per il Corriere.
Appena mi sarà restituita dal Presidente, ti sarà rispedita: è un mio dono. E se non te ne mando una nuova è perché non sarebbe quella.
Non azzardarti – è una minaccia, vedi – a spedirla in porto franco. Non tollererei da te l’offesa.
Ti abbraccio, Umberto caro, e voglimi sempre il bene che ti voglio.
tuo
Alberto Mondadori
[Alberto Mondadori–Umberto Saba, Ti scrivo dalla tua macchina. Lettere 1946-1947, Edizioni Henry Beyle, Milano 2011, pp. 23-26]
Vittorio Sereni
Tramezzo, 9 agosto 1948
Caro Attilio,
dì la verità che questa non te l’aspettavi. È anzi una duplice novità, visto che ti mando niente meno che il soggetto cinematografico e per giunta autodattiloscritto, com’è la presente. (Almeno, d’ora in poi, i miei amici non impazziranno a decifrare la mia scrittura.
[Attilio Bertolucci–Vittorio Sereni, Una lunga amicizia. Lettere 1938–1982, Garzanti, Milano 1994, pag. 147]
Beppe Fenoglio
Alba, 16 giugno 1953
Caro Calvino,
scusa il disturbo, ma dovresti vedere o far vedere se su I Ventitre giorni mi compete ancora qualcosa, oltre le L. 50.000 a suo tempo versatemi. In caso affermativo, favorisci disporre che quanto ancora mi viene mi sia rimesso con sollecitudine cortese. Ho cambiato macchina per scrivere e sono imbarazzato, al momento, per la copertura della differenza. Grazie anticipatamente dell’interessamento.
[Beppe Fenoglio, Lettere. 1940–1962, Einaudi, Torino 2002, pag. 64]

* La diatriba se si debba scrivere “macchina da scrivere” o “macchina per scrivere” nelle redazioni dei giornali dura da sempre. A quanto pare gli scrittori preferiscono la prima versione. I giornalisti spesso la seconda.

In collaborazione con Edizioni Henry Beyle