Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  luglio 22 Venerdì calendario

CRAXI: “INDRO MERDOLINA…”. SILVIO: “LO MANDO A CACARE”

Metti un’estate al telefono, con Silvio Berlusconi e Urbano Cairo a Portofino e Bettino Craxi che chiama da Roma per protestare contro gli sberleffi di Indro Montanelli sul Giornale del Cavaliere. L’estate è quella del 1983. Le elezioni anticipate del 26 giugno hanno appena registrato una batosta della Dc di Ciriaco De Mita, una deludentissima micro-crescita del Psi di Craxi e un balzo in avanti del Pri del premier uscente Giovanni Spadolini. Ma, per le incomprensibili alchimie di palazzo, lo stop all’“onda lunga” di Bettino ha accelerato la sua ascesa a Palazzo Chigi.
L’accoglienza che gli riserva Montanelli non è delle migliori. E il fatto che il nuovo premier sia il compare del suo editore non gli frena la penna, anzi. Indro apprezza alcuni aspetti della politica craxiana, come il solido ancoraggio filoatlantico e anticomunista e l’abbandono del vecchio massimalismo socialista. Ma detesta i tratti duceschi del personaggio. Del resto ha appena messo alla porta il suo condirettore Enzo Bettiza (che aveva con lui fondato il Giornale nel 1974) e il suo notista politico Francesco Damato, troppo filosocialisti per i suoi gusti. E, appena Craxi sale a Palazzo Chigi, ne denuncia subito i “metodi alquanto spicciativi e disinvolti, più da padrino che da leader”, nonché “il personaggio arrogante, un po’ guappesco”, con “un concetto del potere alquanto padronale. Credo che capisca poco di economia (se ne capisse, del resto, non farebbe il socialista) e che non sappia nulla della ‘macchina’ dello Stato. Fra gli uomini del suo seguito, ce ne sono ben pochi che ispirino fiducia”.
Insomma, scrive il grande giornalista, “Craxi ha una spiccata – e funesta – propensione a considerare nemici tutti coloro che non si rassegnano a fargli da servitori. Sono pochi, intendiamoci, i politici immuni da questo vizio. Ma alcuni di essi sanno almeno mascherarlo. Craxi è di quelli che l’ostentano sino a esporsi all’accusa di ‘culto della personalità’… Non che a noi italiani certi atteggiamenti dispiacciano, anzi. Ma perché in fatto di guappi siamo diventati, dopo Mussolini, molto più esigenti: quelli di cartone li annusiamo subito”.
Bettino monta su tutte le furie e il 25 agosto ordina alla sua segretaria, Serenella Carloni, di cercargli Berlusconi al telefono. Noi lo sappiamo perché in quel momento il Cavaliere è intercettato dalla Procura di Milano, che indaga su di lui per traffico di droga (indagine che sarà archiviata nel 1991). Serenella chiama la villa di Arcore, dove fa la guardia la segretaria Marinella Brambilla, che dirotta la telefonata sulla villa dell’Olivetta a Portofino, residenza estiva di Berlusconi, e si fa passare il suo giovane assistente, il 26enne Urbano Cairo. Questi si fa dettare il numero dell’hotel Raphael e poco dopo lo compone, passando “il dottore” al “presidente”. Silvio, azzerbinato ai piedi del premier, tenta di lisciargli il pelo: “Sei contento, Bettino? Meglio di così non potevi iniziare… c’è in giro molta simpatia, molta molta molta”. Ma quello non si fa incantare e viene subito al punto: vuole parlargli di Montanelli che “è sempre una merdolina”. I due compari si ripromettono di discuterne a voce dopo qualche giorno a Milano.
Il nuovo governo dovrà mettere ordine nel Far West televisivo che, in assenza di regole, ha consentito al Cavaliere di fare man bassa di emittenti (anche Italia 1, rilevata da Edilio Rusconi nell’82, in aggiunta al suo Canale5), antenne, frequenze e pubblicità. Insomma, Craxi lo tiene per le palle. Ma Montanelli se ne infischia: quando ha fatto entrare Silvio nella compagine azionaria, nel 1977, è stato chiaro: “Tu sei l’editore, ma io resto il padrone”. E non ammette interferenze. Infatti il 26 agosto pubblica una cronaca piena di particolari pepati sullo scontro nel governo fra la linea del rigore finanziario di Spadolini e quella più allegra di Dc e Psi.
Craxi riperde la pazienza e l’indomani si riattacca al telefono per protestare con B. Stavolta con toni minacciosi: “Questa è la conferma dell’atteggiamento di ostilità nascosto di questo Giornale… il solo che mi ha insultato e mi ha chiamato ‘guappo’ per la penna del suo direttore… Ne prendiamo atto e ne tireremo tutte le conseguenze, che devo fare?”. Il povero Silvio si rimette sull’attenti, balbetta all’amico di non fare così, promette di intervenire sulla linea del Giornale: “Tiro fuori le unghie, batto i pugni sul tavolo, mi impongo io”. E, se “il signor Montanelli fa le bizze”, cioè si ostina a fare il giornalista libero, “lo mando a cacare… al diavolo… affanculo, Cristo!”, e magari “gli taglio i soldi”.
Appecoronato con Craxi, Berlusconi ha però anche un sacro timore reverenziale di Montanelli. Infatti non è certo a lui che telefona per ammorbidire la linea del Giornale. Chiama, invece, il più accomodante condirettore Gian Galeazzo Biazzi Vergani, rimasto a Milano mentre Indro è in vacanza a Cortina. E lo prega di spendersi perché il Giornale tratti un po’ meglio Bettino, che “è un amico” (tant’è che “ho fatto tanto per aiutarlo in campagna elettorale”), ma soprattutto Craxi “è quello che ci deve fare la legge sulla televisione”. Ma si raccomanda: “Non dire niente a Indro”. Quello sarebbe capace di intensificare gli attacchi a Craxi per ribadire l’assoluta indipendenza del Giornale.
Il seguito della lite a distanza non lo conosciamo, almeno nel dettaglio, perché le intercettazioni si interrompono il 6 settembre. Montanelli continuerà a criticare Craxi ogni volta che lo meriterà, ma Berlusconi troverà altri argomenti – versamenti estero su estero – per tener buono il compare. Che infatti un anno dopo varerà due decreti su misura per salvargli le tv dalle ordinanze dei pretori. Sempre in attesa, undici anni più tardi, al tramonto di Craxi, di salire lui stesso a Palazzo Chigi per farsi tutto da solo. Dopo aver cacciato Montanelli dal Giornale, si capisce.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 22/7/2016