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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

STESSO GIOCATTOLO E SALVO IL PESCARA- [Massimo Oddo] Il sistema Oddo oltre Zeman e Galeone: la scuola calcistica pescarese si arricchisce di nuovi concetti e, soprattutto, di un protagonista assoluto

STESSO GIOCATTOLO E SALVO IL PESCARA- [Massimo Oddo] Il sistema Oddo oltre Zeman e Galeone: la scuola calcistica pescarese si arricchisce di nuovi concetti e, soprattutto, di un protagonista assoluto. Archiviata l’avvincente affermazione ai play off di B contro lo spigoloso Trapani di Serse Cosmi e riportato il Pescara in A a distanza di quattro anni dall’ultima impresa firmata dal tecnico boemo con Immobile, Insigne e Verratti in campo, il giovane tecnico abruzzese si gode la meritata gloria, consapevole che il bello deve ancora arrivare. Intanto i teorici si affaticano a definire il suo calcio totale, una sorta di “tiki-taka all’abruzzese” che in realtà non si sviluppa assolutamente sul possesso palla, come ha avuto più volte modo di spiegare lo stesso ideatore, ma piuttosto sul movimento perpetuo dei suoi interpreti, mai nella stessa posizione in campo, principalmente nella fase offensiva che diventa una sorta di giostra travolgente e inarrestabile. È stata questa la strada che ha permesso a Oddo di sbriciolare antagoniste agguerritissime e provare, nell’ultimo campionato cadetto, a interrompere lo strapotere del Cagliari di Massimo Rastelli e del Crotone di Ivan Juric, organizzato e tenace, entrambe promosse direttamente in A. Il Pescara ha dovuto vincere i play off: dopo aver eliminato il Novara dell’ex Marco Baroni, è toccato al Trapani in una doppia finale davvero molto intensa lasciare libero il passo per la A. Il vecchio mago perugino e il giovane tecnico emergente, umile e ambizioso, con il suo calcio spettacolare e avvincente. È finita con Serse in lacrime al Provinciale e Massimo ad accarezzarlo e consolarlo, gesti di pura umanità che raccontano tante cose di questo allenatore con le idee molto chiare non solo per quanto riguarda il suo calcio, totale e travolgente. Addirittura oltre Zeman. Massimo Oddo, il suo Pescara in A è pronto a riproporsi in modo così spettacolare e sempre votato all’attacco? «Il sistema di gioco che un allenatore può adottare dipende sempre dagli interpreti. Avevo giocatori di qualità e ho potuto farlo nello scorso torneo. Se dovessimo ricostruire una squadra con quelle caratteristiche lo riproporremo. Anche perché io credo che tutto passi attraverso il gioco. Ma i bravi allenatori sono quelli che sanno mettere in condizione i propri calciatori di rendere al meglio, al di là del sistema che si adotta». Ma tra le due categorie lei ha sempre sostenuto che le differenze sono enormi, non solo in termini di qualità. Come è possibile che un approccio così marcatamente propositivo del suo Pescara visto nello scorso campionato possa essere trasferito in una categoria superiore senza aggiustamenti? «È abbastanza normale che ci sia la necessità di inserire in rosa elementi di maggiore qualità. Ma noi non abbiamo mai attaccato per novanta minuti, bisogna saper leggere le gare. Io vorrei assemblare una squadra sulle orme dell’ultimo Pescara. L’esempio di Sarri e Giampaolo ad Empoli dimostra chiaramente che sono possibili visioni di calcio sostenibili in A anche non avendo grandissimi campioni. Sono visioni che mi appartengono e che condivido». Ma sarà necessaria una buona dose di equilibrio per difendere la promozione appena conquistata? «Certamente. Ci saranno avversari che hanno fisicità e qualità maggiori. Ecco perché servono giocatori che sappiano attaccare e difendere, padroni delle due fasi, che sappiano capire e leggere meglio le gare, interpretandole nei tempi e nei modi giusti». Lei si è segnalato, oltre che per la spettacolarità del suo sistema di gioco, anche per la capacità di valorizzare giovani. Un vero peccato smembrare questo Pescara. «Noi abbiamo messo sul piatto della bilancia la possibilità di perdere Lapadula, non altri. La mia esperienza da calciatore mi dice che in Serie A non puoi sempre ricostruire. Serve una base assestata da consolidare. Questo è un piano condiviso dalla società. Certo, se arriva il Milan che vuole un calciatore non si può dire di no. Ma poi servono sostituti adeguati». Ci dice qual è stato il momento in cui lei ha davvero compreso che avreste potuto competere per la promozione? «Ho capito subito che avevamo un gruppo di qualità e che se avessimo avuto una giusta crescita avremmo fatto un grande campionato. Così è stato. I giovani sono migliorati tantissimo e la squadra ne ha beneficiato». Secondo lei chi ha giocato meglio nello scorso torneo cadetto? «È un pensiero del tutto soggettivo. L’identità conta molto di più dell’estetica. Gli allenatori si possono valutare da tanti punti di vista. Ci sono stati tanti tecnici che hanno dato un’impronta al loro lavoro e ai gruppi che hanno allenato: Drago, Juric, Cosmi». La partita che cancellerebbe? «Diverse, non tantissime. L’andata con il Novara, quella di Vercelli, a Cesena. Gare che abbiamo toppato clamorosamente». Quella che invece definirebbe la gara perfetta? «Nessuna gara è mai perfetta. Quella di Perugia, tuttavia, è andata abbastanza vicina alla perfezione». Davvero credeva di vincerle tutte le partite dello scorso campionato quando pronunciò quell’affermazione alla vigilia del match di Cagliari o era solo una provocazione? «Mi riferivo al fatto che il Pescara aveva tanta qualità che avrebbe potuto vincerle tutte le partite. La comunicazione diretta vale molto, ma anche attraverso i giornali si possono dare dei segnali al gruppo. Una strategia comunicativa che a volte funziona. Noi per mentalità dovevamo scendere in campo sempre per fare punteggio pieno attraverso il gioco. Così ci sarebbero state più possibilità di arrivare alla fine da protagonisti. Ovviamente sappiamo che non è possibile vincere sempre. Ma rinunciare in partenza a questa eventualità è un errore». Non le è sembrato un progetto eccessivamente ambizioso? «Io penso che qualsiasi allenatore debba avere l’ambizione di provare a vincere sempre ovunque. Poi non è detto che ci si riesca. Ma non mi interessa firmare prima per un pareggio. Diciamo che la mentalità vincente è prioritaria». Qualcuno scambia le sue certezze e i suoi atteggiamenti così poco provinciali per presunzione. Cosa replica? «Quando uno definisce una persona dovrebbe conoscerla profondamente. Chi mi conosce sa che sono una persona molto umile. Avere un’idea in testa è diverso da ostentare sicurezze. Talvolta questi presupposti vengono travisati. A volte ho dovuto fare dichiarazioni forti per dare un messaggio. Ma io dico sempre quello che penso. Non amo le ipocrisie. Se ritengo che posso battere un avversario, non dichiarerò mai alla vigilia che l’obiettivo è diverso o che punto a salvarmi». Ma c’è un aggettivo giusto per definire Oddo? «Sono diretto. Cioè, difficilmente mi nascondo. Io amo dire sempre la verità. Non mi piacciono i giri di parole». Il complimento o il messaggio più bello che ha ricevuto per quest’impresa compiuta col suo Pescara? «Ce ne sono stati tantissimi. I più belli sono quelli che ricevi da chi ti ha criticato in passato. Se riesci a far cambiare opinione a qualcuno vuol dire che si sono create le condizioni perché il tuo lavoro è diventato evidente. Tanto da far rivedere i propri giudizi a chi non credeva in te». A chi ha dedicato la promozione? «La promozione la dedico da una parte a tutti gli scettici e dall’altra a chi mi è stato sempre vicino. Dunque ai miei figli Davide e Francesco e a Roberta, la mia attuale compagna». A proposito di confronti, che effetto le ha fatto essere messo in concorrenza con un maestro come Zeman e aver poi vinto sulla panchina del Pescara che sembrava essere stata promessa a lui la scorsa estate? «A me interessa essere apprezzato per quello che faccio, non per i paragoni con altri allenatori. Ho sempre pensato che il fatto importante sia riuscire a fare le cose in proprio. Poi può essere anche gratificante essere accostati a un tecnico grandissimo come Zdenek e vorrei anche chiarire che non c’è stata nessuna polemica. Ho avuto la fortuna di prendere il Pescara a una giornata dalla fine della stagione regolare un anno fa e di fare benissimo ai play off sfiorando la A contro il Bologna. Al boemo era stata fatto una promessa. Ma io speravo di poter continuare il mio lavoro. E così è stato. Zeman è un grandissimo allenatore, io sono un giovane emergente, non c’è mai stata nessuna competizione tra di noi, ci mancherebbe. Il Pescara ha dei dirigenti che hanno effettuato delle scelte in base ai risultati. Tutto qui». Comunque, lei un modello di allenatore a cui s’ispira ce l’ha in famiglia. Da suo padre Franco sono arrivati più consigli o più critiche? «Non è che parliamo molto di calcio. Certo lui prova grande soddisfazione per quello che ho costruito a Pescara. Siamo abbastanza simili per tante idee e diverse per altre. Lui è stato un innovatore, giocando a zona, non adattandosi a una sola cultura calcistica. Ma io non mi ispiro a nessuno. Ho imparato dai tanti allenatori che ho avuto da calciatore, anche nei settori giovanili. Riascolto tutto, poi ci metto del mio. Ho rubato a Lippi, Ancelotti, Novellino, Malesani, ma ogni cosa è stata omogeneizzata dalla mia idea di calcio. Ho imparato soprattutto dalle esperienze negative. Provo a non riprodurre errori che gli altri hanno fatto con me. Sul piano non tanto tecnico, quanto umano e gestionale. Io cerco di essere sempre schietto e di dire la verità in ogni circostanza. Anche quando non è quella che i calciatori si attendono». Il tecnico che l’ha influenzata di più sul piano tattico o come metodo di lavoro qual è stato? «Tutti e nessuno in particolare. Ho un metodo che mi sono creato elaborando tante cose». Questo “tiki-taka” all’abruzzese la fa più ridere e divertire o ci crede anche lei davvero e non solo certi giornalisti abbastanza fantasiosi? «Chiariamo subito un concetto fondamentale: il famoso possesso palla non è alla base del mio calcio. A me interessa verticalizzare l’azione con velocità. Ma gli altri ti studiano e allora per cercare di fare quello che voglio, il gioco verticale, appunto, ci devi arrivare attraverso un possesso palla finalizzato a trovare varchi per andare a rete. I lanci lunghi non mi piacciono, preferisco trasmettere la palla rapidamente per sorprendere gli avversari. È il modo per creare più spazi. Ma per fare questo, serve qualità. L’alternativa è aprire il gioco andando sulle seconde palle. Ma se riesci a giocare velocemente, il pallone è sempre in anticipo sui movimenti dell’uomo e hai certamente un vantaggio». Oddo, può spiegarci, sinteticamente, come fa a far giocare così bene la sua squadra anche alternando spesso i protagonisti in campo? «Non sono un allenatore monoculturale. Non mi piacciono le costrizioni, preferisco mettere i calciatori nelle condizioni di rendere meglio. Il mio primo concetto è “ogni uomo al posto giusto”. Per esempio, se non ho gli esterni non faccio il 4-3-3. Poi non ci sono movimenti o tattiche prestabilite. Sono per la libertà di pensiero. Ciò significa che il calciatore deve saper risolvere da solo le situazioni. Saper occupare gli spazi. Questo mi concede di non dare punti di riferimento agli avversari, ma sorprenderli sempre con movimenti nuovi. Se gioco con il play e l’avversario lo capisce e viene a pressarlo, tocca al mio giocatore diventare mezzala spostandosi in campo. Voglio un gioco in movimento. Non mi piace un calcio integralista, alla Zeman per intenderci. Non esistono movimenti schematizzati. Tutto deve nascere dal pensiero. Sono per il giocatore pensante, non per quello esecutore meccanico». In A, dunque, guidando il Pescara: si sente pronto? «Spero di sì. Ho grandissimo entusiasmo. Nel calcio ci debbono essere i giusti passaggi. Io sono già stato fortunato ad accorciare i tempi lavorando in un club importante come il Pescara. Speravo di fare esperienza e di arrivare in A alla guida della squadra della mia città. L’obiettivo adesso e restarci. Poi, nella vita non si sa mai». Oddo, tra le tante squadre in cui ha giocato, c’è anche il Napoli, sia pure agli esordi della sua carriera. Pensa che lo scudetto possa essere un obiettivo perseguibile per la compagine di Sarri, finalmente? «Ho una grande stima di Sarri. Ho imparato molto, per esempio, su ciò che lui ha rielaborato sulle uscite difensive e ho capito tante cose. La Juve così forte lo ha penalizzato. Il prossimo anno potrà raccogliere i frutti del suo lavoro. Credo possa avere la possibilità di vincere. La Juve ha qualcosa in più in generale, però il Napoli ha grande entusiasmo, il pubblico e il gioco. È sempre attraverso il gioco che si può vincere. Ecco perché penso che ci siano per lui buone prospettive». Allegri è un altro allenatore che si è formato alla scuola pescarese riconducibile a Galeone a Pescara: cosa le piace di più del tecnico campione d’Italia? «Mi piace come comunica, un vero maestro, come sul campo. È estremamente sereno anche nelle difficoltà. Io l’ho avuto al Milan come allenatore e ho apprezzato tante cose, soprattutto il carisma. La scuola pescarese? Boh! Giovanni Galeone è stato un grande tecnico e un grande innovatore. Ma Gasperini e Allegri sono completamente diversi da lui. Penso sia una casualità». Su cosa può contare la Juventus rispetto agli altri club, a parte uno stadio moderno e un fatturato da top club? «L’organizzazione societaria. Un elemento imprescindibile per un club che voglia ambire a risultati importanti a livello internazionale. Dietro una grande squadra c’è sempre una grande società, competente e lungimirante» Ci indica dei giovani di B pronti per i grandi club del nostro massimo campionato? «Ce ne sono tantissimi che se messi nel contesto giusto possono esprimersi bene. Lapadula, non a caso passato al Milan. Poi Mandragora, Caprari, Torreira: sono pronti. Budimir ha la fisicità per giocare ovunque. Mi piace anche Ferrari che ho visto a Crotone. Anche Faragò del Novara. E potremmo proseguire all’infinito. Insomma ce ne sono moltissimi di elementi interessanti che meriterebbero un’opportunità. La B anche da questo punto di vista funziona e andrebbe presa come esempio. Poi serve il coraggio di far giocare i giovani e dare loro il tempo di sbagliare e di crescere attraverso gli errori. Io ad Avellino ho giocato in difesa con tre ’97!». Ai tifosi del Pescara cosa sente di promettere? «Il massimo impegno per cercare di realizzare il mio secondo sogno: salvare il Pescara. Spero di riuscirci e di essere all’altezza di questa grande mission». Poi un grande club nel futuro? «Chi lo sa? Il futuro si costruisce ogni giorno, prima c’è sempre il presente». Tullio Calzone