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 2016  luglio 22 Venerdì calendario

LA COPERTINA DELL’ECONOMIST SULL’ITALIA

Ogni tanto all’Economist si divertono un po’ con l’Italia e intanto, come potrebbe pensare qualche ingenuo seguace del pensiero magico, ce la tirano.
Ma per quanta ragione abbiano avuto i gufi sul piano dell’economia, su quello dell’estetica la copertina si presenta piuttosto sciatta, scontata, bruttina. L’autobus tricolore con su scritto «Banca» e sotto, in caratteri più piccoli, l’incongrua dizione «La società di autopreservazione», appare sospeso sul ciglio del precipizio; il portellone posteriore è già aperto e nel vuoto, oltre ad alcune pietre ruzzolate giù, si nota l’automobile britannica, ormai votata alla sciagura. Al volante del pullman in bilico c’è un minuscolo, ma ilare Renzi in camicia bianca e telefonino d’ordinanza. L’immagine è purtroppo realistica, mentre lo strillo di copertina, «The italian job», che con ragionevole azzardo potrebbe tradursi come «Il colpo all’italiana», richiama un paio di thrilling inglesi a base di rapine e risate.
Il baratro è una parola di derivazione sanscrita che richiama in radice l’idea dell’inghiottire. Ma per le copertine del settimanale il rischio d’indigestione iconografica è molto alto, negli ultimi due o tre anni avendo con sconsolata ripetitività raffigurato dirupi, burroni e strapiombi sull’orlo dei quali continuano a trovarsi monete dell’euro, governanti e banchieri dell’euro-zona. Anche stavolta l’immagine sembra o forse vuole sembrare una locandina da film comico anni Settanta, ma finisce per assomigliare alla réclame di qualche luna park o a un collage un po’ scombiccherato. Se davvero è l’euro-apocalisse, torva o buffonesca che sia, si cerchi magari qualcosa di più fresco e all’altezza. Nel febbraio del 2013 l’Economist mostrò una Torre di Pisa sradicata dal terreno e più pendente del solito: andava già meglio, ma la fantasia resta prevedibile e ripetitiva. Due estati fa fu la volta della barchetta di carta dell’euro che affondava con i leader europei dentro, fra cui Renzi con il gelato in mano. Messaggio perfino profetico, e però anche segnato dal più inconfondibile vorrei ma non posso.
Filippo Ceccarelli, il venerdì di Repubblica 22/7/2016