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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

BREXIT, 5 SCAPPATOIE PER BLOCCARLA

Il difficile cammino verso la Brexit iniziato venerdì scorso può essere invertito? È un’ipotesi che i non pochi britannici imbarazzati e gran parte del mercato stanno valutando. La Brexit apre un territorio inesplorato per Gran Bretagna ed Europa. Nessun Paese ha mai lasciato l’Unione Europea, rimarca il direttore della redazione londinese di MarketWatch Karen Friar. L’uscita dall’Ue è regolata dall’articolo 50 del Trattato di Lisbona, che presenta una nebulosa formula per rinunciare all’appartenenza al blocco. «Ogni Stato membro può decidere di recedere dall’Unione conformemente alle proprie norme costituzionali», cita la disposizione. Tuttavia con un paio di stratagemmi la Gran Bretagna potrebbe restare parte dell’Ue, anche perché il referendum del 23 giugno non è giuridicamente vincolante, pertanto il governo britannico non sarebbe in linea teorica obbligato a procedere con l’abbandono della membership. A dire il vero il primo ministro David Cameron lunedì scorso ha manifestato l’intenzione di onorare la maggioranza di quasi il 52% che si è espressa a favore dell’opzione Brexit. Inoltre ha ribadito l’intenzione di dimettersi al fine far emergere una nuova leadership che compia i prossimi passi dopo il fallimento dell’impegno da lui profuso a sostegno del Remain. «La decisione deve essere accettata e il processo di attuazione deve cominciare ora», ha affermato Cameron alla Camera dei Comuni in vista della riunione dei leader europei a Bruxelles. Ma non è un gioco da ragazzi. Secondo gli esperti, la marcia verso la Brexit potrebbe essere invertita o allungata. Ecco cinque possibili scenari.
1. Il rifiuto di sbrigare le pratiche. Il parlamento britannico potrebbe scegliere di non attivare l’articolo 50. In questo modo il governo non notificherebbe all’Ue l’intenzione di ritirarsi. È uno scenario improbabile: «Dal punto di vista politico nel caso di un referendum in cui così tante persone hanno votato esprimendo una chiara maggioranza è impensabile che il Parlamento vada contro la volontà del popolo», sostiene Nikos Skoutaris, docente di Diritto dell’Unione Europea all’University of East Anglia. Una volta attivato l’articolo 50, a meno che non sia approvata una proroga, Gran Bretagna e Ue avranno due anni di tempo per completare la rescissione. Tuttavia Kenneth Armstrong, professore di Diritto all’Università di Cambridge, ricorda che potrebbe avere luogo una trattativa separata e parallela finalizzata a rinegoziare gli accordi commerciali tra Ue e Gran Bretagna, che potrebbe richiedere diversi anni.
2. Il veto scozzese. Esito ancora più improbabile. Il primo ministro Nicola Sturgeon sostiene che lo Scotland Act del 1998 conferisce al Parlamento semi-autonomo l’autorità di rifiutare la votazione (gli elettori scozzesi hanno nettamente preferito il Remain). Gli esperti sottolineano che si tratta di un’interpretazione e che, in quanto nazione sovrana, la Gran Bretagna dovrebbe poter fare ciò che vuole, compreso procedere con la Brexit, continua Skoutaris. «Il Parlamento scozzese può complicare le cose, ma legalmente non può bloccare la Brexit», spiega Featherstone.
3. Lo shock economico per il Brexit-ripensamento. Lo shock economico scomodato dalla dialettica del fronte del Remain potrebbe introdurre un processo di allontanamento dalla Brexit. In questo caso la vox populi costringerebbe il governo a ripensare la Brexit, considerato il potenziale effetto destabilizzante sul lungo periodo ai danni dell’economia britannica. Lunedì Standard & Poor’s ha spogliato il Regno Unito dell’immacolata tripla A, menzionando «un quadro politico meno prevedibile, stabile ed efficace». E la sterlina ha continuato la caduta libera, crollando al minimo da 31 anni sotto quota 1,32 dollari.
4. Brexit-light: adesione parziale o associativa. La Gran Bretagna potrebbe trovare un nuovo accordo con l’Ue riformulando il rapporto con il blocco commerciale europeo. Secondo Skoutaris, potrebbe ricalcare i rapporti esistenti tra Ue e Norvegia e Islanda. Come osserva il Telegraph, il cosiddetto modello norvegese «soddisferebbe molte delle principali richieste del Leave; la Gran Bretagna sarebbe liberata dalla burocrazia di Bruxelles e dagli effetti soffocanti della politica della pesca e agricola comune. Resteremo parte del mercato unico senza gli orpelli dell’unione politica». A tutti i fini pratici si tratta comunque di una Brexit.
5. La seconda chance. È una variante dello scenario precedente. Dalle colonne del Financial Times Gideon Rachman ipotizza che l’Ue potrebbe pensare a qualche concessione per mantenere la Gran Bretagna all’interno dell’Unione garantendo un secondo referendum. Traccia un parallelo con il referendum della Danimarca, che ha votato il ripudio del Trattato di Maastricht nei primi anni ‘90, e il caso dell’Irlanda, che è stata chiamata alle urne con lo scopo di rigettare il Trattato di Nizza nel 2001. Sempre secondo Rachman, una delle personalità più in vista della compagine del Leave, ossia Boris Johnson, si sarebbe impegnato in questo senso per mettere le mani sulla carica di premier e potrebbe quindi abbassare i toni una volta raggiunto l’obiettivo. La petizione per un nuovo referendum ha già raccolto milioni di firme, ma a questo punto potrebbe essere inutile. Ma se la questione tornerà ad animare accesi dibattiti, tutto potrebbe ancora mutare. Il governo è allo sbando: le dimissioni di Cameron lasciano il partito conservatore nel caos e il partito laburista, guidato da Jeremy Corbyn, è di fronte a una vera e propria insurrezione. Ad ogni modo i mercati sono indirizzati verso una lunga e volatile pedalata. Con il continuo imperversare delle implicazioni della Brexit, il Dow Jones Industrial Average tra venerdì e lunedì scorsi è sceso di quasi 900 punti e lo S&P 500 ha chiuso a malapena oltre la soglia dei 2.000 punti.
Traduzione di Giorgia Crespi
di Mark DeCambre, MilanoFinanza – The Wall Street Journal 29/6/2016