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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

CALCIO, UNA RELIGIONE DI PALLONI GONFIATI E CIRCONFERENZE CELESTI

Che il calcio sia un fenomeno così seguito e diffuso può avere molte spiegazioni. Nel suo ultimo lavoro Marc Augé prova a identificare almeno tre buoni motivi di dipendenza dal pallone. Il primo, quasi dogmatico è che il calcio sia una religione.
Nel suo Football. Il calcio come fenomeno religioso (EDB, pp 48, euro 8), appena uscito in Italia in contemporanea con gli Europei, l’antropologo francese ipotizza che decine di migliaia di persone in uno stadio e milioni davanti agli schemi partecipino a un unico rituale. I praticanti a casa e la folla di fedeli in curva e tribuna assistono per 90 minuti a una celebrazione che ha come altare un prato verde. Tutti conoscono i dettagli della liturgia senza essersi messi d’accordo. Infatti si alzano, urlano, saltano, tornano a sedere più o meno allo stesso ritmo. Si tratta ovviamente di uno spazio sociale che comprende un culto centrale e dei culti domestici legati a dei parametri spazio-temporali: la finale degli Europei sarà senz’altro molto più partecipata delle competizioni giovanili in Molise.
Il secondo motivo del successo consisterebbe nel disvelamento del lato primitivo dell’umanità nel XXI secolo.
Per corroborare quest’ipotesi, Augé ricorre a Durkheim, che riteneva gli uomini estremamente acuti in alcune occasioni e in altre totalmente miopi, soprattutto davanti alla loro alienazione, quando manifestano nei fatti sociali una mentalità da primitivi. Forse non occorreva rifarsi a Durkheim e sarebbe bastato osservare come si salutano tifosi russi e inglesi appena s’incontrano per strada a Marsiglia o a Lille.
Un’ulteriore prova di primitivismo Augé l’identifica nel fatto che il calcio sia una religione unica, ma senza dei. E qua l’antropologo avrebbe dovuto studiare meglio cosa accadeva a Napoli negli Anni 80. La deificazione dei giocatori avviene soprattutto in contesti proletari, e Maradona con la sua mentalità guevarista ha rappresentato in Campania e in Argentina una sorta di deus ex machina, dispensatore di sollievo e di sogni di emulazione, come Kusturica ha esemplarmente mostrato ne La mano de dios.
Si tratta spesso di deificazioni a scadenza. Al termine della prima partita contro il Belgio, sembrava che Pellè sarebbe stato il prescelto. Una settimana dopo c’era già chi si domandava: Pellè chi? Poi, altro gol alla Spagna e di nuovo viva Pellè.
Marc Augé ovviamente non gestisce il calcio presente, quello iconoclasticamente firmato Nike o Adidas, e nel suo pamphlet guarda più al passato e troppo al nord, rifacendosi soprattutto al soccer inglese e poi a quello francese. Con l’aiuto degli studi di Tony Mason affronta la nascita e la diffusione del calcio all’interno delle varie classi sociali.
Praticato nelle piazze adiacenti alle chiese o ai pub, il gioco non si affermò come sport borghese, ma si diffuse popolarmente, ponendo una mai espressa ideologica dicotomia fra la tendenza egoistica del dribbling e la predisposizione sociale alla collaborazione.
In questa forbice di opportunità, una forbice che comprendeva anche professionismo e dilettantismo, atteggiamento agonistico e fair play alla Pierre de Coubertin (“l’importante è partecipare”) il calcio superò il rugby sia nel numero dei giocatori che nel numero degli spettatori.
Spettatori che comunque continuarono a identificarsi con la squadra in campo. Basti pensare a quanti cori ultras comprendono il pronome della prima persona plurale. Un noi che non consente un’alienazione vera e propria.
Il terzo motivo che crea dipendenza dal calcio è la sua capacità di concedere una risposta immediata agli interrogativi del futuro. Nell’attuale tempo occidentale vengono predilette le attività che possano dare senso alla vita, un senso a breve termine. Perciò secondo Augé gli stadi, pur essendo luoghi di senso, di controsenso e di non-senso, permettono attraverso il rituale della partita di colmare l’attesa.
Alla fine dei novanta minuti le sorte saranno decise e il futuro sarà esistito. E potrà riesistere ancora ogni mercoledì, ogni domenica.
Così gli Europei in Francia potrebbero essere un perfetto bersaglio del terrorismo. Le partite non sono soltanto partite, ma espressioni di una religione che non è quella del Daesh. E pensare che c’è ancora chi sostiene che il calcio sia soltanto un gioco.
VINS GALLICO, il Fatto Quotidiano 30/6/2016