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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

IN UFFICIO LA SFIDA FRA TRIBÙ SULL’ARIA CONDIZIONATA

Basterebbe un buon deumidificatore. Perché poi è quello, che davvero dà noia all’organismo: l’umidità. Ma vallo a spiegare ai colleghi, che si sentono in pace solo circondati da pernici artiche. L’estate, bandita dagli uffici, dove ufficialmente non è mai pervenuta, continua a contrapporre chi ha freddo e chi ha caldo: perlopiù maschi e femmine, ma non è detto, ci sono sempre eccezioni con cui è possibile creare inattese alleanze.
Resta il fatto che il cambio di stagione, in un open space , è pressoché inutile. Perché i maschi, non si sa perché, quando sono al lavoro non indossano mai sandali, abiti di lino, indumenti freschi e morbidi. E le femmine si ritrovano costrette a coprire spalle abbronzate, colli sottili, gambe finalmente libere dai collant. Se ne era occupata pure la rivista Nature Climate Change : anno dopo anno, a dispetto delle quote di genere e dell’emancipazione femminile, si perpetua la G reat Arctic Office Conspiracy , una grande cospirazione ai danni delle donne, visto che i termostati sono tarati sulle esigenze di maschi corpulenti, pelosi e vestiti d’estate come d’inverno.
A ogni latitudine, trovare un punto di incontro sembra impossibile. Una ricerca condotta negli Stati Uniti nel 2015 ha mostrato che il 42 per cento dei dipendenti pensano che in ufficio faccia troppo caldo, il 56 per cento che faccia troppo freddo. Chi ha ragione? Soltanto nella Gran Bretagna, tra spegnere e accendere il condizionatore o lamentarsi si perde il 2 per cento delle ore di lavoro, pari a tredici miliardi di sterline l’anno. In Australia, scrive la Bbc , il caldo asfissiante costa 6,2 miliardi di dollari.
Eppure è un dato di fatto che temperature confortevoli, dai 23 ai 25 gradi, aiutino la produttività. A dispetto della versione di Zuckerberg (Mark), che nelle sue sale conferenze fa tenere il termometro a 15 gradi (forse con il sospetto che qualcuno possa addormentarsi), altri studi della Cornell University, nello Stato di New York, hanno dimostrato che con un bel calduccio di 25 gradi si fanno meno errori: il 10 per cento, per essere precisi, contro il doppio a venti gradi. Il che spiega perché il presidente Barack Obama nello Studio Ovale mantenga una temperatura tale da «far crescere le orchidee», come hanno riferito al New York Times persone a lui vicine.
«Non bisognerebbe tenere la temperatura di un ambiente troppo bassa. Se è inferiore di oltre 4-5 gradi a quella esterna ci espone al rischio di choc termico, perché il nostro corpo ha bisogno di abituarsi lentamente», spiega l’ortopedico Paolo De Giorgis, del Centro Medico Ambrosiano di Milano. A lui, dopo, tocca occuparsi delle contratture a livello di cervicale e rachide lombare. Quando il problema, invece, non riguarda le vie respiratorie.
Su questo punto interviene Gabriele Pelissero, ordinario di Igiene e organizzazione sanitaria all’università di Pavia. Dice: «I filtri vanno puliti di frequente e le operazioni di sanificazione quotidiana devono essere fatte bene, stando attenti alle polveri che si depositano sopra gli armadi. Il flusso d’aria non deve essere mai diretto, né troppo forte. In una condizione ideale i locali devono poter essere climatizzati in modo dolce, senza vortici di aria né sovraccarichi di umidità».
Il controllo dell’umidità renderebbe superflua perfino l’aria condizionata. De Giorgis ricorda che «in ambienti asciutti, purché all’ombra, non si patisce il caldo». E allora basterebbero altri accorgimenti, a partire dall’abbigliamento, come stanno cominciando a fare alcune multinazionali, qui da noi l’Eni, che nei mesi estivi aboliscono la cravatta dal dress code .
Resta un sogno il local warming , con i suoi dispositivi tecnici che intervengono sulla singola postazione di lavoro: pensiamo per esempio ai bocchettoni che ci troviamo in testa sugli aerei, ma oggi esistono anche luci su misura o riscaldamento ai piedi. Troppo costosi, per adesso. Nel frattempo, neppure le mezze stagioni ci aiutano più.