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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

«IL POSTO DELLA SCOZIA È IN EUROPA» STURGEON VA A TRATTARE A BRUXELLES

LONDRA Nicola Sturgeon va di fretta. «Get a grip» ha intimato al governo inglese, espressione gergale che più o meno rappresenta un caloroso invito a riprendersi, o ripigliarsi che dir si voglia.
Nell’attesa, e nella consapevolezza che questa specie di sisma che a Londra sta scuotendo le istituzioni potrebbe durare mesi, il primo ministro scozzese si porta avanti con il lavoro.
«Nessuno si è mai trovato in questa situazione» ha detto come premessa al suo primo discorso davanti al Parlamento riunito per un dibattito di emergenza e per la prima volta dopo il referendum. Ma ha poi lasciato capire che l’incertezza rappresenta anche una possibilità soprattutto se è gentilmente offerta su un vassoio dai cari nemici di sempre. «Ci sono dei momenti che richiedono principi, visione e chiarezza. In una parola, leadership». E poi con un sorriso ha gettato sale sulle ferite altrui. «Per questo il vuoto che si è creato a Westminster risulta del tutto inaccettabile. Così come non sono ammissibili tre mesi di stallo mentre i due principali partiti inglesi si dedicano alle loro elezioni interne».

La convocazione straordinaria del Parlamento è stata motivata con la richiesta di farsi conferire pieni poteri per avviare una trattativa con l’Unione Europea. Ma si trattava di una formalità. La Scozia ha votato per il 66 per cento a favore del «Remain».
Un sondaggio di ieri mattina sosteneva che in caso di nuovo referendum indipendentista dopo quello del 2014, i favorevoli al divorzio dal Regno Unito sfiorerebbero quota 70 per cento, la percentuale più alta mai registrata in decenni di rilevazioni su un tema che a Edimburgo è all’ordine del giorno da qualche secolo.
E infatti senza attendere il voto di fiducia, Sturgeon ha annunciato le sue intenzioni, che vanno ben oltre quanto stabilito dalla costituzione britannica. Senza farsi scoraggiare dalla prudenza mostrata dai vertici dell’Unione Europea, ha deciso di andarli a trovare di persona. E pazienza se la Scozia non è uno Stato membro, in quanto fa parte del Regno Unito e solo tramite esso aderisce alla Ue.
Oggi Sturgeon sarà a Bruxelles, e un giorno solo potrebbe non bastare per tutti gli incontri in agenda. Comincerà con il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, il quale ha già messo le mani avanti, attento a non incendiare animi inglesi piuttosto sensibili in questi giorni.
«L’eventuale permanenza della Scozia nella Ue è una questione interna che riguarda solo il Regno Unito e deve essere affrontata dalle sue istituzioni, non da altre». L’accoglienza non è delle più calorose. Jean-Claude Juncker non ha ancora sciolto la riserva su un incontro con il tenace primo ministro scozzese, mentre il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha fatto sapere che non ci pensa proprio, aggiungendo che, date le attuali condizioni, un colloquio ufficiale «risulterebbe inappropriato».
È andata meglio con l’ex primo ministro belga Guy Verhofstadt, capogruppo dei Liberali in Europa, il quale oltre a fissare un appuntamento con Sturgeon si è spinto a dire che se tramite referendum la Scozia dovesse scegliere l’Unione Europea invece del Regno Unito, allora avrebbe ogni diritto a restarci.
Quel che conta è il gesto, non i risultati. Sturgeon l’ha messo in conto. «Questo è il primo di altri viaggi a Bruxelles. L’obiettivo è di capire quali soluzioni sono percorribili dal momento che ci troviamo a camminare su un territorio completamente sconosciuto, e non per causa nostra. Siamo determinati a trovare la miglior via per conservare il nostro status europeo, alla luce del desiderio espresso chiaramente dai nostri cittadini con il voto al referendum». Il primo passo dovrebbe essere la richiesta di restare nel mercato unico. Il dibattito seguito al suo discorso sembrava ispirato a un dépliant turistico della Scozia, pieno com’era di inviti fatti «alla gente degli altri Paesi» da ogni leader di ogni partito a fare della Scozia la loro casa. Cominciando magari dalle aziende e dai servizi finanziari della City.
Con un certo pragmatismo, il primo ministro ha fatto sapere di avere già avviato contatti con molti dirigenti di altrettante multinazionali, scontenti di come stanno andando le cose in Inghilterra. Se non bastano le ragioni della storia, la Scozia userà quelle del portafoglio.