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 2016  giugno 30 Giovedì calendario

L’ISIS PERDE IN CASA E COLPISCE FUORI – 

La cadenza degli attentati dell’Isis - che, per la scelta degli obiettivi e le modalità pare essere responsabile della strage dell’aeroporto di Istanbul - è feroce: non passa un mese tra l’uno e l’altro e non viene risparmiato nessun continente. In particolare la Turchia, in cui agli attentati dell’Isis si sommano a quelli dei curdi del Pkk con una terribile scia di sangue provocata da ben 14 attentati negli ultimi mesi. Gli attentati all’estero da parte dell’Isis sono peraltro, in un certo senso e senza alcun cinismo, un fatto dovuto: a fronte della pressione militare forte esercitata sia dalla Coalizione Usa, che da quella che fa capo all’Iran (e alla Russia), è ovvio che l’Isis porti l’attacco dietro le file del nemico.
Sbaglia dunque chi pensa che questo attentato, come gli altri che l’hanno preceduto sia una «risposta disperata» a una serie di sconfitte brucianti. Anche perché, purtroppo, queste sconfitte sono più apparenti che reali, frutto in buona parte della necessità sia degli occidentali, che degli iraniani (e iracheni e russi) di attribuirsi forti successi sul campo che in realtà sovradimensionano. Basta guardare all’impasse in cui è finita l’offensiva su Raqqa, in Siria: partita col suonar delle grancasse a maggio, appoggiata dal martellamento dell’aviazione americana, condotta a terra dalle truppe dei peshmerga curdi del Ypg in concerto con le milizie di Assad (e questo scabroso coordinamento svela l’assoluta mancanza di direzione politica da parte degli Usa), l’offensiva è «imballata» da alcuni giorni. Anzi, l’Isis sta riuscendo a sviluppare alcune controffensive che hanno costretto gli attaccanti a poco brillanti «ritirate strategiche».
Peggio ancora, l’offensiva contro l’Isis in Iraq, là dove l’azione congiunta dell’aviazione occidentale e delle milizie sciite (comandante dal generale dei Pasdaran iraniani Ghassem Suleimaini, altra follia made in casa Bianca) ha sì strappato al Califfato Nero Tikrit, Ramadi e Falluja. Ma a un prezzo umanitario e politico intollerabile. L’Isis è stata infatti sloggiata da queste città solo perché l’aviazione occidentale le ha polverizzate, secondo una tecnica «cecena», creando centinaia di migliaia di profughi. Sui civili sunniti, per di più, si è poi riversata la feroce violenza delle milizie sciite irachene - come denunciano tutte le organizzazioni umanitarie - con un effetto politico innegabile: i sunniti iracheni si sentono più protetti dall’Isis - nonostante la sua feroce crudeltà - che dai «liberatori» sciiti.
In questo contesto, assisteremo probabilmente nei prossimi mesi a un’escalation di attentati jihadisti che via via abbandoneranno le caratteristiche degli ultimi anni. Non più opera di piccoli nuclei di mediocre capacità militare, non più attacchi contro obiettivi tutto sommato semplici da colpire, ma sempre di più contro obiettivi «qualificanti», anche militari, a opera di quei veri professionisti dell’impiego coordinato di kamikaze, con grandi quantità di esplosivo, di cui l’Isis dispone in abbondanza. Il comando politico militare del Califfato sarà quindi sempre più portato a fare quello che sinora non ha fatto: inviare in Occidente, Italia inclusa, commandos ad altissima specializzazione bellica a infliggere all’avversario sconfitte su obiettivi per noi umilianti. Come fu l’11 settembre 2001.