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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

IL «COLLEGIO» NON ASSICURA LA RAPPRESENTATIVITÀ

Governabilità e rappresentatività sono i due corni del dilemma di ogni democrazia. Trovare un punto di equilibrio tra questi due valori è complicato. Né la soluzione trovata in un dato tempo può considerarsi valida per tutte le stagioni. Nella Costituzione del 1948 il punto di equilibrio è stato trovato privilegiando il valore della rappresentatività. E si capisce. Dopo l’esperienza del fascismo, e in presenza di un sistema partitico polarizzato, la scelta a favore della democrazia parlamentare e di una formula di voto proporzionale che privilegiasse la rappresentanza è stata quella giusta. Un sistema elettorale maggioritario avrebbe radicalizzato lo scontro politico mettendo a repentaglio il consolidamento delle istituzioni democratiche. La linea di divisione comunismo/anti-comunismo, la natura interclassista della Dc e il suo peso elettorale, la credibilità dei partiti anti-fascisti, la forza delle ideologie e delle appartenenze e una economia in espansione hanno permesso comunque di risolvere il problema della governabilità attraverso la formazione di coalizioni di centro variabili. Una soluzione in ogni caso parziale vista la instabilità dei governi.
Tutto questo oggi non c’è più. La rappresentanza partitica è molto frammentata, gli elettori non hanno più legami stabili, la sfiducia nella classe politica è generalizzata, non esistono ideologie che fungano da collante, l’economia non brilla, rabbia e malessere dominano la scena. In queste condizioni affidarsi a sistemi elettorali proporzionali è un azzardo. Certo, per chi pensa che la governabilità sia un optional e non un ingrediente essenziale della democrazia questo non è un problema. Chi scrive la pensa diversamente.
Senza stabilità politica non si può di questi tempi governare l’Italia. Non possiamo permetterci, come ai tempi della Prima Repubblica, governi che durano in media dieci mesi. E oggi la stabilità non può essere realizzata con la sfiducia costruttiva. Troppo poco. Serve trovare un nuovo punto di equilibrio tra governabilità e rappresentatività rispetto a quello della Costituzione del 1948. Occorre semplificare il processo legislativo e il rapporto stato-regioni. E servono sistemi elettorali disproporzionali. Sistemi che danno alla minoranza più grande la possibilità di governare senza sottostare ai veti di piccole e inquiete minoranze.
Miguel Gotor, nel suo articolo di ieri su questo giornale, pensa che il «doppio turno di collegio sia la soluzione che meglio di altre consente di tenere insieme governabilità e rappresentatività». Non è così. Facciamo degli esempi. In Francia alle ultime legislative nel 2012 il Front National con il 14% dei voti ha preso due seggi. Il prossimo anno è possibile che lo stesso Front National arrivi primo nel Paese e ultimo in parlamento, cioè potrebbe prendere tra il 20 e il 30% dei voti e ottenere meno del 5% dei seggi. Nel 1993 la coalizione di centro-destra di Chirac con il 43% dei voti ha preso l’84% dei seggi e nel 2012 il partito socialista di Hollande con il 29% dei voti ha ottenuto il 49% dei seggi. Questo accade con il collegio a due turni.
La stessa cosa vale per il collegio a un turno. L’anno scorso in Gran Bretagna lo Ukip con il 13% dei voti ha preso un solo deputato. Cameron con il 37% ha ottenuto il 51% dei seggi. Nel 2005 Tony Blair con il 35% dei voti ha ottenuto il 55% dei seggi. E così via in Australia, in Giappone e altre democrazie parlamentari maggioritarie. In sintesi , il merito del collegio uninominale non è certo quello di favorire la rappresentatività. È un altro. Ma il bello è che oggi in Italia in un contesto tripolare non servirebbe nemmeno a favorire la governabilità, come dimostreremo con i numeri prossimamente.
Contrariamente a quello che dicono i suoi critici, l’Italicum rappresenta un punto di equilibrio tra governabilità e rappresentatività di gran lunga superiore a quello realizzato da sistemi maggioritari uninominali sia a un turno che a due turni. La formula dell’Italicum è semplicissima. Chi vince prende 340 seggi (più quelli che verranno dalla circoscrizione estero), chi perde se ne divide 278 a condizione di avere il 3% dei voti. Quanto è successo in Gran Bretagna l’anno scorso o in Francia nel 2012 da noi non può succedere. Né può accadere che un partito con meno del 40% dei voti possa ottenere il 54% dei seggi (340). Per vincere si deve arrivare a quella soglia oppure ottenere il 50% dei voti al secondo turno.
Il ballottaggio sarà la modalità normale di funzionamento dell’Italicum. Lungi dall’essere quella «roulette russa» di cui parla Gotor è uno strumento per dare agli elettori la possibilità di scegliere “direttamente” il governo del Paese. Questo è il punto. Ed è la vera preoccupazione di molti che preferirebbero lasciare la decisione sul governo ai partiti nel nome della flessibilità. E sono gli stessi che tralasciano di dire che la flessibilità del sistema è comunque garantita dal fatto che la forma di governo parlamentare non cambia. Così come sorvolano sul fatto che la maggioranza alla camera è di 316 seggi e l’Italicum ne garantisce 340. Basteranno una trentina di deputati per provocare una crisi di governo.
Ma non ci potrà essere crisi di governo. Il prossimo sarà un parlamento di nominati. Anzi nelle parole di Gotor una «falange» al servizio del capo. E allora vediamo come verranno scelti i membri della falange. In pagina si può vedere la scheda dell’Italicum. Il nome del capolista bloccato apparirà a sinistra del simbolo della lista. Gli elettori lo vedranno sulla scheda così come lo vedevano su quella dei collegi uninominali della Mattarella. Se il candidato piace voteranno il partito. Se non piace non lo voteranno. Né più né meno di quello che avveniva ai tempi della Mattarella. Potrebbero essere 378 (su 630) i deputati eletti in questo modo. Gli altri saranno eletti con il voto di preferenza che gli elettori esprimeranno sulla scheda nelle righe a destra del simbolo. Si fa fatica a pensare che questi eletti con le preferenze possano essere parte della falange. E così questo sarebbe il Parlamento di nominati. Da questo punto di vista il problema vero non è l’Italicum ma la democrazia interna ai partiti. Chi li mette i nomi sulla scheda e con quali procedure ? Il problema esiste con l’Italicum, così come esisteva con la Mattarella.
Concludiamo con l’obiezione più pregnante che si può fare a Gotor e a tutti i nostalgici dei collegi uninominali: la loro resurrezione è semplicemente un pio desiderio o come si dice in inglese una forma di “wishful thinking”. Loro sanno, o dovrebbero sapere, che non esiste in parlamento una maggioranza pronta a votarli. Non esiste oggi e non esisteva nel Gennaio 2014, quando ai tempi del Nazareno è iniziato il negoziato sulla riforma elettorale. Tra le proposte messe allora sul tavolo da Renzi c’era proprio una di quelle di cui parla Gotor nel suo articolo: una Mattarella rivisitata. È stato il veto della coppia Berlusconi-Verdini a impedire di procedere in quella direzione. E quel veto era, ed è, radicato nella profonda avversione di Berlusconi e di tutto il centro-destra ai collegi uninominali. Ma forse i nostalgici pensano che non ci sia bisogno dei voti di Forza Italia e della Lega Nord per resuscitarli. Forse la loro idea è di riportarli in vita con i voti del M5s. Buona fortuna!
Solo la Corte Costituzionale poteva resuscitare Lazzaro. Avrebbe potuto farlo a Dicembre 2014 quando ha discusso il ricorso contro la legge Calderoli, il cosiddetto porcellum. Ma allora ha preferito confezionare un sistema proporzionale invece di ripristinare la Mattarella. Un solo voto ha fatto la differenza, pare. Sic transit gloria mundi.
Roberto D’Alimonte, Il Sole 24 Ore 29/6/2016