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 2016  giugno 29 Mercoledì calendario

IL GIORNO IN CUI ASCOLTARE LA MUSICA DIVENTÒ GRATIS

All’inizio di questo secolo, Dell Glover, dipendente dello stabilimento di stampaggio della Universal Music, nella Carolina del Nord, cominciò a commettere un nuovo tipo di reato. A quelli poco informati sugli straordinari progressi della compressione delle registrazioni digitali (e quasi tutti eravamo poco informati, quindici anni fa) non sarebbe sembrato che Glover stesse facendo qualcosa di particolarmente innovativo. Si portava a casa senza autorizzazione il prodotto dei suoi datori di lavoro, come fanno i dipendenti più o meno da quando è stato inventato il concetto di lavoro dipendente. E non è che si fregasse roba del valore di migliaia di dollari: una copia dell’album di Jay-Z “The Blueprint”, per esempio, aveva un prezzo al dettaglio intorno ai 15 dollari e un costo di fabbricazione di appena 2 o 3 dollari. Per certi versi, era come rubare una teiera o un asciugamano. La grande differenza, naturalmente, è che anche oggi digitalizzare un asciugamano e condividere un link su Dropbox con tutti quelli appena usciti dalla doccia è impossibile.
Glover, per disgrazia della Universal Music, era contemporaneamente un esperto di informatica e un membro della Scene, un losco gruppo di appassionati di musica pirateggianti che frequentava le nascenti chat room su Internet cercando di mettere le mani su qualsiasi nuovo album che i giovani potessero voler ascoltare. Quando Glover rubava un singolo cd (e gliene è sempre bastato uno solo), nel giro di poche ore, attraverso la magia della compressione digitale, The Blueprint diventava accessibile, prima della pubblicazione ufficiale e gratuitamente, a chiunque fosse dotato di un modem, in qualsiasi parte del mondo. Nel giro di cinque anni, solo i babbei – cioè chiunque avesse più di trent’anni – si prendevano ancora il disturbo di pagare per comprare musica registrata.
L’affascinante e autorevole saggio di Stephen Witt, How Music Got Free, offre un resoconto di questa rivoluzione dei consumi attraverso le storie di tre uomini: Karlheinz Brandenburg, il cervellone che inventò l’Mp3; Doug Morris, il manager discografico che trasformò la Universal Music in una macchina da soldi negli anni Novanta; e Glover, uno dei tanti Davide che con le loro fionde virtuali hanno messo col sedere per terra (un sedere grosso ed elegantemente vestito) Morris e gli altri Golia dell’industria discografica. Nelle abili mani di Witt, questo trio riesce a rappresentare e illustrare tutti gli sbalorditivi progressi tecnologici del settore, le vicissitudini della moda e le decisioni disastrose degli ultimi vent’anni.
I cervelli del team di Brandenburg, 15 ingegneri dell’Istituto Fraunhofer per i circuiti integrati, probabilmente avrebbero potuto alimentare un treno solare ad alta velocità, ma quando, negli anni Novanta, inventarono il primo lettore Mp3 portatile (in altre parole, il primo iPod), non riuscirono a immaginare nessuna applicazione pratica e non si preoccuparono di brevettarlo. All’epoca, gli Mp3 in pratica non esistevano fuori dal computer di Brandenburg, le case discografiche non gli avrebbero mai accordato i diritti sulle canzoni, e in ogni caso nessuno avrebbe voluto un attrezzo grosso quanto un mattone che poteva contenere un minuto di musica.
Quando, nel 1997, Brandenburg improvvisamente si rese conto dei problemi che i suoi Mp3 avrebbero provocato, organizzò un incontro con l’Associazione americana dell’industria discografica, per mostrare loro come fare per rendere più difficile duplicare i file, ma fu messo cortesemente alla porta. Le case discografiche si trovavano benissimo col cd, gli dissero. Tutti stavano facendo soldi a palate e nessuno era interessato a intraprendere la strada della distribuzione elettronica. Nessuno, nel settore, sembrava rendersi conto che avevano già imboccato la strada per la rovina, e che un cd era semplicemente un modo senza futuro per immagazzinare informazioni codificate. Morris e i suoi colleghi, in pratica, stavano cercando di rifilare schedari enormi e a prezzi esorbitanti a persone che avevano bisogno solo di un posto dove tenere le graffette. Il trucco non funzionò a lungo.
Lo sapevate che l’orecchio umano in realtà non è in grado di percepire gran parte dell’informazione uditiva che la musica trasmette? Questi nostri limiti hanno reso più semplice il compito di Brandenburg, perché gli hanno permesso di rimuovere parte del rumore ridondante e poi comprimere quello che resta. Lo sapevate che “Mp” sta per “moving picture”, immagine in movimento? O che il “3” era un numero casuale assegnato al team di Brandenburg quando si erano messi in lista per presentare la loro idea al Moving Picture Experts Group, il comitato tecnico di standardizzazione che decide quali innovazioni tecnologiche hanno le maggiori probabilità di arrivare nei nostri negozi? (Brandenburg perse in favore dell’Mp2, anche se più tardi la gente ha dato per scontato – giustamente, ma per le ragioni sbagliate – che l’Mp3 fosse una versione superiore della stessa cosa). Lo sapevate che la ragione per cui l’Mp3 alla fine ha prevalso è che Brandenburg, per disperazione, diede via l’applicazione che consentiva la compressione e la riproduzione delle canzoni? Finì su Internet, fu trovata da hacker e pirati e nel giro di poco tempo la scuderia di artisti hip-hop acquisita a caro prezzo da Morris, la valuta prediletta dai pirati, era accessibile gratuitamente in ogni dove. Naturalmente, da qualche parte in tutto questo c’è chi ha fatto i soldi. Per un certo periodo Brandenburg ha ricevuto una royalty su ogni computer Microsoft venduto, ed è diventato ricco. Glover vendeva dal bagagliaio della sua auto copie piratate delle cose che scaricava, e si comprò un nuovo bagagliaio con tutta la macchina intorno. Morris ha guadagnato 10 milioni di dollari perfino nel suo ultimo anno alla Universal, nel 2011, quando ormai Glover e compagnia avevano trasformato l’industria discografica in una sorta di Pompei dei tempi moderni, coi manager sorpresi dall’eruzione dei download con la cannuccia della coca nelle narici.
La musica è diventata gratuita e i soldi si sono dissolti nel nulla: l’industria discografica si è praticamente dimezzata tra il 2000 e il 2007, e l’arrivo di Spotify, con le sue tariffe irrisorie e la sua praticità estrema, ha liquidato buona parte di quello che restava. Eppure, paradossalmente, il consumatore non è mai stato così ben servito.
Mentre leggete queste righe, probabilmente siete seduti a mezzo metro da un dispositivo che garantisce l’accesso all’intera storia della musica registrata, a costi minimi o nulli. Le nuove tecnologie ci fanno diventare più informati, più istruiti, probabilmente più sperimentali.
© Nick Hornby / The Sunday Times / News UK Syndication
(Traduzione di Fabio Galimberti)

NICK HORNBY, la Repubblica 29/6/2016