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 2016  giugno 28 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULLA BREXIT Si apre a Bruxelles il primo Consiglio europeo dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione europea

APPUNTI PER GAZZETTA - ANCORA SULLA BREXIT Si apre a Bruxelles il primo Consiglio europeo dopo la decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione europea. Nella riunione - che oggi sarà ancora a 28, mentre da domani i Paesi membri scenderanno a 27 dopo l’addio del Regno Unito - si discuterà innanzi tutto dell’esito del referendum del 23 giugno. Le procedure di uscita della Gran Bretagna dalla Ue, da regolamento, possono durare anche due anni. - See more at: http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Bruxelles-primo-Consiglio-europeo-dopo-referendum-Brexit-f2f27625-70b5-4108-b018-3bda517cab68.html MILANO - La sterlina rialza timidamente la testa e i mercati trovano un primo rimbalzo dopo il crollo iniziato venerdì mattina con il verdetto del referendum inglese che ha decretato la vittoria di Brexit e l’avvio delle procedure per l’uscita della Gran Bretagna: nelle due sedute successive i listini globali hanno bruciato quasi quattromila miliardi di dollari. Milano, la più colpita in questi giorni di forti vendite, ha guidato oggi il recupero con un +3,3%, trainata dalle banche che nelle ultime sedute hanno perso quasi un terzo del valore. Sul finale, Unicredit e Bper hanno comunque girato in negativo. Dalla giornata di venerdì, però, il passivo di Piazza Affari è ancora pesantissimo: -13%. Il governo è al lavoro su possibili misure di sostegno al settore e dalla Ue il vicepresidente della Commissione, Valdis Dombrovskis, conferma: "Stiamo monitorando la situazione da vicino e siamo in stretto contatto con le autorità italiane in merito a possibili passi" congiunti, anche se "ci sono diverse modalità di azioni possibili che sono ancora oggetto di discussione e per questo non posso aggiungere dettagli in questo momento". Cerca di tranquillizzare il premier Matteo Renzi, che vertice del Pse dice: "Non c’è una situazione in cui si viva chi sa quale trattativa. Stiamo discutendo, affronteremo eventuali emergenze ma i cittadini siano consapevoli che non c’è alcun rischio per i loro risparmi". Bene anche le altre Borse europee: Londra sale del 2,7% Parigi del 2,6% e Francoforte dell’1,9%. In rialzo Wall Street, anch’essa reduce da due giorni di netti ribassi: quando terminano gli scambi nel Vecchio continente, il Dow Jones rimbalza dello 0,7% e anche S&P500 (+0,85%) e Nasdaq (+1,3%) sono in terreno ampiamente positivo. A dominare nelle sale operative è sempre la grande incertezza sul futuro delle relazioni economiche tra Londra e Bruxelles con la grande paura che ne deriva. Dopo il il panico, però, gli addetti ai lavori guardano alle risposte delle istituzioni che si sono messe in moto per ridurre al minimo il danno economico. A Sintra, in Portgallo, è in corso il simposio annuale della Banca centrale europea, dal quale il governatore Mario Draghi ha chiesto un allineamento delle politiche monetarie per sostenere la lotta alla bassa inflazione. Arrivato ieri sera in Portogallo, il presidente della Bce si era detto "dispiaciuto" per l’esito del referendum dopo aver ribadito che l’"Eurotower è pronta a tutto" per evitare nuovi attacchi speculativi sull’euro. Dalla Bank of England è intanto arrivata una nuova iniezione di liquidità alle banche britanniche: ha piazzato in totale 3,1 miliardi di sterline, divisi fra vari istituti di credito, per far fronte alle ripercussioni della Brexit. L’azione di Francoforte è evidente sul mercato obbligazionario e dei titoli di Stato: nonostante le enormi pressioni i movimenti sono minimi. Oggi lo spread tra Btp e Bund scende verso 150 punti base, con i titoli italiani che rendono l’1,4%, a livelli di poco superiori pre-Brexit. Continua, invece, la corsa al ribasso del Bund tedesco, eletto a nuovo bene rifugio insieme all’oro e al dollaro. Il Tesoro ha intanto collocato tutti i 6 miliardi di Bot semestrali oggi in asta, a fronte di domande per 9,468 miliardi di euro. Il rendimento è salito però a -0,150% da -0,262% del mese scorso. Gli investitori, adesso, si aspettano nuove misure espansive da parte della Banche centrali: secondo i future Fed funds - usati per predire le mosse della Federal Reserve - c’è solo il 9% di possibilità che Janet Yellen rialzi il costo del denaro prima dell’anno prossimo, mentre secondo un altro 20% i tassi potrebbero addirittura tornare a scendere. Prima di Brexit le chance di un taglio erano pari a zero e il rialzo entro l’anno era dato al 52%. A sostegno di una stretta monetaria ci sono comunque i fondamentali americani: la crescita dell’economia Usa è stata rivista al rialzo nel primo trimestre. Nella stima finale il Pil Usa passa da +0,8% in seconda lettura a +1,1%, contro un atteso +1%. Nel 2015 il Pil Usa è cresciuto del 2,4% e negli ultimi tre mesi dell’anno scorso è salito dell’1,4%. Di certo l’attenzione di mercati sarà rivolta a Bruxelles dove è in agenda il Consiglio europeo: per la prima volta, infatti, i capi di Stato e governo vedranno il premier dimissionario ingelse David Cameron. In attesa delle discussioni tra leader, il presidente Ue Jean Claude Juncker, ha chiarito che attende la posizione ufficiale di Londra e solo allora partiranno i negoziati ufficiali. Dopo la corsa degli ultimi giorni, l’oro è in ribasso e cede terreno in area 1.315 dollari dopo essersi apprezzato del 5,4%: il maggior rialzo dal gennaio 2009. Il petrolio, quando terminano gli scambi in Europa, tratta contrastato con il Wti in ribasso dell’1%, a 48,85 dollari, mentre il Brent sale in area 47,9. Come detto, l’effetto Brexit si fa ancora sentire sul mercato dei cambi. L’euro chiude in rialzo a 1,1051 dollari e 113,65 yen. Il rimbalzo dei mercati riaccende la propensione al rischio e la divisa nipponica, bene rifugio, scende a quota 102,84 rispetto al biglietto verde, minimo di giornata. In ripresa anche la sterlina, che risale a 1,3323 dollari dopo aver aggiornato a 1,3121 dollari il proprio minimo da 31 anni sulla valuta Usa. La moneta britannica avanza inoltre a 83 pence nei confronti dell’euro. Dal punto di vista macroeconomico è in lieve diminuzione a giugno la fiducia delle famiglie francesi. L’indicatore che la misura, ha annunciato oggi l’istituto di statistica Insee, è sceso a 97 punti, sotto la media di lungo termine di 100 punti. Ha influito sul risultato una rinnovata ondata di pessimismo sul tenore di vita atteso dalle famiglie d’oltralpe. Anche in Italia si registra la perdita di smalto delle aspettative per consumatori e aziende. Oltre all’aggiornamento sul Pil, negli Usa si segnalano anche la crescita oltre le stime della fiducia dei consumatori (indice Conference Board) a giugno, mentre l’indice sul manifatturiero della Fed di Richmond è calato a -7 punti a giugno. Sotto le stime la crescita dei prezzi delle case: +5,4% per il Case-Shiller di giugno. In mattinata, la Borsa di Tokyo ha chiuso poco mossa: l’indice Nikkei è salito dello 0,09% a 15.323,14 punti. CORBYN LONDRA - I parlamentari laburisti hanno approvato la mozione di sfiducia nei confronti del loro leader, Jeremy Corbyn, con 172 voti a 40,quattro gli astenuti. Questo significa che l’81 per cento dei deputati del labour si è espresso contro la fiducia. SPECIALE BREXIT A riportare per prima la notizia è stata l’emittente britannica Skynews, subito confermata via Twitter dal giornalista del Sunday Times James Lyons che ha specificato che i voti sono stati 176 a 44. Il voto non è vincolante e l’allontanamento di Corbyn deve essere ancora approvato dai membri del partito. Il leader laburista ha emesso un comunicato in cui rifiuta di dimettersi e sostiene che il voto di sfiducia "non ha alcuna legittimità costituzionale". "Sono il leader del nostro partito eletto democraticamente per un nuovo modo di fare politica con il 60% dei voti dei membri del labour e dei sostenitori e non li tradirò dimettendomi". Secondo Sky News, ora si devono incontrare Tom Watson, vice leader, e Angela Eagle, che si è dimessa dall’incarico di ministro ombra per le Attività produttive in aperto contrasto con Corbyn, per discutere chi dei due dovrà lanciare la sfida alla leadership. In teoria Corbyn potrebbe anche ignorare il voto e andare avanti ma la sua posizione sta diventando sempre più difficile da difendere nonostante possa contare sul sostegno della base. In questi giorni di scosse di assestamento è stata rinviata anche la data in cui il Regno Unito nominerà il successore del premier David Cameron, posticipata al 9 settembre, una settimana dopo quella prevista inizialmente. Lo ha annunciato il partito conservatore in una nota: "Per garantire che ci sia piena partecipazione dei membri, il board del partito raccomanda che la data della dichiarazione del leader sia il 9 settembre 2016". Le nomination per la leadership dovranno essere presentate entro giovedì. Ieri il comitato per l’elezione della leadership del partito conservatore aveva raccomandato che "il processo per l’elezione di un nuovo leader del partito cominci la prossima settimana per concludersi non più tardi del 2 settembre", aveva spiegato il responsabile del comitato, Graham Brady. Le nomination per la leadership dei Tories dovranno quindi essere presentate entro giovedì. In gara oltre al favorito Boris Johnson, portavoce della campagna vincente al referendum, potrebbe esserci Theresa May, attuale ministro degli Interni, schierata in campo opposto nella campagna referendaria e possibile volto della fazione "stop Boris". In una mail ai deputati Tory è già arrivata la candidatura ufficiale di Stephen Crabb, attuale segretario per il Lavoro e le Pensioni, anche lui schierato per il remain al referendum. Ma l’ex sindaco di Londra non è intenzionato a convocare un voto politico anticipato nel Paese, a dispetto delle aspettative, se fosse eletto leader del Partito Conservatore al posto del dimissionario David Cameron. Lo ha detto una fonte a lui vicina alla Bbc, precisando che secondo Johnson la vittoria referendaria gli garantisce già un mandato popolare. HILARY BENT O BAND O BEND TOM WATSON PARLAMENTO EUROPEO BRUXELLES - L’Unione europea va in pressing sulla Gran Bretagna dopo l’esito del referendum sulla Brexit che ha segnato la vittoria degli euroscettici. Il Parlamento europeo chiede "una implementazione rapida e coerente della procedura di revoca" dell’appartenenza del Regno Unito alla Ue. La plenaria straordinaria ha approvato la risoluzione bipartisan a larghissima maggioranza con 395 voti a favore, 200 contrari e 71 astenuti. E la voce è unanime: Londra non può aspettarsi di avere gli stessi privilegi che aveva prima senza rispettare gli obblighi. "Voglio che sia un processo il più costruttivo possibile, con un risultato il più costruttivo possibile, perché lasciamo la Ue, ma non voltiamo le spalle alla Ue, con questi Paesi siamo partner, amici, alleati, vogliamo il rapporto più stretto possibile in termini di commercio, cooperazione e sicurezza", ha detto il premier britannico David Cameron entrando al vertice sulla Brexit. Il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk ha detto che la "Ue è pronta a partire con quel processo anche oggi", ma "dobbiamo rispettare anche i Trattati che attribuiscono al governo britannico il compito di avviare la procedura: è il solo modo legale, tutti devono essere consapevoli di questo e perciò dobbiamo essere pazienti". E annuncia un vertice informale straordinario Ue senza il Regno unito a settembre a Bratislava per discutere del futuro dell’Ue. M5s votano con Farage. Tra coloro che hanno votato contro la risoluzione del Parlamento, sostenuta da popolari, socialisti, liberali e verdi, ci sono anche i 17 europarlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno così condiviso la linea del leader dell’Ukip Nigel Farage, loro alleato nel gruppo euroscettico Efdd. Tra i 200 voti contrari, oltre a quelli dell’Efdd, ci sono pure quelli del gruppo dei conservatori Ecr (di cui fanno parte, tra gli altri, i Tories britannici), dell’Enf di Marine Le Pen e Matteo Salvini e quelli dell’estrema destra neofascista. Ancora più uniti. "C’è bisogno di un’Europa che si liberi da una visione in cui conta solo l’Austerity. Bene stare attenti ai bilanci pubblici ma dobbiamo anche creare investimenti e lavoro", ha detto il premier Matteo Renzi. "Dobbiamo parlare dell’Europa del sociale, degli asili nido, dei musei e delle scuole. Se accettiamo la sfida di un’Europa con l’anima e che non guardi solo al portafoglio, allora lo shock della Brexit potrebbe anche essere positivo". In mattinata, alla Cnn, il presidente del Consiglio italiano aveva detto che "questo non è il momento della divisione, ma della visione per l’Unione europea". Vantaggi e valori. "È impossibile fare parte di una comunità, accettando solo i vantaggi - ha continuato Renzi - se si fa parte di una famiglia, bisogna accettare anche gli aspetti negativi. Non si può essere comunitari solo sull’economia e non sui valori, non si può accettare l’idea che la Gran Bretagna faccia parte del mercato unico senza che prenda in considerazione i problemi, come quello dell’immigrazione. È il momento per l’Ue di dimostrare di avere dei valori, non solo degli interessi economici". Brexit, Farage fischiato al Parlamento Ue: "Adesso non ridete" Condividi Fischi e proteste. Anche il leader del partito indipendentista britannico Ukip Nigel Farage, accanito sostenitore della Brexit, ma che ribadisce che i britannici saranno "buoni amici, buoni vicini e buoni partner commerciali per l’Europa", è al Parlamento europeo: "Non mi dimetto ora dall’Europarlamento. Non intendo dimettermi fino a quando il lavoro sarà fatto", ha dichiarato, ma il suo intervento è stato più volte interrotto da fischi e cori, tanto che Schulz ha dovuto richiamare i colleghi all’ordine: "Vi state comportando come solitamente fa l’Ukip". Il capo dell’Ukip non ha risparmiato frecciate: "Venivo deriso quando 17 anni fa dicevo che avrei portato il Regno Unito fuori dall’Ue. Ora non ridete più. Non ridete più perché voi, come progetto politico, siete espressione della negazione". Pugno duro. Prima dell’inizio della sessione plenaria, Farage si è intrattenuto per alcuni minuti con il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. Quest’ultimo, che a Londra si rivolge con particolare durezza, ha rinnovato il suo impegno per un Europa unita: "Non sono né stanco né malato, come scrivono i giornali tedeschi, e combatterò fino al mio ultimo respiro per l’Europa unita". Juncker sotto attacco resiste: "Non mi dimetto" Condividi Subito la notifica. Juncker ha esortato la Gran Bretagna a "chiarire al più presto possibile" le sue intenzioni e ha escluso categoricamente che possa essere avviato un negoziato informale con Londra sul tema: "Ho ordinato ai miei direttori generali di evitare ogni contatto" con Londra. "Vedrò stamani il primo ministro...per chiedergli di chiarire la situazione prima possibile. Sono allergico alle incertezze e vorrei che la Gran Bretagna rispettasse la volontà del popolo britannico senza nascondersi dietro giochi a porte chiuse", ha aggiunto davanti al Parlamento europeo. "Niente notifica, niente negoziato" ha poi aggiunto il capo della Commissione, che ha proseguito: "Sono sorpreso di vedere che io, proprio io che in Gran Bretagna vengo dipinto come tecnocrate, eurocrate e robot, voglio trarre le conseguenze del voto. E loro no?". Poi ha bacchettato Farage che aveva applaudito un passaggio del suo intervento: "È l’ultima volta che applaudi qui". Brexit, Juncker bacchetta Farage: ’’E’ l’ultima volta che applaudi qui’’ Condividi Niente privilegi senza obblighi. Intanto, secondo la Bild, la cancelliera tedesca Angela Merkel non vuole che Londra abbia la presidenza di turno dell’Unione europea nella seconda metà del 2017. Secondo il quotidiano si va delineando il piano della cancelliera per affrontare la Brexit. Lo sforzo sarà quello di convincere la Gran Bretagna a rinunciare alla presidenza del semestre europeo, "o in caso di necessità, a togliergliela", scrive il giornale tedesco. "Prendiamo atto che non è stata ancora presentata richiesta formale di uscita, ma la Gran Bretagna prenda atto che nessun colloquio informale potrà partire prima", ha detto Merkel intervenendo al Bundestag. La cancelliera ha aggiunto che il quadro delle procedure per l’uscita é già tracciato nell’articolo 50 del trattato di Lisbona. E, comunque, sia chiaro, ha ribadito, che "la Germania e l’Ue condurranno le trattative per l’uscita della Gran Bretagna sulla base dei propri interessi. Significa che le trattative con uno Stato terzo non possono mettere in discussione le conquiste dell’unità europea per i suoi 27 membri". Appello Scozia: "Ue non ci abbandoni". Una standing ovation ha accompagnato l’accorato appello di Alyn Smith, eurodeputato dello Scottish National Party, che ha chiesto a Bruxelles di "non abbandonare la Scozia". "Noi non vi abbiamo deluso", ha detto Smith, "ora, vi prego, non lasciateci soli". Nel pomeriggio la premier scozzese Nicola Sturgeon è intervenuta al Parlamento di Edimburgo sui prossimi passi del governo per proteggere il posto della Scozia nell’Unione europea e ha detto che non chiederà al Parlamento scozzese di appoggiare un referendum per l’indipendenza, in questa fase, nonostante creda che l’indipendenza sarebbe la soluzione migliore per la Scozia. SCETTICI SU BREXIT LONDRA - Mentre l’Europa si interroga sulle conseguenze di Brexit, la Gran Bretagna comincia a fare marcia indietro. Jeremy Hunt, ministro della Sanità britannico, uno dei fedelissimi di David Cameron, dichiara in un’intervista al Daily Telegraph: "Se l’Unione Europa ci facesse concessioni per mettere freni all’immigrazione, potremmo fare un secondo referendum per ribaltare il risultato di quello della settimana scorsa". E’ soltanto un’ipotesi, ma rappresenta un’ammissione straordinaria a neanche una settimana da un voto che ha mandato in tilt i mercati, fatto crollare la sterlina e costretto Cameron a dimettersi. Per coincidenza, è la stessa ipotesi formulata da Gideon Rachman, columnist del Financial Times, in un articolo che sarà in pagina domani sul quotidiano finanziario. "Non credo che Brexit avverrà", afferma il commentatore, e poi spiega perché. Boris Johnson, in procinto di diventare premier al posto di Cameron, non è mai stato un ardente anti-europeo, tanto da essere rimasto incerto fino all’ultimo su da che parte schierarsi nel referendum. Il suo unico intento era diventare capo del governo e sta per riuscirci. E Rachman ricorda una frase pronunciata a febbraio da Johnson: "C’è una sola parola che Bruxelles ascolta per fare concessioni ed è la parola no". Come dire: finché si chiede e si negozia, la Ue concede poco e niente, come in effetti è accaduto nella trattativa con Cameron prima del referendum. Quando si minaccia sul serio di sbattere la porta e andarsene, la Ue concede qualcosa (come in effetti è successo con la Grecia). Il columnist del Ft immagina che fra qualche mese l’Unione potrebbe accettare di dare a Londra quello che aveva finora rifiutato: un qualche tipo di freno all’immigrazione, se l’immigrazione supera certi limiti. Una concessione che andrebbe contro il principio della libertà di movimento. Ma la politica è l’arte del compromesso. E se per la Gran Bretagna è gravissimo uscire dalla Ue, anche per la Ue perdere la Gran Bretagna sarebbe molto grave. Può sembrare fantapolitica, per ora. Ma le firme per organizzare un secondo referendum hanno raggiunto ormai 4 milioni. E di un secondo referendum si parla apertamente al parlamento di Westminster. "Non piacerebbe agli estremisti, in Inghilterra e a Bruxelles", scrive Rachman, "ma perché i moderati di entrambe le parti dovrebbero farsi imporre un disastro dagli estremisti?" L’ipotesi ventilata dal ministro Hunt nell’intervista al Telegraph è tutta da verificare, insomma, ma non impossibile da realizzare. Tanta gente è contraria a Brexit. Non è detto che il divorzio tra la Gran Bretagna e l’Europa si consumerà davvero. CORRIERE.IT Uscita dall’Ue rapida per la Gran Bretagna. Il Parlamento europeo ha approvato la risoluzione che chiede «una implementazione rapida e coerente della procedura di revoca» dell’appartenenza della Gran Bretagna alla Ue in conseguenza della decisione del popolo britannico nel referendum. E il presidente della Bce Mario Draghi ha messo in guardia dalle conseguenze che la Brexit può avere sul pil della zona euro e sulle monete di tutto il mondo. Draghi: «Impatto sul Pil Ue fino allo 0,5%» La Brexit può avere un impatto negativo fino allo 0,5% del Pil della zona euro. È quanto afferma Mario Draghi in un documento ottenuto da Bloomberg al vertice Ue: il presidente della Banca Centrale Europea avverte che il Pil dell’Ue potrebbe risentire di una riduzione della crescita del Pil nei prossimi tre anni. E avverte che la Brexit potrebbe innescare una corsa alle svalutazioni competitive delle monete in tutto il mondo e incrementare i premi di rischio e le turbolenze. M5s vota con Farage La plenaria straordinaria ha approvato la risoluzione bipartisan a larghissima maggioranza con 395 voti a favore, 200 contrari e 71 astenuti. Tra coloro che hanno votato contro la risoluzione del Parlamento, sostenuta da popolari, socialisti, liberali e verdi, ci sono anche i 17 europarlamentari del Movimento 5 Stelle che hanno così condiviso la linea del leader dell’Ukip Nigel Farage, loro alleato nel gruppo euroscettico Efdd. Tra i 200 voti contrari, oltre a quelli dell’Efdd, ci sono pure quelli del gruppo dei conservatori Ecr (di cui fanno parte, tra gli altri, i Tories britannici), dell’Enf di Marine Le Pen e Matteo Salvini e quelli dell’estrema destra neofascista. shadow carousel Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Bruxelles, i leader al primo consiglio Ue post Brexit Prev Next Cameron: «Vogliamo mantenere relazioni strette con Ue» Intanto nel primo pomeriggio è arrivato a Bruxelles il premier britannico David Cameron per la due giorni di Consiglio Ue, il primo dopo il referendum che ha sancito la Brexit: «Il Regno Unito lascerà l’Unione Europea, ma voglio che il processo sia il più il costruttivo possibile», ha detto il primo ministro. Il Regno Unito, ha sottolineato ancora Cameron, «non volterà le spalle all’Ue», perché «questi Paesi sono vicini, amici, alleati, partner» ed è necessario «mantenere delle relazioni più strette possibili», in termini di «commercio, cooperazione e sicurezza», perché «è una cosa buona per noi e per loro». Il premier (che dopo l’esito del referendum ha annunciato le sue dimissioni per il prossimo ottobre) sarà al Consiglio Ue di fronte agli altri 27 leader europei. I leader europei I leader europei non vogliono perdere tempo ed esortano Londra ad adottare le procedure in fretta per non paralizzare un’Unione il cui futuro è in gioco. Il presidente della Commissione, Jean Claude Juncker, ha esortato Londra a chiarire «il prima possibile» le sue intenzioni e ha aggiunto che nessuno, a Bruxelles, negozierà nulla con il Regno Unito finché Londra non avrà notificato formalmente la decisione di uscire. Da Berlino, gli ha fatto eco il cancelliere Angela Merkel, assicurando in primis che l’Ue è abbastanza forte per sopravvivere all’uscita della Gran Bretagna. Merkel ha avvertito il Regno Unito che non potrà scegliere di mantenere i privilegi, facendo a meno di tutti gli obblighi: «Faremo in modo che i negoziati non si sviluppino sul principio della ”scelta del menu”. Chi esce da una famiglia non può sperare che tutti gli obblighi spariscano e si mantengono solo i privilegi». E ha spiegato che il Regno Unito non potrà conservare l’accesso al mercato unico dell’Ue, se nega la libera circolazione dei cittadini comunitari nel suo territorio. «Nessun privilegio senza doveri», ha detto la cancelliera, aggiungendo che «deve esserci una differenza sensibile» tra essere o meno membro dell’Ue. Juncker: «Dettiamo noi l’agenda» In mattinata la plenaria del Parlamento Ue. In Aula ha parlato il presidente della Commissione Ue, Jean-Claude Juncker che ha detto che sarà l’Unione europea a dettare l’agenda sul processo di separazione, non il Regno Unito. «Con il Regno Unito dovremo costituire nuove relazioni», ha spiegato Juncker, smentendo le voci di «negoziati segreti» avviati tra rappresentanti dell’Ue e Regno Unito. «Ho vietato ai commissari di discutere con i rappresentanti del governo britannico», ha aggiunto Juncker ribadendo che senza una notifica dell’articolo 50 del Trattato non verranno avviati negoziati («no notification, no negotiation»). «Siamo noi che dettiamo l’agenda, non chi vuole uscire dall’Ue», ha ribadito Juncker secondo cui «non è il momento di chinare il capo, ma quello di alzare la testa e guardare verso il futuro continentale». «Rispettare il voto popolare» Juncker ha insistito sulla necessità di rispettare la democrazia britannica e il voto popolare. «Avrei voluto che il Regno Unito rimanesse con noi, ma ha deciso altrimenti e bisogna trarne le conseguenze», ha detto Juncker, che incontrerà il primo ministro britannico David Cameron. «Chiederò (a Cameron) quanto prima di chiarire la situazione: non possiamo avere un’incertezza senza fine», ha detto Juncker. «Sono sorpreso di vedere che io, proprio io che in Gran Bretagna vengo dipinto come tecnocrate, eurocrate e robot, voglio trarre le conseguenze del voto. E loro no?», ha concluso Juncker. shadow carousel Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l’abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Brexit, l?abbraccio in parlamento tra Juncker e Farage Prev Next Scambio di battute con Farage Il tono duro del il presidente della Commissione Ue è stato evidente durante tutto l’intervento in parlamento. Ed è stato preceduto da uno scambio di battute al vetriolo con il leader dell’Ukip, antieuropeista per eccellenza, Nigel Farage. «I nostri amici britannici hanno espresso il loro punto di vista. La democrazia è democrazia e dobbiamo rispettare il voto», ha dichiarato Juncker. Vedendo Farage, sostenitore della Brexit, applaudire a queste parole, Juncker si è interrotto e si è rivolto a Farage: «È l’ultima volta che lei applaude qui. Lei è un sostenitore della Brexit, perché è qui? Ora avete preso una decisione, e ora ne dovete accettate le conseguenze», ha detto Juncker. Al piccolo scontro è poi però seguita la «riconciliazione»: e i due si sono abbracciati calorosamente in aula. Londra, Corbyn sfiduciato E mentre a Londra prendono forza i nomi di Theresa May e Boris Johnson come probabili candidati a succedere a David Cameron alla guida dei Tory, il leader laburista, Jeremy Corbyn, si è sottoposto nel pomeriggio a un voto di fiducia dei suoi deputati, dopo le dimissioni di una trentina di membri della sua equipe. Una larga maggioranza ha votato per la sfiducia al leader: i voti contro Corbyn sono stati 172, quelli a sostegno 40, le astensioni quattro. La votazione, comunque, non è vincolante per il capo dell’opposizione. 28 giugno 2016 (modifica il 28 giugno 2016 | 20:18) © RIPRODUZIONE RISERVATA LASTAMPA Il timore vero, che si sente solo confessare a denti stretti, è che il negoziato per il divorzio britannico possa non cominciare. «Personalmente credo che il Regno Unito non notificherà mai il recesso dall’Unione», ammette un diplomatico di peso, condividendo una sensazione comune ai piani alti dei palazzi bruxellesi. Lassù molti pensano che Boris & Co. avessero in mente di perdere di misura per strappare il governo a Cameron: è andata male ed è stato uno smacco per tutti, anche perché nessuno ha davvero idea di cosa potrebbe succedere se i trionfatori della Brexit restassero immobili. Lascerebbero cadere tutto sfidando l’elettorato? Darebbero un colpo di spugna sciogliendo il Parlamento? Creerebbero le condizioni per un’altra consultazione? «Non vogliono saltare dalla scogliera - aggiunge la fonte -. Penso che stiano studiando un modo per fare una marcia indietro». L’incognita riguarda non solo la fondatezza dell’idea, ma anche quanto potrebbe costare una decisione temporeggiatrice a medio-lungo termine. Il voto sulla Brexit si ripercuote su mercati e prospettive di crescita, se non altro perché alimenta l’incertezza, veleno per ogni ripresa. Il vertice dei Capi di Stato e di governo Ue che si apre oggi a Bruxelles cercherà di disinnescare i pericoli. L’intento è spazzar via i dubbi sulle decisioni del Regno Unito, cucire una non semplice posizione comune per affrontare la separazione chiesta dal 52% dei britannici e avviare una riforma di contenuto che salvi l’Unione, necessaria per recuperare i consensi dei cittadini giustamente irritati dall’assenza di risposte concrete alle paure diffuse. LEGGI ANCHE - Merkel con Renzi e Hollande dopo Brexit: niente negoziato senza la richiesta d’uscita «Ci sono due scuole di pensiero su come parlare a Cameron», assicurano i diplomatici, raccontando la riunione degli sherpa dei Ventisette svoltasi domenica. Una dice che devono andare via al più presto possibile; l’altra sostiene l’approccio del «non è successo nulla sino anche non faranno scattare l’articolo 50», la norma dei trattati che disciplina la separazione consensuale. Il campo è diviso a metà, i duri guidati da Francia e Belgio (determinati a evitare che il caso britannico sia un esempio per altri) e i dialoganti capitanati da Frau Merkel che spera un una rappacificazione, con l’Italia in mezzo che chiede «tempi ragionevolmente brevi e chiarezza». Il Consiglio ha nominato una sua task-force Brexit, suscitando la furia della Commissione che vuole condurre la tenzone e accusa la violazione del principio - in teoria sacro per tutti - secondo cui «non si negozia senza notifica» dell’addio desiderato. Dalle parti di Juncker lo ritengono un «grande errore», garantisce un diplomatico. È un rompicapo complesso, eppure meno rilevante rispetto al riassetto degli scenari futuri. La crisi euroscettica non è un problema solo britannico. Il referendum ha avuto almeno il merito di dare la scossa ai governi Ue, litigiosi e sonnolenti davanti ai populisti e gli scettici che qualche ragione ce l’hanno. Ora si può ripartire con la «strategia globale» dell’alto rappresentante Federica Mogherini per attribuire un ruolo centrale all’Europa sullo scacchiere internazionale. Ma c’è movimento anche sull’asse franco-tedesco che può coinvolgere a pieno titolo l’Italia. Ieri è circolato un testo scritto dai ministri degli esteri di Parigi e Berlino, Ayrault e Steinmeier. Si occupa di stabilità internazionale e terrorismo, proponendo un «compact della Sicurezza» che rafforzi la Difesa e imponga ai governi di fare un punto semestrale di coordinamento su iniziative e spese militari. Parla di migranti, suggerendo un rafforzamento permanente di Frontex e aprendo a una mini Europa solidale per ricollocare i rifugiati. LEGGI ANCHE: Perché tutti pretendono il famoso articolo 50 prima di parlare con Londra? Guarda lontano anche sulla ripresa, che è troppo debole per tranquillizzare che teme di perdere il lavoro o di non trovarlo. Lo fa ragionando su possibili casse comuni europee a sostegno della crescita, un Fondo monetario europeo nato dal salva-stati Esm e una «fiscal capacity» per gli investimenti. Si suggerisce di oliare la governance dell’Eurozona con un presidente fisso che risponda al Parlamento. Buone idee, non nuove, che segnalano un cambiamento di umore a Berlino, e sono pronte a circolare nei discorsi del summit di Bruxelles. Dove al punto in cui siamo, rimanere fermi alle parole sarà inutile, oltre che colpevole. LASTAMPA Quelli del “dare tempo” Sperano di trovare una soluzione intermedia, una mediazione tra il legittimo riconoscimento della volontà del popolo britannico e la concretezza delle possibili conseguenze negative di una Brexit. Sotto sotto, sperano che Londra sia in grado di trovare una soluzione interna e dunque evitare l’uscita vera e propria. Tra questi c’è sicuramente la Germania. Quelli del “fuori subito” Puntano a dare un segnale forte, come a dire che non è semplice andare via dall’Ue. Il loro obiettivo è anche quello di prevenire eventuali altre richieste di referendum in altri Paesi. Tra di loro ci sono per esempio francesi e belgi. Quelli del “non lo faranno mai” La terza fazione è un sottoinsieme delle prime due, e le contagia entrambe: hanno la diffusa sensazione che i britannici potrebbero non chiedere mai il divorzio, e per questo lasciano un po’ di spazio, un po’ di ossigeno a questa speranza. Ai tempi della abortita convenzione per la Costituzione europea, fu il britannico Sir John Kerry a imporre l’articolo 50 contro la volontà della maggioranza. Il tedesco Elmar Brok, oggi presidente della commissione Esteri del Parlamento europeo, lo osteggiò a lungo. Vistosi sconfitto, si concentrò a rendere il divorzio dall’Ue «più complesso possibile». DANILO TAINO SU CDS DI STAMATTINA DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO Attenzione alle false impressioni. Il Regno Unito se ne va: una buona occasione per qualche vertice in più — si può pensare. No, questa volta è diverso. L’incontro di ieri a Berlino tra Angela Merkel, François Hollande, Matteo Renzi e il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk può essere sembrato la parata di sempre. Dietro la facciata, però, c’è l’accelerazione della storia. Un comunicato e una conferenza stampa finali che non potevano che dare l’impressione della massima unità, vista la crisi in atto: in realtà, divisioni non da poco, con il governo tedesco che ha deciso di prendere un ruolo di leadership che potrebbe cambiare davvero l’Unione Europea. La cancelliera non ha avuto difficoltà nel fare passare la sua idea sul tema prioritario del momento, cioè quando aprire le procedure per l’uscita di Londra dalla Ue. Si aspetterà il nuovo primo ministro britannico: ieri, anche dopo avere avuto contatti con Berlino, David Cameron ha deciso di anticipare le sue dimissioni da ottobre a settembre. A quel punto, chi gli succederà potrà chiedere formalmente alla Ue di avviare le procedure dell’articolo 50 del Trattato di Lisbona sull’uscita dall’Unione. Merkel ha detto che non si può fare altro: spetta a Londra avviare il processo. Anche Hollande ha di fatto accettato questa agenda, nonostante a Parigi e a Bruxelles gran parte dei politici vorrebbero che la procedura d’uscita partisse subito, per dare il segnale che chi se ne va non deve aspettarsi sconti. «Prendiamo atto — ha detto il presidente francese — che c’è una tabella di marcia che riguarda anche le elezioni nel partito conservatore» britannico che dovrà decidere il nuovo premier. Bisogna fare presto, hanno detto i tre leader: ma le regole sono chiare, spetta a chi vuole uscire dalla Ue fare il primo passo. Non ci saranno nemmeno colloqui informali, si è precisato ieri. Per Merkel la questione è rilevante. Da una parte vuole lasciare il tempo a Londra di digerire la Brexit per potere mantenere con il Regno Unito un rapporto da partner negli organismi internazionali, prima di tutto Nato e Onu. Dall’altra vuole segnalare che la Ue non è incattivita quando un elettorato le vota contro. Soprattutto, però, vuole tenere in mano l’iniziativa, cioè intende evitare che la gestione della Brexit sia lasciata alla Commissione europea: secondo lei è arrivato il momento di chiarire che in questo passaggio di crisi la leadership spetta ai governi. E probabilmente anche dopo la crisi. In Germania, gli attacchi di questi giorni al presidente della Commissione Jean-Claude Juncker per la sua incompetenza nel gestire la campagna sulla Brexit sono sempre più forti: oggi scende in campo la Frankfurter Allgemeine Zeitung , quotidiano vicino a Merkel, per chiederne le dimissioni in quanto «non ha capito nulla». Lo scontro sulla tempistica delle pratiche del divorzio britannico, in altri termini, è il segno di due posizioni che si stanno delineando nel Continente. Da un lato chi vorrebbe procedere subito e dare mandato alla Commissione Ue di gestire le trattative; dall’altro Berlino che vuole la discussione tenuta sotto l’ombrello degli Stati, cioè del Consiglio europeo (anche per questo al vertice di Berlino c’era Tusk ma non Juncker). Ieri, Merkel ha detto esplicitamente che «le linee guida» su come procedere saranno date dal Consiglio europeo di oggi e domani. Non è cosa da poco. È che Berlino — o almeno Merkel — ritiene che la Commissione non abbia più una funzione propulsiva ma debba essere un esecutore delle decisioni degli Stati, una loro agenzia, in qualche modo. E qui, sull’idea di cosa sarà la Ue del futuro, c’è lo scontro sulla contrapposizione tra «bisogna integrarsi di più», quindi ruolo centrale della Commissione, e «non si può proporre più Europa» ai cittadini che non la vogliono, quindi più potere agli Stati. Infatti, di questo ieri a Berlino non si è parlato. Unità su sicurezza interna ed esterna, compresa la Difesa; su economia forte e coesione sociale; su «programmi ambiziosi per i giovani». Tutto da lanciare a settembre. Ma niente su passi istituzionali verso più o meno integrazione nella Ue. Sarà la grande questione e lo scontro dei prossimi mesi. Merkel fa sapere che l’Europa è degli Stati, non di Bruxelles. danilotaino DEBITO DECLASSATO CDS DI STAMATTINA milano Dopo il crollo dei mercati di venerdì scorso — all’indomani della scelta del popolo britannico di intraprendere la strada della Brexit — c’era attesa per la giornata di ieri. Poteva andare peggio, se si pensa che venerdì scorso Piazza Affari ha perso il 12,48%. Ma le misure assicurate dalle banche centrali — per bocca del direttore generale della Bri (Banca dei regolamenti internazionali) Jaime Caruana — per garantire l’ordinato funzionamento dei mercati, poco hanno potuto nell’arginare le vendite. Piazza Affari ha chiuso la seduta con la peggior performance europea, con l’indice Ftse Mib giù del 3,94% a 15.103 punti. Raffica di segni negativi anche nelle altre principali Borse continentali: Francoforte in calo del 3,02%, Parigi del 2,97% e Londra del 2,55%. Nel complesso le Borse europee hanno perso altri 282 miliardi (dopo i 637 di venerdì scorso, per un totale oltre i 900 miliardi di euro in due sedute post Brexit), con un calo del 4,1% dell’indice Stoxx Europe 600. A fine serata si è aggiunta anche la decisione di Standard & Poor’s di tagliare il rating della Gran Bretagna, da « AAA» a «AA», con l’outlook che resta negativo. Giù pure il giudizio di Fitch, da AA+ ad AA. Anche Wall Street ha chiuso in rosso: -1,5%. Eppure la giornata era iniziata con auspici differenti: i segnali positivi delle Borse asiatiche (Tokyo +2,39% e Shanghai +0,86%) avevano trovato parziale conferma nell’apertura delle Borse europee. Piazza Affari aveva aperto con il segno più, arrivando a guadagnare fino all’1%. E Madrid, addirittura, era arrivata a sfiorare un incremento del 3%, probabilmente in scia ai risultati elettorali che hanno sancito la sconfitta di Podemos . A metà seduta è arrivata l’inversione di tendenza, determinata prima dal dietrofront dei titoli finanziari, poi dall’apertura negativa di Wall Street (-1,3%). Tra i titoli più penalizzati quelli bancari, oggetto anche di sospensioni al ribasso. A fine giornata l’indice milanese del comparto ha chiuso in calo del 9,23%, con Mps peggior titolo di giornata (-13,3%) seguito da Mediobanca (-12,8%), Intesa Sanpaolo (-10,9%) e Unicredit (-8%). In sofferenza anche altri titoli finanziari, da Azimut (-11,8%) a Unipol (-10,2%) fino a Generali (-8,4%). In caduta libera anche le azioni degli istituti di credito britannici — Barclays ha perso il 17,3% e Rbs il 15% — e quelle delle compagnie aeree low cost dopo che Easyjet ha lanciato un allarme sugli utili perché si aspetta che, a causa delle incertezze economiche, i ricavi per posto (a cambi costanti) scendano nella seconda metà del 2016 di almeno il 5%. E così le azioni hanno perso il 22% e quelle di Ryanair il 14%. Tra l’altro, i cambi costanti oggi sembrano un azzardo: ieri la sterlina ha continuato la corsa al ribasso perdendo un ulteriore 2,7% toccando, contro euro, quota 1,19. Da segnalare che lo spread Btp-Bund si è allargato fino a raggiungere i 162 punti . BORIS JOHNSON SU CDS Si dice che chi ha votato Leave è stato guidato soprattutto dalle preoccupazioni per l’immigrazione. Non credo sia così. Dopo aver incontrato migliaia di persone, vi posso dire che la questione principale era il controllo — la sensazione che la democrazia britannica fosse minata dal sistema Ue, e che si debba restituire al popolo quel potere vitale: di cacciare i loro governanti alle elezioni, e di sceglierne di nuovi. Credo che i milioni di persone che hanno votato Leave siano stati ispirati anche dalla convinzione che la Gran Bretagna è un grande Paese, e che al di fuori dei garbugli burocratici dell’Ue che distruggono i posti di lavoro, possiamo sopravvivere e prosperare come mai è stato. Credo che la loro analisi sia giusta, e che giusta sia la loro scelta. Eppure, noi che concordiamo con questo verdetto dobbiamo accettare che non è stato poi così schiacciante. Più di 16 milioni volevano restare. Sono i nostri vicini, fratelli e sorelle. In una democrazia le maggioranze possono decidere, ma tutti hanno ugual valore. Dobbiamo fare tutto il possibile per rassicurare chi voleva restare. Credo che questo clima di apprensione sia comprensibile, dopo quel che è stato detto alla gente durante la campagna, basandosi però su un profondo equivoco.