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 2016  giugno 25 Sabato calendario

ARMA LEGALE: «ORA SFIDO LA VW»

Ride a sentirsi definire «la donna all’assalto della Volkswagen». E nonostante a Elizabeth Cabraser, 62 anni, 80 cause collettive vinte in difesa dei consumatori abbiano meritato il titolo di “campionessa dei deboli”, lei – il temutissimo avvocato che sta facendo tremare la fabbrica di automobili tedesca – spiega con modestia: «Non sono più i tempi dell’avvocato eroe che sconfigge da solo in tribunale i colossi delle multinazionali, Davide contro Golia. Le grandi controversie legali di questo tipo oggi sono portate avanti da squadre di avvocati nominati dal giudice che si trovano a collaborare tra loro anche quando, in normali condizioni, sarebbero in competizione. Le trattative sono spesso condotte a porte chiuse, non in aula. E comportano un lungo e impegnativo lavoro di ricerca, che può durare mesi e richiedere molte risorse: impossibile da sopportare per un solo studio legale! Neppure il mio, che – con 70 avvocati e sedi a San Francisco e New York – è uno dei più grandi tra quelli specializzati in cause collettive multistatali».
“Cabraser contro Volkswagen”, dunque, ma non solo. E per capire esattamente la natura dello scandalo, e la posta in gioco, bisogna fare marcia indietro. Ripartendo dai fatti: L’8 settembre del 2015 la U.S. Environmental Protection Agency comunicò alla Volkswagen una “notizia di violazione” delle leggi americane sull’aria pulita. Le 482mila automobili diesel Vw o Audi vendute negli Stati Uniti dal 2008 usavano un software che intenzionalmente riduceva la percentuale di agenti inquinanti rilevati negli scappamenti durante gli smog test. Ovvero: il computer dei veicoli in questione era programmato per “capire” quando le auto venivano sottoposte al test, e azionare solo allora il sistema di controllo totale degli agenti inquinanti, spegnendolo subito dopo per ottenere una migliore performance e risparmio di carburante nel normale uso su strada. E tanti saluti al reclamizzato slogan: «Questo non è il diesel di una volta, fumoso e puzzolente».
La frode, già grave di per sé, aggiungeva il danno alla beffa tradendo la fiducia dei consumatori che avevano acquistato questi diesel “nuova generazione” proprio per convinzione ambientalista. L’Epa ha reso noto che i 482mila veicoli di cui sopra emettono 40 volte di più degli standard nazionali ossido di azoto, un gas considerato causa di problemi respiratori come asma, bronchite ed enfisema. «La campagna di marketing della Vw definiva i suoi “clean diesel” ecologici e a basso consumo di carburante», spiega Cabraser. «In realtà sono tutto meno che ecologici e puliti. In pratica, la VW ha venduto per sei anni ai suoi clienti una macchina che non esiste, imbrogliandoli intenzionalmente e sistematicamente. E il risultato è che gli acquirenti ora si ritrovano con un veicolo molto svalutato e praticamente impossibile da rivendere».
Dopo che 500 cause sono state intentate dai clienti, Cabraser è stata scelta tra più di 150 candidati dal giudice Charles Breyer – che presiede la corte distrettuale del Nord California dove si affronta il caso – per capeggiare il team di 22 avvocati che sfida il gigante automobilistico. La ragione? «Penso che abbia considerato il mio curriculum: comprende cause che vanno dalle medicine dannose ai defibrillatori cardiaci, agli impianti al silicone per il seno. Ma soprattutto vertenze originate da grandi disastri naturali provocati per incuria o malafede delle multinazionali: per esempio la fuoriuscita nel 2012 dal pozzo di petrolio Macondo della British Petroleum di più di 800 milioni di litri di petrolio nel Golfo del Messico: l’azienda, tra le più ricche del mondo, venne condannata a pagare circa 8 miliardi di dollari di danni. O i 45 milioni di litri di petrolio versati dalla petroliera Exxon Valdez nel 1989 nelle acque dell’Alaska, che portò a un risarcimento di un miliardo e mezzo di dollari ai pescatori nativi e alle altre piccole imprese devastate dal disastro». Ha insomma una solidissima reputazione in tema di difesa ambientale: «Dal punto di vista legale, in questi casi lottiamo per la compensazione del trauma causato, che è severo e a volte invisibile, non solo economico. Depressione, divorzi e suicidi crescono enormemente di numero all’indomani di questi disastri. Penso che questo dimostri che la nostra relazione con l’ambiente è molto più profonda di quanto crediamo».
Per le sue convinzioni e i suoi successi, Cabraser è stata inserita per ben tre volte da The National Law Journal nella lista dei «100 avvocati più influenti d’America». Nel 2010 l’American Bar Association le ha assegnato la sua più alta onorificenza per donne-avvocato, la Margaret Brent Women Lawyers of Achievement Award. Nel 2011 U.S. News/Best Lawyers l’ha invece nominata «San Francisco Lawyer of the Year». Lo studio legale di cui è partner, Lieff Cabraser, può vantare circa 42 miliardi di dollari ottenuti in questo tipo di cause, 16 delle quali da più di un miliardo ciascuna. Non male per una ragazza la cui massima aspirazione alla fine dell’high school era fare la bibliotecaria. «Culturalmente e politicamente», racconta, «appartengo al 99% delle “persone normali”. Fuori dal tribunale vesto in jeans, T-shirt e scarpe da ginnastica, niente Manolo Blahnik o completi pantaloni firmati Christian Dior. Vengo dalla piccola borghesia di Oakland e sono stata la prima della mia famiglia ad andare al college. Mio padre era un fotografo industriale, non laureato, e un sindacalista. Per pagarmi la scuola raccoglievo lattuga in una fattoria d’estate e suonavo la batteria con bande locali nei fine settimana» (ancora oggi suona con passione come antidoto allo stress, ed è vicepresidente della celebre fabbrica di strumenti Craviotto Drum Company).
Come ha cominciato la carriera? «Non avevo le idee chiare, ma sapevo che mi piaceva la storia e avevo un debole per la giustizia. Decisi di provare a fare il test d’ammissione alla facoltà di Legge della Boalt Hall School of Law e, incredibilmente, lo passai al primo colpo».
Alla sua alma mater, Cabraser, riconoscente, ha donato poi 5 milioni di dollari, ma quando le chiediamo che cosa pensi del sistema scolastico americano e delle sue astronomiche rette universitarie, non ha peli sulla lingua: «È una vergogna. così come funziona oggi, un avvocato o un medico che arrivano alla laurea si ritrovano mediamente con 150mila dollari di debiti da ripagare. Troppi, per avere libertà di scelta in fatto di carriera: la priorità diventa restituire il prima possibile queste somme, che continuano a crescere per gli interessi. In questo modo, proprio i giovani più idealmente motivati restano fuori. Quando studiavo io, invece, si poteva ancora frequentare l’università grazie a borse di studio e lavori part time durante l’anno scolastico. Io, altrimenti, la facoltà di Legge non avrei mai potuto permettermela».
A dare la svolta al destino professionale di Cabraser fu proprio la necessità di lavorare per pagarsi gli studi: un piccolo annuncio affisso in bacheca all’ingresso della facoltà offriva 5 dollari all’ora per ricerche legali. «Telefonai al numero indicato e parlai con Robert Lieff, l’uomo che anni dopo sarebbe diventato il mio partner nello studio. Mi disse che voleva smettere la pratica legale per dedicarsi alla vigna che aveva appena piantato, ma che prima aveva alcune cause da concludere. Una era il reclamo di una vedova per ottenere il premio dell’assicurazione sulla vita del marito, e andava compilata entro il giorno dopo. Feci le ricerche del caso, scrissi il reclamo di notte e vincemmo. Quel primo successo mi fece “sentire a casa”: tutto ciò che avevo imparato finalmente serviva ad aiutare qualcuno. Una bella soddisfazione».
Ne seguirono subito molte altre, al punto che Lieff cambiò idea: rinunciò al prepensionamento e decise invece di promuovere Elizabeth a socio, nel 1981. Lieff Cabraser è da allora diventato uno dei più importanti studi legali nel campo delle cause civili e ambientali, in particolare delle frodi ai danni del consumatore.
Nel caso della controversia con la Volkswagen, gli obiettivi sono ben chiari: un programma di riacquisto o permuta dei veicoli degli acquirenti che lo chiedano, oppure di riparazioni tali da rendere le auto effettivamente “pulite”. E una grossa donazione destinata alla ricerca per costruire veicoli meno inquinanti.
«A essere in gioco, qui, non sono soltanto i soldi», sottolinea Cabraser. «È la reputazione della Volkswagen, che in tutta questa vicenda rischia di perdere, oltre ai miliardi, la fiducia dei consumatori: un bel monito per altre multinazionali. Per tutte quelle che pensano di potersela cavare in barba alla legge».Volkswagen si è comunque già dimostrata disponibile: proprio pochi giorni fa, il 21 giugno, si è insediato un comitato che lavora alla mozione preliminare per raggiungere un accordo finanziario riparatore.