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 2016  giugno 28 Martedì calendario

“VOTI CON LE LETTERE? RIDICOLO. È IL GOVERNO CHE DÀ I NUMERI”

Meglio i numeri o le lettere? È il dilemma di chi deve decidere quale sistema di valutazione adottare per le scuole elementari e medie e che da sempre riceve pareri discordanti dagli “esperti della scuola”. Per la ministra Stefania Giannini, autrice della “Buona scuola”, è necessario fare un passo indietro rispetto alla riforma Gelmini del 2009 e tornare alle lettere – dalla A alle E.
Questa novità è contenuta in uno dei disegni di legge delega che il governo sta preparando sulla base delle indicazioni contenute nella “Buona scuola” – la contestata riforma dell’istruzione varata nel luglio 2015 – e dovrebbe essere approvato entro l’estate per entrare in vigore dall’anno scolastico 2017-2018. Secondo gli autori del provvedimento il voto numerico è uno strumento molto semplice per esprimere una valutazione ma anche riduttivo: lo studente, alla fine dell’anno, ha un giudizio sulla sua preparazione ottenuto semplicemente dalla media dei suoi voti. La valutazione in lettere, invece, dovrebbe esprimere l’evoluzione delle competenze e delle conoscenze, l’intero percorso formativo dell’alunno durante il periodo di studio.
Una sfumatura di metodo che non ha motivo di esistere per Luciano Canfora: “Tutti questi escamotage che ogni ministro dell’Istruzione introduce appena arriva al ministero, mi ricordano sempre la proposta del ministro democristiano Francesco D’Onofrio che durante il primo governo Berlusconi (1994) propose la valutazione in base ai colori”. Allora come oggi, per il filologo, le discussioni intorno a questo tema sono “stupidaggini”: “Forse negli ultimi tempi però il livello di reattività nei confronti di queste assurdità si è abbassato del tutto. Non c’è nulla di punitivo nei numeri, né credo che la preparazione o la maggiore capacità di apprendere di uno studente dipenda dal metodo di valutazione.
Se il maestro è in grado di insegnare, allora il piccolo alunno imparerà qualsiasi cosa a prescindere che lo si giudichi con un 10 o una A”. Concorda con Canfora sulla necessità di un momento di valutazione con cui i ragazzi devono confrontarsi, anche Marco Rossi-Doria: “A scuola succede come nella vita: si assiste ad un processo, la cui conclusione è data dall’elaborazione di un prodotto”. La valutazione è dunque parte integrante del processo di apprendimento: “Sono i ragazzi stessi che si aspettano di essere valutati, che un giudizio venga espresso sulla qualità del loro lavoro”.
In Italia sin dagli anni 80 si è sperimentato di tutto: dalle valutazioni articolate, ai giudizi fino ai numeri ed, ora, il ritorno alle lettere. “Tuttavia – continua l’ex sottosegretario all’Istruzione – il vero problema è come si arriva alla valutazione: io sono per una scuola laboratoriale, dove si lavora assieme, si sperimenta, si prova, si è sottoposti ad una verifica e si è poi valutati.
Un altro conto è un apprendimento che si basa solo sulla memoria, da evitare assolutamente”. Non basta “stabilire se qualcosa si è appreso o no, ma anche il come lo si è fatto è importante”. Affronta l’argomento da una prospettiva differente, il maestro e giornalista Alex Corlazzoli. La grande questione che andrebbe analizzata, lasciando da parte una sottigliezza come quella della forma della valutazione, è “se sia ancora necessario mettere il voto alla scuola primaria”.
Il sistema attuale è “arcaico: serve solo a mettere in competizione i bambini e a far contenti i genitori”. Corlazzoli si dice scettico nei confronti di quanti, lodando la riforma, sostengono che la valutazione con le lettere sia più “dinamica” di quella numerica e permetta di valutare meglio il percorso d’apprendimento dei ragazzi. “Le lettere, seppur in maniera limitata, le usiamo già per valutare il comportamento o l’impegno.
Si tratta comunque di un’etichetta: il rischio è che poi si faccia una semplice media delle valutazioni fatte con le lettere. È ora di rimettere il bambino al centro”. La valutazione, nella buona scuola prospettata da Corlazzoli, non dovrebbe limitarsi alle verifiche: “Bisognerebbe anche tenere presente l’impegno dell’alunno, le gite d’istruzione, la partecipazione”. Lettere, numeri: i problemi della scuola italiana sembrano essere altri.
GIOVANNA BORRELLI E ANDREA CARLO MAGNAGHI, il Fatto Quotidiano 28/6/2016