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 2016  giugno 28 Martedì calendario

THE FOX

Il grande Carlo M. Cipolla divideva gli esseri umani in quattro categorie: gli intelligenti, che avvantaggiano sia se stessi sia gli altri; gli sprovveduti, che danneggiano se stessi e avvantaggiano gli altri; i banditi, che danneggiano gli altri per avvantaggiare se stessi; e gli stupidi, che danneggiano sia gli altri sia se stessi (quindi sono i più pericolosi di tutti). Noi, vista la ricorrente coincidenza fra la cronaca politica e quella giudiziaria, siamo abituati a iscrivere i politici nel club dei banditi: di solito danneggiano i loro popoli per fare i propri interessi. Ma sempre più spesso passano da banditi a stupidi senza neppure accorgersene: perché, oltreché agli altri, riescono a far danni anche a se stessi. Celebre il caso di Jacques Chirac, che nel 1997 scioglie l’Assemblea Nazionale con un anno d’anticipo per frenare il malcontento contro il governo di Balladour, gollista come lui. Invece perde le elezioni, vinte dalle sinistre, ed è costretto alla coabitazione forzata col primo ministro socialista Jospin, che durerà fino al 2002. Un autogol clamoroso anche perché, perso il controllo del governo, le procure (dipendenti dall’esecutivo) iniziano a indagare sui finanziamenti occulti del suo partito e sulle sue false assunzioni al Comune di Parigi quando ne era sindaco. Un mito.
La stessa genialata l’ha appena fatta il premier conservatore britannico David Cameron. Nessuno lo obbligava o gli chiedeva di aprire il vaso di Pandora delle urne su un tema controverso come la Brexit. Ma lui si credeva il più furbo di tutti. Nel 2014 l’Ukip di Nigel Farage stravince le elezioni europee (33% contro il 26 dei Tory) con le sue campagne contro l’Europa e gli immigrati. Allora quella volpe di Cameron lancia una sfida degna del miglior Fassino: facciamo un bel referendum e vediamo quanti voti prende la Brexit. Risultato: spacca il suo partito, regala a Farage la leadership dei separatisti che superano il 50%, e si dimette. Carriera finita. Un genio.
Siccome non c’è il due senza il tre, anche Matteo Renzi sta facendo di tutto per seguire le orme di Chirac e Cameron. In tre anni, ha attraversato tutte e quattro le categorie della teoria Cipolla. Partì intelligente nel 2013, vincendo le primarie per la segreteria del Pd con parole d’ordine molto popolari quanto condivisibili (rottamazione, lotta alla casta e ai suoi privilegi, legge elettorale per restituire il potere di scelta dei cittadini, dimezzare il numero e lo stipendio dei parlamentari, abolire il finanziamento pubblico ai partiti, no a Napolitano su amnistia e indulto, niente più inciuci con B. & C.).
Quanto bastava per avvantaggiare se stesso e gli altri. Infatti, salito al governo, fu subito premiato col 40.8% alle Europee. Ma in poco tempo diventò bandito, danneggiando gli altri (gli italiani) per avvantaggiare se stesso: Italicum con capilista bloccati, cioè nominati; riforma costituzionale per abolire le elezioni dei senatori, nominati dai consigli regionali; Jobs Act per levare l’articolo 18 ai lavoratori; e così via. Nell’ottobre scorso passa al modello stupido, riuscendo a danneggiare non solo gli altri, ma anche se stesso. In quel momento il Pd governa il Comune di Roma e tutti e 14 i suoi municipi. Poi quel gran genio di Matteo caccia il sindaco Marino e fa dimettere i presidenti dei 14 municipi: torniamo alle urne e vediamo quanti voti prendono i 5Stelle. Risultato: i 5Stelle si pappano il Comune e 12 municipi su 14. Una mossa astutissima. Ed eccoci alla quarta fase: quella dello sprovveduto, che danneggia se stesso e avvantaggia gli altri. In vista del referendum di ottobre sulla sua controriforma costituzionale, Renzi fa silenziare i Comitati del No dalle apposite Rai e Mediaset. Parla solo il Sì, cioè lui, la Boschi e Napolitano: avremo governi stabili e leggi-lampo, il Senato sparirà, un politico su tre andrà a casa e risparmieremo miliardi a palate, mentre chi vota No vuol conservare le poltrone e sta con Casa Pound. I teledipendenti, in mancanza di smentite, si bevono tutto e il Sì stravince nei sondaggi.
A quel punto Renzi ingaggia un presunto guru americano, Jim Messina, che dopo aver portato Obama alla vittoria ha perso il tocco magico, infatti ha consigliato da par suo Cameron sul referendum della Brexit e Rajoy sulla rimonta dopo la non-vittoria dell’anno scorso. E lo paga pure (coi soldi del Pd, cioè i nostri) 200 o 300 mila euro. È la svolta. Il premier annuncia che, se a ottobre vince il No, va a casa: cioè lascia non solo il governo, ma pure la politica e si ritira a vita privata. E la Boschi e Padoan dicono che faranno altrettanto. È il migliore spot per il No, che comincia a rimontare nei sondaggi. Anche chi vede la tv, dunque non conosce la riforma, si ingolosisce: però, se basta un No per mandarli a casa, quasi quasi… La Volpe di Rignano invita pure all’astensione al referendum sulle trivelle e, non contento, irride ai 15 milioni che hanno votato, mettendoseli tutti contro. Così, a ottobre, gli toccherà portarne alle urne almeno uno in più. E non sarà facile, visto che i 5Stelle e il centrodestra hanno quasi il doppio dei suoi voti e – come insegnano le Comunali – quando c’è da dire Sì o No a Renzi, convergono sul No. Il resto lo fa l’amico Cameron, anche lui consigliato da Jim Messina, rendendo sexy il No su scala planetaria. Infatti il No, negli ultimi sondaggi, vola al 54%. The Fox va nel pallone, farfugliando di rinviare il referendum a tempi migliori (ma la legge non consente di andare oltre ottobre-novembre) o magari di restare anche da sconfitto, se il partito glielo chiede. Se va avanti così, il neosprovveduto potrebbe rendere il migliore servigio al suo Paese: salvarlo dalla sua controriforma e, se è di parola, pure da se stesso.
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 28/6/2016