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 2016  giugno 28 Martedì calendario

RITRATTO DI VINCENZO MONTELLA

Che il Milan fosse nel suo destino di allenatore Vincenzo Montella l’ha capito subito, il 17 giugno 2010, quando proprio i rossoneri gli negarono la gioia dell’esordio tricolore. Vincenzino era alla sua prima avventura da tecnico, dopo aver spalmato l’ultimo anno di contratto da giocatore con la Roma con un triennale da allenatore nel settore giovanile. Iniziò contro il Valencia nel torneo Roma 2001 e finì proprio contro i rossoneri, che nella finale scudetto di Montepulciano gli negarono la gioia dello scudetto. In quella Roma giocava Alessio Romagnoli, a cui proprio Montella insegnò i segreti del mestiere («Abbiamo un rapporto bellissimo, ogni tanto giocava con noi e lo marcavo. Ma guai a levargli il pallone, mi pestava i piedi», tra i ricordi del difensore rossonero) e che potrebbe tornare presto ad allenare. Ma che poi il Milan fosse scritto nel suo destino Montella l’ha capito anche più tardi, quando con la Fiorentina nel 2013 arrivò ad un soffio dalla Champions League, altro sogno negatogli proprio dai rossoneri e sempre al fotofinish.

A ROMA Del resto, la storia di Montella allenatore inizia quasi per caso, quando dopo l’ennesimo infortunio l’Aeroplanino va da Pradè (all’epoca d.s. della Roma) a dirgli di voler smettere, dopo una carriera in cui aveva disseminato gol in giro per l’Italia con Empoli, Genoa, Sampdoria e Roma, lui che da bambino sognava Van Basten. Al resto ci ha pensato Bruno Conti, che lo ha visto subito come un predestinato. «Non allena la tattica ma la tecnica», si diceva di lui. E forse era anche vero. Perché a 15 anni devi pensare più a inventare che a fare una diagonale, un taglio o un raddoppio. Poi, però, è cambiato tutto, perché a febbraio del 2011 Vincenzo è planato sulla Serie A: Roma, Catania, Firenze e Genova, quasi tutte di un fiato. Partendo proprio dalla Capitale, dove da giocatore ha scritto la storia giallorossa e dove la gente lo ricorda ancora per gli screzi con Capello (e quella bottiglietta a Napoli...), i gol decisivi per lo scudetto del 2001 e quel poker rifilato alla Lazio che l’ha cristallizzato nei cuori giallorossi. Poi, nonostante quei sei mesi positivi alla guida di Totti & company, a Trigoria lo hanno bocciato due volte: la prima quando gli americani gli preferirono Luis Enrique per dare un taglio netto con il passato, la seconda dodici mesi dopo, quando la firma saltò per una questione di scelte e di rapporti e la Roma virò su Zeman.

IN GIRO PER L’ITALIA Così Montella è andato ad insegnare calcio altrove, mettendosi alla prova a Catania. Dopo il 4-2-3-1 giallorosso è tornato al suo primo amore, il 4-3-3, sfruttando come esterni la qualità di Barrientos e del Papu Gomez. Il Catania ha chiuso con il suo record di punti in A giocando bene: attacco degli spazi e transizione. La regia era quella di Lodi, perché se c’è una cosa a cui Montella non rinuncia mai è un interruttore in mezzo al campo che sappia sempre come modulare la luce. A Roma era Pizarro, proprio come più tardi a Firenze. Qui Vincenzo ha disegnato il suo piccolo capolavoro, prendendo una squadra che si era salvata a fatica e portandola nell’élite d’Italia. Il tutto nonostante la sfortuna gli abbia sottratto Giuseppe Rossi e Mario Gomez, gli uomini su cui la Fiorentina aveva costruito i sogni di gloria. Poi lo strappo con i Della Valle e il sì alla Sampdoria. Un dolce ritorno non suffragato dai risultati, proprio dove molti anni prima era diventato l’Aeroplanino, imponendosi a suon di gol come l’attaccante più tecnico d’Italia. In campo conosceva ogni segreto per fare gol, in panchina sta aspettando di rimettere le ali.