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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

VENETO BANCA E VICENZA LA CRISI COSTA 40 MILIARDI

Milano
Quando una banca va in crisi, anzi due, succedono cose tristi. Certe si notano subito, come la perdita di ricchezza degli azionisti. Altre, come l’ammanco di credito per il calo di raccolta fondi, affiorano dopo la tempesta, con effetti più dispiegati e ugualmente nefasti. A Vicenza, a Montebelluna e in tutto l’entroterra veneto finora ci si dispera molto del capitale in azioni dissipato dalle ex popolari. Circa otto miliardi di euro, limitandosi al patrimonio netto delle due – e tralasciando le ottimistiche autovalutazioni peritate, per cui i miliardi sarebbero stati un multiplo – in giacenza su migliaia di conti dei due istituti ora salvati dal fondo Atlante, e che rappresentavano un deposito di certezza, anche psicologica, per 200mila risparmiatori. Ma la distruzione di valore in atto non si ferma certo qui. Ci sono altri 30 miliardi di euro di raccolta, tra diretta e indiretta, che le due banche sorelle di sventura hanno perso negli ultimi tre anni: gran parte dei quali irroravano la costellazione delle imprese venete, e non andranno più. L’emorragia di liquidità dai territori ai due istituti è nei numeri, dei bilanci e dei prospetti delle loro ricapitalizzazioni (vedi tabella). È una progressione drammatica negli ultimi tre anni e mezzo, periodo in cui il loro difficile accesso al mercato è diventato una porta chiusa, mentre al contempo la crisi di fiducia rinsecchiva la raccolta delle reti agenziali. Oltre 13 miliardi sono scomparsi a Vicenza, di cui 10,4 di raccolta diretta, la più preziosa perché immediatamente nelle disponibilità di ogni banca, che dai conti correnti la trasla alle attività economiche di altri clienti. Una regola del pollice implica che circa due terzi della raccolta diretta di una banca commerciale sia impiegata in credito; ma è facile ritenere che per le due territorialissime banche in oggetto la percentuale sia stata anche superiore. Altri 3 miliardi nel triennio 2013-2016 la Vicenza li ha persi di raccolta indiretta, quella investita in titoli di Stato e altro risparmio amministrato che solo in minima parte affluisce al territorio, ma può rivelarsi nel tempo un forziere di interscambio prezioso tra locale e globale. Veneto Banca, anche per avere dati più aggiornati (ha inserito nel prospetto dell’aumento di capitale i dati del primo trimestre 2016, pessimi), ha fatto lievemente peggio: -17,4 miliardi in tre anni e tre mesi, di cui 8,1 persi in raccolta diretta, 9,3 in quella indiretta. Va detto che questa fuga di liquidità non è una perdita per i proprietari: molti cittadini veneti, e molte loro imprese, hanno semplicemente spostato fondi dalle banche ritenute meno solide ad altre. Si chiama “effetto composizione”, ed è vigorosamente in atto da almeno sette mesi, da quando il decreto Salvabanche ha azzerato 788 milioni di bond di Banca Marche, Etruria, Cariferrara, Carichieti, facendo scoprire alla gente il rischio di obbligazioni e giacenze sotto la nuova direttiva “bail in” che fa pagare a soci e obbligazionisti la prima fetta delle perdite bancarie. Tuttavia la danza dei miliardi da una banca all’altra non ha una valenza neutra sui territori. L’improvviso successo nella raccolta, anche in Veneto, di operatori con caratteristiche nettamente meno regionali e meno creditizie – basti guardare i rinnovati record di Fineco, Mediolanum, Banca Generali, Fideuram e altre – è un indizio. L’altro riguarda la perdita di know how creditizio in atto: «Nessun operatore, nelle province in cui la Vicentina e Veneto Banca erano leader, ha la stessa conoscenza del tessuto produttivo e immobiliare – racconta Alberto Segafredo, ex analista bancario a Milano e a Londra, tornato alla natia Bassano Del Grappa per fondare la società di consulenza Ventto – C’erano relazioni ultradecennali con bancari che sapevano tutto del cliente, ora distrutte e difficili da ricostruire con uguale intensità sotto altre insegne». Così il credit crunch si arricchisce di una componente relazionale: perché plausibilmente un operatore che conosce meno, presta meno. E’ relativamente facile, ora che i danni sono fatti, e le inchieste di vigilanze e magistrati corrono, rintracciare le cause della crisi del sistema finanziario veneto, che non si limita a Vicenza e Veneto (sono una dozzina le banche locali venete negli ultimi anni pesantemente ristrutturate o forzate ad aggregazioni per levarle dal rischio di crac). Organizzazioni inefficaci e autoreferenziali, incapaci di prezzare il rischio di credito, carenti di competenze nei cda, e che hanno prestato male, troppo, e spesso in conflitto di interesse a tutti i livelli. Più difficile, invece, è concepire ora una strategia di rilancio sostenibile che eviti pesanti razionamenti creditizi, con l’effetto di buttare via, con l’acqua sporca bancaria, anche il bambino rappresentato dal sistema di imprese nordestino, che tutto il mondo studia e invidia. La prospettiva di fondere Vicenza e Veneto Banca, accarezzata dal presidente di Quaestio Sgr Alessandro Penati (socio unico dei due istituti tramite Atlante) per accentuare le economia di scala su costi e ricavi, è ben vista da alcuni poteri politici locali, tra cui quelli vicini al presidente leghista della regione Luca Zaia. Sarà interessante vedere se il favore dei potentati politici ed economici a formare il “polo bancario veneto” reggerà alle spiacevoli conseguenze dell’aggregazione: destinata inevitabilmente a falcidiare i 1.061 sportelli (579 Vicenza, 482 Veneto) pari a circa il 12% del mercato regionale, e con essi gli 11.726 dipendenti (5.466 Vicenza, 6.263 Veneto), o i 46 miliardi di euro di impieghi (25 la Vicenza, 21 la Veneto). Come sempre in questi casi, l’ampia sovrapposizione degli affidamenti alle imprese porterebbe, in caso di fusione, a tagliare i finanziamenti duplicati, accentuando la stretta creditizia già in corso. Lo spaccato regionale dell’erogazione di credito al sistema, da poco diffuso dalla Banca d’Italia sui dati di fine 2015, ha già suonato l’allarme. Alla fine dell’anno scorso i finanziamenti in Veneto erano calati del 3,4% rispetto al dicembre 2014, con andamento molto più severo rispetto al dato nazionale (-1,6%). Nelle aree di forza dei due istituti, l’effetto della loro caduta già si vedeva: il credito nella provincia di Vicenza era calato del 2% da fine 2014, in quella di Treviso del 6,7%, in quella di Belluno del 4,2%. Facile previsione degli uffici studi: quei dati sono in peggioramento.
Andrea Greco, Affari&Finanza 27/6/2016