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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

«È VERO, L’HO LETTO SU INTERNET». IL PREZZO DI BUFALE E LEGGENDE

Maria, nome di fantasia, ha 32 anni, è laureata ed è il prototipo di un’amicizia su Facebook che hanno un po’ tutti. La sua bacheca è inondata di questo genere di notizie: “Cinesi che colorano di verde i piselli”, “Bambino morto per overdose con la cocaina dei genitori”, “Ragazza fulminata dagli auricolari dell’iPhone”. Alterna bufale a notizie vere. Mentre scriviamo, posta un articolo dal titolo: “Profugo siriano fa domanda d’asilo per tre mogli e 20 figli”. Se le si fa notare che molte delle notizie sono false, risponde così: “Intercetto quello che gira sulle bacheche dei miei amici. Mi fido del loro giudizio”.
Professione debunker. Michelangelo Coltelli, 44 anni ed ex consulente informatico racconta di aver scritto circa 1900 articoli di debunking negli ultimi quattro anni. Dati e fonti alla mano, ha smascherao bufale, miti e leggende sul web. Fare debunking, infatti, significa letteralmente, “sfatare miti”. Inizia a maggio 2011, quando nasce il suo primo figlio.
Le responsabilità, gli impegni, i problemi da affrontare. “I miei amici condividevano notizie sul legame tra autismo e vaccini – racconta -. Non avevo dubbi fossero sciocchezze, ma mi straniva il fatto che ci credessero persone che reputavo professionisti in gamba”. Scrive così qualche riga per loro, fa qualche ricerca. “Uno di loro, dopo aver capito che stava sbagliando, mi ha suggerito di aprire una pagina Facebook”. E così oggi ha 16mila lettori al giorno. Il sito si chiama Butac (Bufale un tanto al chilo) e ogni giorno riceve almeno cinquanta segnalazioni da verificare.
Dietro la bufala. Dal surreale alle finte notizie di cronaca, dalle imprecisioni alla disinformazione e alle leggende metropolitane: diffondere tutto questo permette di guadagnare con le inserzioni online, le truffe, la pubblicità ingannevole. “In alcuni casi, la disattenzione dei giornalisti ha fruttato anche milioni di euro – racconta Michelangelo – . É il caso delle auto ad aria compressa: sono pubblicizzate da anni sui giornali, qualcuno ci ha anche investito”. Ma l’auto non è mai stata prodotta.
Dentro la bufala.Parliamo allora con un utente specializzato nel diffondere bufale a sfondo razzista. “Funziona così – spiega in un rapido messaggio che riusciamo a scambiare online -: apri un sito, compri una protezione che permetta di non risalire al tuo nome e inizi a pubblicare. Per soldi (dice di guadagnare un paio di euro per ogni mille visite con le pubblicità ndr) ma anche per vedere che succede”. I contatti al suo sito arrivano quasi tutti da Facebook, ha un proprio giro di utenti e almeno dieci profili falsi per amplificarle.
Contro la bufala. Il 21 aprile Facebook ha rimosso la pagina fan del sito Woxnews precisando che non sono ammessi messaggi d’odio, minacce o contenuti osceni. Gli articoli si sono allora spostati sulla pagina “Resistenza nazionale”, che ha 27mila follower. Uno degli ultimi post della pagina è su un immigrato che sarebbe morto per aver fatto il bagno in piscina, dopo aver mangiato troppo nell’albergo che lo ospitava gratis.
Ma cosa rischia chi diffonde questo genere di cose? I reati vanno dalla diffamazione al procurato allarme, dall’istigazione all’odio alla pubblicità ingannevole. “Ci sono tifosi politici che cercano di denigrare le fazioni avverse – spiega Michelangelo – e c’è chi invece sulle bufale mediche ha creato piccoli imperi, come per le cure alternative per i tumori o per il mercato fiorente di prodotti a base di Artemisia Annua. Ma pure le conferenze a pagamento sull’energia quantica”.
Un caso esemplare.Agitalia è l’acronimo di Agenzia per la giustizia italiana. Negli anni scorsi, questo nome è comparso su diverse testate, anche nazionali: memorabili la finta richiesta di risarcimento per un incidente durante i salvataggi della Costa Concordia e la donna che avevano trovato centinaia di milioni di lire in una damigiana o sotto un mattone. Secondo i comunicati stampa che Agitalia inviava alle redazioni, solo grazie al loro intervento queste persone erano riuscite a risolvere i loro problemi. Oggi, Agitalia esiste ed è attiva. Provare a contattare i numeri indicati sul sito significa spendere almeno 1.50 euro al minuto.
Via mail, fingiamo di scrivere a nome di un uomo con una rara malattia che vuole cercare di ottenere la pensione di invalidità. La risposta è immediata: Agitalia richiede di firmare un modulo per fare ricorso all’Inps, la cessione di tutti i diritti, l’indicazione dell’indirizzo a cui spedire decine di documenti e il pagamento obbligatorio di 137 euro di spese associative. Senza le quali il tal avvocato Anna Orecchioni non inizia neanche la causa. “Loro sono il peggio – ci raccontano da Butac – . Creano notizie false per guadagnare sfortune e speranze. I comunicati stampa, che le testate nazionali pubblicano sono fuffa. Ma sono letti da tanti”. Tutta pubblicità gratuita.
Virginia della Sala, il Fatto Quotidiano 27/6/2016