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 2016  giugno 27 Lunedì calendario

LIBRO IN GOCCE NUMERO 107 (Primo Levi di fronte e di profilo) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database libro in scheda: 2357189 I TREMILA LETTORI DI PRIMO LEVI – Casa

LIBRO IN GOCCE NUMERO 107 (Primo Levi di fronte e di profilo) Vedi Biblioteca in scheda: manca Vedi Database libro in scheda: 2357189 I TREMILA LETTORI DI PRIMO LEVI – Casa. Primo Levi appena nato viveva in una casa in via Umberto 75 a Torino insieme alla mamma Ester Luzzati e al papà Cesare Levi, ingegnere. Abitava ancora lì il giorno della sua morte, 67 anni dopo. Di quella casa era solito dire: «La mia casa si caratterizza per la sua assenza di caratteristiche». Padre. Il padre lo spingeva a fare esperienze: bere, fumare, andare con le ragazze. Lui: «Ora, io non fumavo, non bevevo, non avevo ragazze. Non c’era una gran comprensione, con mio padre. Io ero sostanzialmente un romantico, e anche della chimica m’interessava l’aspetto romantico, speravo di arrivare molto in là, di giungere a possedere le chiavi dell’universo, di capire il perché delle cose». Ebreo. Figlio di ebrei non professanti, iscritti al partito fascista, diventò lui stesso balilla e poi avaguardista finché le leggi razziali non glielo impedirono. Nessuna formazione culturale ebraica, si scoprirà ebreo ad Auschwitz e solo al ritorno dal lager inizierà a studiare lo yiddish. Auschwitz. Deportato ad Auschwitz all’inizio del ’44 insieme col contingente d’ebrei italiani del campo di concentramento di Fossoli. Vita. Vita media di un prigioniero sottoposto al lavoro in condizioni di sottoalimentazione: due o tre mesi. Suicidio. «I disagi materiali, la fatica, la fame, il freddo, la sete, tormentando il nostro corpo, paradossalmente riuscivano a distrarci dalla infelicità grandissima del nostro spirito [...]. Le urgenze quotidiane ci distraevano dal pensiero: potevamo desiderare la morte, ma non potevamo pensare di darci la morte. Io sono stato vicino al suicidio, all’idea di suicidio, prima e dopo il Lager, mai dentro il Lager» (conversazione con De Rienzo, 1975). Chimico. «Sono vestito come uno straccione, arriverò forse a casa senza scarpe, ma in cambio ho imparato il tedesco, un po’ di russo e di polacco, e inoltre a cavarmela in molte circostanze, a non perdere coraggio e a resistere alle sofferenze morali e corporali. Porto di nuovo la barba per economia di barbiere; so fare la zuppa di cavoli e di rape, e cucinare le patate in moltissimi modi, tutti senza condimenti. So montare, accendere e pulire le stufe. Ho fatto un numero incredibile di mestieri: l’aiuto muratore, lo sterratore, lo spazzino, il facchino, il beccamorti, l’interprete, il ciclista, il sarto, il ladro, l’infermiere, il ricettatore, lo spaccapietre: perfino il chimico!» (Primo Levi scrive a Bianca Guidetti Serra da Katowice, prima tappa del suo viaggio di ritorno, giugno del 1945). Trance. Assunto nel gennaio del 1946 presso la fabbrica di vernici Duco-Montecatini di Avigliana, vicino Torino, approfitta delle pause di lavoro, delle serate, dei momenti in cui la produzione si arresta, per scrivere, freneticamente, il suo racconto di Auschwitz. «Ho scritto anche in treno, nel tragitto fra Torino e Avigliana, dove lavoravo in fabbrica. Scrivevo la notte, nell’intervallo del pranzo di mezzogiorno: ho scritto quasi tutto il capitolo Il canto di Ulisse nella mezz’ora da mezzogiorno e mezzo all’una. Ero continuamente in una specie di trance». Einaudi. Rifiutato da Einaudi e da altri editori, il libro viene stampato nel 1947 dalla De Silva, piccola casa editrice torinese, in 2500 copie. In un’intervista del 1986 Levi dice che ne furono vendute «circa 1500 copie per un totale di 3000 lettori (perché un libro viene letto da un minimo di due persone)». Scrittore. «Visto l’esito scarso delle vendite ho subito abbandonato l’idea di vivere facendo lo scrittore. Mi sembrava un’utopia assolutamente irraggiungibile. Mi sono messo a fare il chimico a capofitto» (Primo Levi nel 1984). Einaudi. Nel luglio del 1955 Levi finalmente firma il contratto con Einaudi e cede i diritti di pubblicazione del libro per 200.000 lire. Fortuna. «Per mia fortuna, sono stato deportato ad Auschwitz...» (l’attacco di Se questo è un uomo). Giorgio Dell’Arti, Il Sole 24 Ore 27/6/2016