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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

L’INEGUAGLIANZA CHE ZAVORRA LA CRESCITA– La sensazione, per chi vive nella capitale cinese, è palpabile: tempi duri per il popolo dei beipiao

L’INEGUAGLIANZA CHE ZAVORRA LA CRESCITA– La sensazione, per chi vive nella capitale cinese, è palpabile: tempi duri per il popolo dei beipiao. I pechinesi purosangue li chiamano così, con una punta di disprezzo: sono i migranti che alimentano il flusso ininterrotto di nuovi arrivi, nella speranza di ottenere l’hukou, un permesso di residenza legale. Ogni giorno vivono da estranei nella loro terra, “colpevoli” solo di aver rincorso il sogno di una vita migliore in un’area diversa da quella in cui sono nati. La concessione dell’hukou a tutti i cittadini che lo richiedono è uno dei problemi sociali più scottanti in Cina e colpisce soprattutto le fasce più deboli, a cominciare dai lavoratori che dalle campagne si spostano nelle grandi città in cerca di un posto di lavoro, perdendo tutte le garanzie sociali. Non sono certo i poliziotti a dar loro fastidio: si calcola, infatti, che in città si aggirino indisturbati circa 6 milioni di persone non registrate, fantasmi del tutto privi di documenti, non censiti da alcun protocollo di sicurezza. Non hanno diritto all’assistenza, alle scuole per i figli: il loro status è di clandestini nel loro stesso paese. Un altro colpo, adesso, arriva dalla mancanza di prospettive di reddito tali da giustificare la mancanza quasi totale di diritti elementari. Ma in questo i beipiao sono in buona compagnia, poiché a soffrire è anche la nascente classe media, e quindi le prospettive non solo di chi aspira a vivere ma anche di chi vive a pieno titolo nelle megalopoli da 22 milioni di abitanti come Pechino (il cui destino segnato, peraltro, è di unirsi a Tianjin e alla provincia dell’Hebei per arrivare a creare un’area metropolitana comune monstre). Il sindaco Wang Anshun tira un sospiro di sollievo davanti al calo degli arrivi – circa 350.000 è stata la media degli ultimi anni. La sua decisione del 2014 di mandare in pensione il biglietto unico a 2 yuan è stato anche un tentativo di limitare i viaggi in metropolitana dei migranti senza meta e senza fissa dimora. Accolto come la caduta di un altro elemento di uguaglianza generalizzata, questo passo ha reso più rara la presenza di cinesi che da una stazione all’altra si trascinano dietro tutta la propria casa, masserizie, animali, materassi, persino suppellettili e armadi. Molti beipiao hanno deciso di smettere di esserlo, tornando a casa o spostandosi in altre città di terza o quarta fascia. Intanto, molti membri della classe media urbana sono sotto pressione per il costo della vita e i livelli invariati di reddito nonché per le ristrutturazioni aziendali in vista, destinate a mettere in pericolo il posto di lavoro, specie di chi lavora nel pubblico. La riforma delle aziende di Stato infatti, sarà un ulteriore elemento di instabilità, anche se dovesse essere solo parziale.Ma resta un fatto: l’urbanizzazione rimane cruciale, e sull’urbanizzazione punta moltissimo il Tredicesimo Piano quinquennale cinese appena varato dal parlamento della Repubblica popolare cinese. DISPARITÀ SOCIALI, DISPARITÀ REGIONALI. La Cina entro il 2030 vuole toccare il 70% del tasso di urbanizzazione, che nel 2010 era del 50%. Si prevede che dalle campagne di sposteranno 350 milioni di cinesi e ben 15 città supereranno i 20 milioni di abitanti, mentre in 22 gli abitanti arriveranno oltre quota 10 milioni. Tutto questo non sarà possibile senza un aumento diffuso del reddito pro capite e del benessere nonché della capacità di consumo, con un relativo spostamento della popolazione verso le aree a maggiore concentrazione di settori ad alta produttività. Questo potrà portare anche a un aumento della capacità di spesa della popolazione stessa, bilanciando lo spopolamento delle aree rurali con politiche di forte modernizzazione del settore agricolo. La velocità di questo tasso di urbanizzazione e le dimensioni-obiettivo delle città cinesi richiedono più innovazione, un fattore essenziale per garantire la sostenibilità del sistema. Le riforme, tuttavia, procedono lentamente rispetto alle disparità economiche e sociali. Termini come middle income trap e Gini factor ormai hanno iniziato a farsi largo nel lessico dell’economia cinese. Il coefficiente di Gini (che misura il livello di concentrazione del reddito) è stato introdotto quattro anni fa tra gli indicatori rilevati dall’Ufficio nazionale di Statistiche. Quanto la forchetta tra ricchi e poveri si allargherà o restringerà? Chi sarà la prossima “vittima” dei disequilibri che oggi attraversano le classi sociali cinesi? In Cina intanto i redditi non aumentano, ma il costo del lavoro sì, e la forza lavoro invecchia progressivamente. Appena un sesto delle aree provinciali non soffre di questi problemi perché è ricompreso tra quelle del “Go West”, una strategia di sostegno alle aree del centro-ovest decisa dal governo centrale che favorisce le aree interne e fa da barriera alle migrazioni verso l’est, ormai saturo. Secondo i piani, la Cina dovrebbe consumare di più, ma la classe media è oggi oppressa dalla stagnazione dell’economia. L’over capacity intanto resta un problema per i settori manifatturieri. Il quadro che ne ha ricavato l’ultimo rapporto della Camera di Commercio europea in Cina, sul periodo 2009-2015 a sette anni dalla precedente rilevazione, è drammatico: la mina vagante di milioni di disoccupati ha frenato ogni velleità di accelerazione delle riforme strutturali. IL NODO DEL WELFARE. Il governo cinese ha compreso l’importanza strategica delle disuguaglianze, economiche e regionali: ha così annunciato che darà il permesso di residenza a tredici milioni di cittadini oggi senza documenti e che renderà più equo il sistema di copertura sanitaria. Con l’hukou, il permesso di residenza, i cittadini che oggi ne sono sprovvisti potranno accedere a servizi come l’istruzione o avere la possibilità di aprire un conto in banca e di sposarsi. Si vuole dunque mettere un freno ai rientri o al rallentamento della popolazione che va a stare nelle città. L’accelerazione del processo di riforma del sistema di registrazione è stata sottolineata dallo stesso presidente cinese Xi Jinping. Per rendere equo l’accesso al servizio sanitario, il governo ha in mente di fondere i due diversi schemi oggi esistenti, quello per i residenti urbani e quello per i residenti nelle aree rurali. Di più: entro il 2020 si punta a estendere a tutti i cinesi il diritto alle cure sanitarie, soprattutto nel caso di malattie gravi. Oggi solo un cittadino su due può permettersi una copertura sanitaria, “appena” 650 milioni di persone. Il welfare resta il tallone di Achille della Cina moderna e un freno potente ai consumi interni: le famiglie infatti mettono da parte risparmi per far fronte a malattie o altri possibili problemi che non troverebbero soluzione nell’offerta nel servizio sanitario nazionale. Contemporaneamente, il governo ha promesso anche di sollevare dalla soglia della povertà oltre settanta milioni di cittadini che vivono con meno di 2.300 yuan all’anno, pari a un dollaro al giorno. Si tratta di obiettivi molto ambiziosi, soprattutto nel contesto di una crescita al rallentatore (almeno per gli standard cinesi) e di una persistente stagnazione di grandi partner internazionali – Europa, Russia, Giappone, in certa misura anche Stati Uniti. Intanto le fabbriche del GuangDong chiudono a raffica, e nessun intervento del governo basterà a conservare il consenso se i cinesi avranno la certezza che la frenata dell’economia li sta rendendo più poveri, a qualsiasi livello sociale essi appartengano. Senza dare centralità alla figura del cittadino nel processo di sviluppo e nella qualità della vita, anche l’urbanizzazione si dimostrerà un boomerang. L’urbanizzazione senza welfare, e senza innovazione nei servizi, non basterà a rimettere in sesto l’economia. Rita Fatiguso, corrispondente del “Sole 24 Ore” da Pechino.