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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

ALLA BIBLIOTECA VATICA NA DIGITO ERGO SUM

ALLA BIBLIOTECA VATICA NA DIGITO ERGO SUM –
Nel silenzio avvolgente della Sala Leonina, al terzo piano della Biblioteca Apostolica Vaticana, si ripete come ogni giorno la solenne liturgia della consultazione.
Studiosi di ogni angolo del globo attendono pazientemente di accedere al volume che potrebbe cambiare il corso delle loro ricerche.
La “Biblioteca delle biblioteche”, come la chiamano i solerti addetti che vanno avanti e indietro senza sosta dai depositi alle sale di lettura, conserva qualcosa come un milione e seicentomila libri, ottantamila manoscritti, novemila incunaboli.
Una mole di documenti e testi che abbraccia oltre diciassette secoli di scibile umano e che va assolutamente preservata per le generazioni a venire. Come? Grazie alla più ambiziosa campagna di digitalizzazione che sia mai stata immaginata. Frutto della collaborazione con un’azienda giapponese leader nel cloud computing, la NTT Data, disposta ad investire ben 18 milioni di euro nell’operazione.
Digito ergo sum. Le strutture archivistiche vaticane, a dispetto dell’apparenza un po’ retrò, sono da sempre avvezze all’innovazione tecnologica perché hanno capito che è proprio grazie ad essa che potranno sopravvivere nei secoli a venire.
«Il primo e più importante presupposto della Biblioteca è stato fissato già agli inizi, nel 1451, essere aperti nel mettere a disposizione i volumi per la loro consultazione», spiega il Prefetto della BAV, Monsignor Cesare Pasini, «ma oggi esistono modalità nuove che permettono di renderli disponibili a tutti gli studiosi senza che essi debbano venire qui a consultarli. Questo non vuol dire chiudere, perché la Biblioteca rimane un luogo di ricerca e di incontro fra studiosi».
Eppure, la speranza che sempre meno mani (pur guantate) si poggino su pagine antichissime rischiando di rovinarle e che manoscritti preziosi non debbano più essere strappati al grembo della Biblioteca, dove dimorano in condizioni di luce controllata e temperatura fissa a 18°, per essere portati in consultazione, è troppo dolce per non darle corpo. Qui sono conservati pezzi unici, di inestimabile valore.
«La nostra non è certo una Biblioteca teologica, la documentazione è stata da sempre raccolta in modo eclettico», fa notare il vice Prefetto Ambrogio Piazzoni. «Possediamo testi sacri molto antichi come il Codice B, la prima Bibbia in greco, completa, redatta intorno al 330 d.C. per volere di Costantino, di cui esistono solo altri due esemplari al mondo o i Papiri Bodmer e Hanna 1, entrambi di III secolo d.C. (che contengono, rispettivamente, le lettere di Pietro e Giuda e i Vangeli di Giovanni e Luca, con il primo versetto del padre Nostro nella versione di S. Luca ndr) ma anche molto altro».
Nei depositi, in effetti, c’è di tutto. Dalle quindici pagine della Divina Commedia illustrate da Sandro Botticelli per Lorenzo il Magnifico (assicurate per un valore di 4 milioni di euro a pagina), alle lettere di amore tra Enrico VIII e Anna Bolena, dai codici tardo-antichi (V-VI secolo) con testi di Virgilio al “Codice Vaticano 3211” che contiene 111 fogli manoscritti con poesie, appunti tecnici e schizzi vergati da Michelangelo. Pezzi che farebbero impazzire qualunque bibliofilo o antiquario del mondo.
Obiettivo dell’accordo siglato con NTT Data è scannerizzare, entro il 2019, 3.000 manoscritti, per un totale di 1,5 milioni di pagine (ad oggi sono 4.307 i manoscritti già digitalizzati e disponibili online sul sito della BAV, più 653 incunaboli databili tra il 1452 ed il 1500).
L’operazione, però, appare più impegnativa di quanto si immagini.
«Prima di procedere alla digitalizzazione di un testo bisogna attendere la valutazione dei restauratori», spiega il vice Prefetto. «Se necessario, affidiamo il manoscritto al nostro laboratorio interno, che è anche uno dei più antichi del mondo (risale alla fine dell’800, ndr). Talvolta l’inchiostro ha prodotto dei fori nella carta, in altri casi non si può girare il foglio perché altrimenti si rischia di perderne dei pezzi. Allora si interviene a consolidare la pagina con la carta giapponese».
Il lavoro su un singolo volume bisognoso di particolari attenzioni può richiedere anche 6-7 mesi.
Per questa ragione la Biblioteca ha già dichiarato non consultabili circa 300-400 manoscritti, tra cui il “codice degli abbozzi” di Petrarca, una sorta di brutta copia di quello che diventerà, poi, il Canzoniere.

Con i file della Nasa. «Oggi abbiamo circa cinquanta persone, tra italiani e giapponesi, impegnate nel progetto», spiega Walter Ruffinoni, amministratore delegato di NTT Data Italia, «abbiamo voluto fortemente questa collaborazione perché crediamo nella missione di rendere permanentemente fruibile all’umanità un patrimonio unico come quello della Biblioteca Apostolica Vaticana».
La NTT è arrivata in Vaticano già nel 2012, avendo nel curriculum una partnership già in corso con la National Diet Library (la biblioteca del Parlamento) di Tokyo e altri rapporti in via di definizione con importanti biblioteche europee ed americane.
«Certo venire a Roma è stato diverso, una grande emozione. Ci siamo sentiti un po’ come Hasekura Tsunenaga (il samurai che nel 1615 fu inviato in Italia, via Messico, per chiedere a Papa Paolo V l’invio di missionari cristiani nel Sol Levante, ndr)», scherza Ruffinoni.
Dieci scanner, di cui quattro forniti da NTT, lavorano in parallelo sui manoscritti vaticani. Una parte si trova nel laboratorio fotografico della Biblioteca, gli altri in un secondo ambiente allestito appositamente in via della Conciliazione.
Nella penombra scorgiamo un addetto, Emanuele Angelini, sistemare un piccolo volume su un piano inclinato. Il manoscritto è aperto a “v” e su di esso incombe una Hasselblad pronta a scattare immagini a 50 Megabyte appena il puntatore laser segnalerà che si trova in posizione perfettamente zenitale rispetto all’oggetto. Macchina fotografica invece dello scanner?
«In questa occasione non possiamo usarlo», spiega Angelini. «Il volume non si apre completamente e posizionandolo su un piano per la scansione rischieremmo di rovinarlo, quindi dobbiamo limitarci a fotografarlo in alta definizione».
Di fianco alla postazione fotografica lo scanner c’è ed è enorme. L’operatore, Tancredi Gullo, sta maneggiando con i dovuti riguardi una preziosa edizione quattrocentesca della Cosmographia di Claudio Tolomeo. Le pagine con le mappe del Nord Africa e della penisola arabica non toccano mai il macchinario. Vengono poste sotto un vetro e un fascio di luce proveniente da una struttura mobile consente di acquisirne l’immagine.
Tutto si svolge abbastanza velocemente, anche se poi, a scansione terminata, bisogna attendere che il “tutor” controlli sul monitor la sequenza delle pagine e la fedeltà dei colori, rispetto all’originale, e che un altro supervisore effettui il controllo di dettaglio e conceda la validazione definitiva. In seguito, il file (che pesa svariati Gigabyte) viene caricato sul computer e da qui spedito al data center per essere immagazzinato. Le varie operazioni possono richiedere fino a 30 minuti per pagina.
Una storia abbastanza curiosa riguarda il tipo di file utilizzato per archiviare i dati. Si tratta del FITS (flexible image transport system format), sviluppato da ESA e NASA negli anni 70 per stoccare immagini prodotte durante osservazioni radioastronomiche. Ancora oggi telescopi spaziali come Hubble, Herschel o Soho usano questa tecnologia.
«Se hai uno strumento che può leggere FITS oggi puoi leggere anche file FITS di vent’anni fa, perché è sempre compatibile con le versioni precedenti», ha sentenziato tempo fa Pedro Osuna, capo degli Archivi scientifici di ESA, per rassicurare gli utilizzatori.
Da 40 anni FITS viene aggiornato continuativamente e in maniera collaborativa da tutti gli studiosi del mondo, con modalità tali da non lasciare indietro nessuno. Approccio completamente diverso rispetto a quello dei files commerciali, che ci fanno maledire il momento in cui dobbiamo trasferire la rubrica dal vecchio smartphone a quello nuovo.
La liaison tra la Biblioteca Apostolica Vaticana e la tecnologia, va detto, non è storia recente.
Negli anni 80 venne qui l’École française de Rome per riprodurre alcune miniature dei manoscritti Reginesi e Urbinati su dei videodischi e acquisì files alla risoluzione di 700 x 500 pixel. Poi, tra il 1994 ed il 1996, fu la volta dell’Università Cattolica di Rio de Janeiro, con il sostegno dell’IBM. Sembrava fatta, furono scannerizzati 156 manoscritti. I files erano più grandi, la risoluzione decisamente migliore ma i colori, soprattutto il rosso, non erano fedeli all’originale. Inoltre IBM impose un sistema operativo che in seguito sconfessò per ragioni commerciali e così tutto il lavoro fatto fu cestinato. In Vaticano, però, non si persero d’animo.
Attraverso il Cardinale Raffaele Farina, già Archivista emerito e oggi Presidente della Pontificia Commissione referente sull’Istituto per le Opere di Religione, iniziò nei primi anni duemila una proficua collaborazione con il Tokyo Printing Museum. I nipponici, infatti avevano chiesto in prestito alcuni manoscritti molto rari per la mostra “The Invention of Books. An Exhibition of Manuscripts and Incunabula in the Biblioteca Apostolica Vaticana”. Arrivarono, così, a Roma i primi scanner. Contatti diplomatici e di studio hanno poi rinsaldato e moltiplicato le amicizie in Giappone, fino alla comparsa, all’orizzonte, di NTT Data.

A caccia di fondi. «Dal 2013 collaboriamo con Istituzioni giapponesi per la catalogazione e digitalizzazione del fondo Marega (Don Mario Marega era un missionario salesiano vissuto tra il 1902 ed il 1978 che ha raccolto parecchi documenti nel corso di quarant’anni vissuti in Giappone ndr)», conferma il Prefetto Pasini. «Si tratta di fogli sciolti, circa diecimila documenti originali concernenti la persecuzione che si abbatté sui cristiani del Giappone dalla fine del Cinquecento. Queste carte consistono in atti di apostasia, certificati di iscrizione alla pagoda buddista, registri dei cristiani, certificati di e-fumi (cerimonia nella quale si imponeva di calpestare la croce o un’immagine sacra, ndr), certificati di nascita e di morte dei cristiani e dei loro discendenti».
Il lavoro di digitalizzazione (sponsorizzato dalla Ritsumeikan University di Kyoto) è terminato nel 2015, oggi tutto è online. Adesso ci si può concentrare sui famosi 4.000 manoscritti che, pure, rappresentano un misero 5% di quelli conservati nei depositi vaticani.
«È per questo che nel 2013 abbiamo costituito DigitaVaticana», dice la madrilena Maite Bulgari, consorte del noto gioielliere e anima della ricerca di fondi per digitalizzare il patrimonio della BAV.
«Sviluppare un sistema di fundraising per fare le cose in grande era necessario. Il messaggio che vogliamo lanciare è che il tesoro di una biblioteca universale appartiene a tutti e dunque tutti possono e devono farsene carico». L’obiettivo di DigitaVaticana è raccogliere 32 milioni di euro da spendere nel corso dei 15 anni stimati per digitalizzare 40 milioni di pagine, equivalenti a 45 milioni di miliardi di byte. Un’impresa faraonica e, proprio per questo, intrigante. Avere a disposizione la versione online di un documento vuol dire molto di più che risparmiare un viaggio a Roma, significa essere in rete con tante realtà di ricerca mondiali. Grazie alla modalità “shared canvas”, infatti, sarà possibile visualizzare sulla stessa schermata web pagine di manoscritti di diverse biblioteche, così da poter effettuare confronti e compiere studi più approfonditi. Oggi ci stanno lavorando anche le università di Yale, Stanford, Harvard, Oxford e Cambridge. Inoltre, lo studioso potrà aggiungere anche le proprie annotazioni e scambiare informazioni con i suoi colleghi. Se questo è quel che si dice una comunità scientifica virtuale la Biblioteca Apostolica Vaticana si candida, dunque, a diventarne la più sontuosa ambasciatrice.