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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

IL CASO BARILLA

Lavorare nella comunicazione è un mestiere difficile. A volte lo fanno persone senza scrupoli, pronte a ogni imbroglio pur di far uscire bene l’azienda per cui lavorano o più sovente il capo da cui dipendono (e qualcuna l’ho conosciuta anch’io). Altre volte lo fanno persone perbene e di grande professionalità. Gianluca Comin è una di queste, e ora ha scritto un libro – L’impresa oltre la crisi, pubblicato da Marsilio – su come si costruisce o si restaura la reputazione delle aziende nell’epoca dura e tremenda che ci è data in sorte.
Il libro offre molti spunti. Mi soffermerei su uno in particolare.
Ricordate il caso Barilla? Guido, imprenditore innovativo e persona mitissima, dice in un’incauta intervista che non farebbe uno spot del Mulino Bianco con una famiglia gay. La rete, sempre pronta a trascurare l’essenza delle cose e a ingigantire le futilità, si scatena in tutto il mondo. Gli altri marchi di pasta preparano in fretta e furia inserzioni gay friendly. I social network diffondono immagini della Barilla con scritte denigratorie o slogan dell’azienda modificati con sarcasmo. L’università di Harvard rimuove Barilla dalla propria mensa. Attivisti applicano sulle confezioni di pasta e di biscotti il bollino con scritto “prodotto omofobo”. Il danno di immagine è enorme. Commenta Luca Virginio, direttore comunicazione e relazioni esterne: «In quei giorni entrammo in tutte le classifiche di ranking sulle crisi mondiali, la rapidità della comunicazione negativa aveva battuto perfino quella del naufragio della Costa Crociere».
L’azienda tenta di reagire. Prepara una prima nota di scuse. Poi una seconda. Quindi un video in cui però Barilla appare imbarazzato, palesemente sta leggendo un pezzo scritto da altri. L’azienda cambia tattica. Comin la ricostruire attraverso un’intervista con Virginio. Si tratta di «trasformare la crisi in grande opportunità di cambiamento culturale sul tema della diversità e dell’inclusione».
Guido Barilla gira altri video, più riusciti. Vengono coinvolti professionisti non italiani esterni all’azienda, «con specifiche competenze sull’argomento Lgbt, lesbiche gay bisessuali transgender». La priorità è rassicurare i dipendenti dell’azienda in Nord America e Scandinavia che nessuno in Barilla è omofobo: «In certi casi il presidente si è reso disponibile anche per incontrare i dipendenti one-to-one, a porte chiuse». Poi la reazione verso l’esterno. In un primo tempo, i gruppi omofobi avevano lanciato l’hashtag #iostoconBarilla; dopo le scuse, avevano cominciato pure loro a polemizzare con il Mulino Bianco. Commenta Virginio: «In quelle prime settimane si dormiva pochi minuti per notte, la sensazione era quella di camminare sempre sull’orlo di un precipizio». Barilla incontra i responsabili stranieri e italiani delle associazioni Lgbt per scusarsi della gaffe e spiegare bene cos’è successo; «dopodiché si è cercato di capire se alcuni di loro, da nemici iniziali, potevano trasformarsi in partner aiutandoci in questa sfida che il gruppo intendeva affrontare: quella cioè di diventare negli anni un’azienda dove i temi della diversità di genere e dell’inclusione sociale fossero valori in primissima linea». Viene lanciato il “Diversity&Inclusion Board”, con David Mixner, leader mondiale della comunità Lgbt, e Alex Zanardi, medaglia d’oro alle Paralimpiadi…
Insomma la comunicazione riesce a volgere una sconfitta in un’occasione di immagine. Resta il fatto che uno non può più dire quel che pensa. È un mestiere duro, la comunicazione. Chi volesse cimentarsi dovrebbe cominciare leggendo il libro di Comin.