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 2016  giugno 24 Venerdì calendario

LA COMBRICCOLA DEL VASCO

Il ri-sindaco di Bologna Virginio Merola (Pd) ha voluto comunicarci il suo illuminato parere sulla recente assoluzione dell’ex presidente della Regione Emilia Romagna, Vasco Errani (Pd) perché – ha spiegato – “non voglio più fare il Tartufo”. Cioè il personaggio di Molière assurto a simbolo dell’ipocrisia e della bugia. Il guaio è che, per non fare il Tartufo, Merola ha fatto proprio il Tartufo, raccontando balle. A suo dire, Errani merita “un risarcimento collettivo” per un’inchiesta giudiziaria che “forse non si doveva aprire”, il che ripropone “un tema grande come una casa che riguarda i rapporti fra politica e pm”. Agli alti lai si aggiungono quelli del suo giornale preferito, Repubblica, che lacrima a sua volta in un incredibile articolo sull’“inutile calvario di un leader storico” e sulle “irreparabili conseguenze politiche”. Errani martire, Errani come Enzo Tortora.
A parte l’uso in casa Pd e Repubblica di tutto il vecchio armamentario di B. con Giornale, Foglio e Libero, colpisce l’assurdità della tesi. Nel 2016 c’è ancora qualcuno che non capisce (o finge di non capire) la differenza tra un processo che si chiude con l’assoluzione e un errore giudiziario. L’errore giudiziario è quando si sbaglia persona, si processa uno al posto di un altro, o quando un pm o un giudice matto s’inventa accuse sul nulla. Niente del genere è accaduto con Errani, come dimostra l’andamento altalenante del dibattimento: assoluzione in primo grado, condanna in appello, annullamento con rinvio in Cassazione, assoluzione nel secondo appello. Non solo un pm, ma tre giudici di primo appello e cinque di Cassazione, oltre a tre procuratori generali, hanno attestato che il processo andava fatto. Altrimenti, nel primo appello, Errani sarebbe stato assolto; o, in Cassazione, avrebbe avuto l’annullamento senza rinvio. Quindi l’inchiesta era doverosa, e pure il dibattimento, come ha ricordato ieri l’Anm. Resta da capire se i fatti addebitati a Errani, giudicati delittuosi da alcuni giudici e penalmente irrilevanti da altri (che, avendo l’ultima parola, hanno ragione per convenzione, non per scienza infusa) siano compatibili con la santificazione, o se invece siano almeno politicamente disdicevoli.
Nel 2009 l’allora governatore legge sul Giornale un articolo molto critico sulla sua giunta che ha concesso un finanziamento indebito di 1 milione di euro alla coop rossa Terremerse presieduta da suo fratello Giovanni per un nuovo stabilimento enologico a Imola.
Peccato che l’impianto non esistesse e fosse per giunta privo dei permessi edilizi. Errani, punto sul vivo della sua immagine e già nel mirino delle opposizioni per il finanziamento al fratello, incarica verbalmente (senza protocollare) non l’assessore all’Agricoltura che ha erogato i fondi, ma due funzionari regionali di stilare una relazione in sua difesa. I due eseguono e scrivono che è tutto regolare. Errani gira la relazione alla Procura di Bologna con una sua nota autografa. Un clamoroso autogol, visto che i pm scoprono che la relazione e la sua nota sono piene di omissioni per nascondere le irregolarità dell’operazione. Così il governatore finisce a giudizio per falso in atto pubblico coi due dirigenti, che rispondono anche di favoreggiamento. Alla fine il Gup, con rito abbreviato, assolve i tre. Motivo: hanno mentito nella relazione e nella nota, ma non c’è prova del dolo, cioè che l’abbiano fatto apposta. Può essersi trattato di insipienza o superficialità. In appello, però, i giudici condannano il terzetto perché il dolo c’è eccome: Errani si rivolse ai funzionari anziché all’assessore (che si è “voluto sottrarre al maquillage dei fatti”) perché voleva una relazione favorevole, infatti non la protocollò perché – casomai non gli piacesse – avrebbe potuto imboscarla. Tutti, infatti, conoscevano gli atti (tipo la variante chiesta da Giovanni Errani alla Regione per modificare il progetto da 6 a 2,7milioni, ma non il finanziamento di 1 milione) che attestavano l’irregolarità del finanziamento: ma i due dirigenti li occultarono per salvare il governatore. È la prova dell’“accordo illecito tra Errani e i dirigenti” col “preciso intento di nascondere all’Ufficio inquirente e all’opinione pubblica l’evidenza dei fatti”, con un “intento depistante”, “volutamente omissivo e fuorviante, al fine di non alienare consensi sull’operato dell’amministratore e del suo Presidente”. Cioè al “fine personalistico ed utilitaristico di tutela politica del presidente Errani”.
Il quale, in scadenza di mandato e non rieleggibile, si dimette con qualche settimana d’anticipo. Poi la Cassazione annulla il verdetto, ma non perché lo ritenga innocente, infatti ordina un nuovo appello, per precisare meglio la prova del dolo: posto che la relazione non diceva la verità, bisogna spiegare perché il governatore, “per occultare i supposti favoritismi di cui avrebbe goduto il fratello”, avrebbe “scelto la soluzione apparentemente meno logica e cioè sollecitare un accertamento” ai pm, “accollandosi il rischio” che le bugie della relazione fossero smascherate. Presto sapremo con quali motivazioni la Corte d’appello ha ritenuto che il dolo non fosse provato. Quel che è certo – lo dicono anche i giudici che lo assolvono – è che Errani presentò carte false alla Procura su un finanziamento alla coop di suo fratello. Altro che inchiesta infondata, calvario, risarcimento e riabilitazione.
Ps. Il Pd che beatifica Errani è lo stesso che denuncia Virginia Raggi alla Procura di Roma per aver segnalato nel 2015 anziché nel 2014 un incarico da 5 mila euro all’Asl di Civitavecchia. Ma vergognarsi, ogni tanto?
di Marco Travaglio, il Fatto Quotidiano 24/6/2016