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 2016  giugno 23 Giovedì calendario

CALCIO E POLITICA IL DECLINO TRISTE DELLE NOSTRE PASSIONI– (note alla fine) Per molto tempo, il principale motivo di passione per gli italiani è stata la politica

CALCIO E POLITICA IL DECLINO TRISTE DELLE NOSTRE PASSIONI– (note alla fine) Per molto tempo, il principale motivo di passione per gli italiani è stata la politica. L’ideologia, i partiti, i leader hanno coinvolto le persone e suscitato senso di appartenenza. Li hanno divisi. Colori e bandiere hanno rappresentato queste linee di frattura fornendo ancoraggi alle identità degli italiani. E queste identità si sono radicate nel territorio. Zone rosse, zone bianche hanno segnato la storia politica italiana. Oggi le cose sono un po’ diverse. Anzi, molto diverse. Non solo per il radicamento territoriale dei partiti, che ha visto indebolirsi quelle specificità geopolitiche. Ma anche per l’antipolitica che spinge tutti gli attori politici sullo stesso piano. In primo luogo i partiti, trascinando verso il basso anche le principali istituzioni pubbliche, le quali invece dovrebbero essere considerate super partes. Attualmente, meno di un italiano su quattro dice di avere fiducia nello Stato. Nel parlamento è uno su dieci [1]. I partiti e i politici vengono percepiti, chi più chi meno, come soggetti lontani dai cittadini: «Son tutti uguali! Non c’è differenza! Pensano solo ai loro interessi!». Questo dicono gli italiani quando parlano nei luoghi della loro socialità quotidiana (al lavoro, al bar, in famiglia, con gli amici). Ma questo sembrano dire anche attraverso la voce dei sondaggi di opinione. Secondo l’Osservatorio Demos-LaPolis su Gli italiani e lo Stato [2], solo il 5% dei cittadini esprime fiducia verso questi attori fondamentali per la mediazione politica e la rappresentanza democratica. E il 48% ritiene che «la democrazia può funzionare anche senza partiti politici». Forse i cittadini intervistati non credono pienamente a quello che affermano, ma lo dicono egualmente. Ma quando si inizia a credere in qualcosa, quel qualcosa assume oggettività nella visione del mondo [3]. Calcio e politica, politica e calcio Il vento antipolitico soffia forte. Ma in fondo anche l’antipolitica è una sorta di ideologia. Una bandiera. Utilizzata e sventolata da tutti gli attori politici contro gli altri. E da alcuni in modo particolare. Su un altro e diverso piano, le passioni pubbliche sono state promosse dallo sport. E soprattutto dal calcio. Il tifo ha via via rimpiazzato quella passione che segnava il tempo dei partiti di massa. Che in passato offrivano luoghi, colori e bandiere per la costruzione delle identità personali; senso di appartenenza. Questo sentimento prefigura però elementi di distinzione, dagli altri, quelli dell’altra parte, dell’altra curva, di un altro colore e di un’altra fede. Più degli amici contavano i nemici. Contro i quali si erigevano muri, non solo metaforici, e attraverso i quali si definivano le identità. Le differenze. Tra blocchi ideologici, economici e culturali. Questa logica amico/nemico, del noi/voi, d’altronde, anche oggi fornisce senso. Non solo in politica. Oltre metà dei tifosi, il 52%, «odia» una squadra almeno quanto «ama» la propria. E la politica, a sua volta, imita il tifo. Nel linguaggio: i vaffa, ormai, sono generalizzati. E in tv i talk politici, per fare ascolti, accendono il tifo. Dividono il pubblico tra supporter dell’uno o dell’altro ospite che si esibiscono nell’arena mediatica. Nella piazza dei talk show. In essa vengono «gestite» le risse. I collegamenti esterni a cui ogni talk ricorre rappresentano una sorta di curva Sud, pronta a esplodere e a urlare cori. L’anchorman in studio impersona l’arbitro. Gli inviati, in collegamento, i guardialinee. Tutto per lo spettacolo della politica. O meglio, della politica spettacolo dei nostri tempi [4]. Mentre negli stadi, in curva, si levano cori razzisti e striscioni infamanti contro gli avversari, anzi i nemici, in alcuni cortei «politici» non capita di meglio. Perché, finite le ideologie, le divisioni si sono moltiplicate. Ma senza più giustificazioni ideali. Così, gli ultrà politici si mischiano con quelli del tifo (a volte si confondono nelle stesse curve). E spargono violenza. Non solo verbale. Calcio e politica, peraltro, si sono intrecciati nel tempo. Soprattutto e tanto più negli ultimi vent’anni. Da quando Silvio Berlusconi, imprenditore pubblicitario e mediatico, presidente di Mediaset e del Milan, è «sceso in campo» nel 1994. Con un partito il cui nome richiama un coro da tifoseria: Forza Italia! E ha scelto, come colore simbolo, l’azzurro – non il blu o il celeste. Perché l’azzurro rimanda anch’esso, esplicitamente, al mondo del calcio. E i suoi fedeli li ha chiamati «azzurri». Come i giocatori della Nazionale. Berlusconi ha incrociato tifo politico e calcistico. Ora, però, questo legame si sta logorando. La politica ha perso credibilità. Più che appartenenza, suscita distacco e indifferenza. La fede calcistica, ormai, è più solida di quella politica (anche se è insidiata dalla sfiducia, proprio come la politica) [5]. Alle elezioni del 2013, oltre 4 elettori su 10 hanno cambiato partito [6]. Ma quasi 5 tifosi su 10, il dato più alto rilevato dal 2010, si dichiarano «militanti» e non cambierebbero mai squadra. Restano fedeli. Mostrano un forte sentimento di appartenenza, come una parte degli elettori del passato, quando nutrivano questo sentimento per tutta la vita, come una fede, verso il loro partito (di massa). L’elettore, dunque, è mobile. Il tifoso no. Così è rimasto solo il calcio a riscaldare il sentimento degli italiani [7]. Eppure, anche questa passione sembra in declino. Infatti, se consideriamo i tifosi nel loro assieme, quanti in Italia si autodefiniscono tali sono il 40%. Ma erano il 56% nel 2009. Anche se negli ultimi due anni si è registrato un piccolo incremento, +4 punti percentuali (ma ne mancano ancora 16 per arrivare al dato di sei anni prima). Questi numeri lasciano intendere che qualcosa sta cambiando. O è già cambiato. Questo legame si è dunque incrinato. Ed è calata la presenza degli spettatori negli stadi. Mediamente vuoti, per quasi metà [8]. D’altronde, ormai si assiste allo spettacolo del calcio sempre più e soprattutto sui media. In televisione. Ma anche sui nuovi media. Il tifo al tempo della Rete, intatti, è cambiato molto. Dalla radiolina si è spostato sul tablet [9]. Il calcio è ovunque. Nonostante il calo del numero dei tifosi e in particolare di quanti si recano in curva o in tribuna. Il calcio, infatti, è sempre più sui mezzi di comunicazione, vecchi e nuovi. Anzitutto in televisione, che si conferma il luogo per eccellenza dello spettacolo (e del dibattito) calcistico. Ma anche sui nuovi media, che allargano un’offerta mediatico-calcistica sempre più ricca e personalizzata. Ritagliata sulle esigenze del tifoso, alla ricerca di un flusso continuo di informazioni sulla squadra del cuore (e sugli avversari, o meglio sui nemici): dal mercato al bollettino medico sugli infortuni; dal giudizio degli esperti ai tweet dei giocatori; dagli allenamenti alle dichiarazioni pre-, post- (e infra-) partita. L’Osservatorio sul tifo Demos-Coop, che ogni anno rileva il sentimento e le opinioni degli italiani verso il calcio, fa emergere una fruizione sempre più multimediale: ha documentato il sorpasso di pc, tablet e telefonini sul tifo da stadio. Quello urlato sugli spalti. Ai servizi a pagamento, forniti online dagli stessi network televisivi, vanno peraltro aggiunte le visioni «gratuite», attraverso i canali dello streaming pirata. Complessivamente, un terzo del pubblico calcistico italiano (33%) segue le partite via Web (era il 23% nel 2014): ma al di sotto dei 35 anni il calcio in Rete sale al 52%, con un trend in crescita rispetto alle precedenti rilevazioni [10]. Anche se i giovani restano coloro che più frequentano lo stadio: in particolare quanti hanno tra 25 e 34 anni (40% vs la media del 21%), seguono quelli più giovani, tra 15 e 24 anni: 33%. Questo prefigura un cambio generazionale molto netto nel modello di partecipazione allo spettacolo sportivo, con possibili ricadute sulla fruizione sia diretta negli stadi sia mediata in tv. Si configura, in altre parole, una modalità «ibrida» di fruizione, che connette vecchi e nuovi media. Tv e smartphone. Programmi televisivi e post su Facebook. Così, sciarpa, bandiera e cori, amici e qualche birra, tutti davanti al rettangolo di gioco. Ma il rettangolo oggi è sempre meno quello verde del campo di gioco e sempre più quello dello schermo digitale. Il vuoto (anche) nello stadio personale Reti satellitari e canali digitali trasformano ogni casa in uno «stadio personale». Ogni bar in una curva Sud. Così, da qualche tempo, anche gli stadi «mediali» si stanno svuotando. Questa è, almeno, l’impressione che si ricava, se si consultano i dati di ascolto di Sky e Mediaset Premium (fonte: Auditel). Negli ultimi anni, il pubblico del campionato di serie A, infatti, risulta in calo costante in entrambe le pay tv. In egual misura. Fra la stagione 2012-13 e quella 2013-14 il numero di spettatori dei due network, cumulati e considerati insieme per l’intero campionato, diminuisce, complessivamente, di quasi 10 milioni di unità. Il 3% in meno. In quella successiva, 2014-15, scende ancora di più. Di altri 22 milioni. Cioè, di un ulteriore 6%. Complessivamente, dal campionato 2012-13 a quello 2014-15 – e quindi in tre stagioni – la platea televisiva di Sky e Mediaset Premium si è ridotta del 4% medio annuo e complessivamente di 32 milioni di unità. Naturalmente, le cause di questo sensibile ridimensionamento sono diverse. Alcune riguardano i canali e i media. In particolare il peso assunto da Internet ha giocato un ruolo importante. Ma questo spiega solo in minima parte un calo tanto rilevante. Le ragioni che disincentivano la visione del calcio sulle pay tv sono, invece, altre e diverse. Riguardano lo spettacolo in sé. Il campionato, infatti, ha perso da anni appeal, insieme a molti campioni. Che sono andati altrove. In campionati di altri paesi. Mentre alcuni protagonisti amati dai tifosi (ieri Del Piero e Pirlo, oggi Totti, domani chissà) sono partiti oppure finiscono in panchina. Così, l’interesse suscitato dagli incontri di vertice della Premier oppure della Liga ormai è superiore rispetto a gran parte degli incontri che si svolgono nei nostri stadi. Il calcio italiano, invece, appare un mercato «in svendita». Dove entrano imprenditori americani, indonesiani eccetera. Peraltro, il dominio della Juve – da alcune stagioni – ha raffreddato le passioni. Anche se, nel campionato appena concluso, l’Inter prima e quindi il Napoli, per molto tempo hanno tenuto alta l’attenzione e la tensione. D’altronde, secondo i dati dell’Osservatorio sul tifo di Demos-Coop (settembre 2015) [11], la Juve è la squadra con il maggior numero di tifosi (35%), il Napoli la quarta (10%), subito dopo le due milanesi: Inter 17% e Milan 14%. Il declino degli ascolti comunque non si arresta. Neppure nel campionato in corso. Prosegue, invece, e sembra perfino aumentare. Considerando le prime 25 giornate, il pubblico cala dell’11%. Cioè, oltre 25 milioni di spettatori in meno. Certo, alcuni incontri suscitano ancora grande interesse. Pari e talora maggiore – anche se di poco – rispetto agli anni precedenti. Ad esempio, la partita di vertice fra Napoli e Juventus, giocata sabato 13 febbraio nonostante la concomitanza con la serata finale del Festival di Sanremo, ha totalizzato 3 milioni e 670 mila spettatori. Circa 1 milione e 100 mila in più dell’andata. Peraltro, il declino del pubblico non riguarda la platea di tutte le squadre, considerate insieme. Coinvolge, invece, le principali. Juventus, Roma, Napoli e le due milanesi: dal campionato 2011-12 a quello appena concluso (2015-16) perdono tutte ascolti. Dai 9 milioni e 700 mila, fatti osservare dal Milan, a 1 milione circa nel caso dell’Inter. Quest’ultima, peraltro, è l’unica squadra ad aver guadagnato in modo significativo durante l’ultimo campionato: oltre 5 milioni di spettatori. Il Milan, invece, paga il declino degli ultimi anni, segnato dal trasferimento dei suoi campioni (soprattutto al Paris Saint-Germain). Mentre l’Inter ha beneficiato del campionato di vertice condotto fino ad alcune settimane fa. Perché la classifica, come si è detto, fa ascolti, ma al tempo stesso li può deprimere. Assistere a partite accese, giocate da campioni, in un campionato combattuto ed equilibrato, aiuta. Alimenta l’attenzione del pubblico. Per questo gli incontri di vertice della Premier oppure della Liga suscitano un interesse superiore rispetto a gran parte delle partite che si svolgono nei nostri stadi. Semivuoti. Tuttavia, il calo che si osserva su Sky e su Mediaset Premium – in misura molto simile – suggerisce anche altre ipotesi. In particolare, che il declino del pubblico non dipenda (sol)tanto dall’interesse, ma anche dalla credibilità molto bassa dello spettacolo e dei suoi attori. Accostati a scandali e sospetti sempre più frequenti. Un’idea rafforzata dai dati dell’Osservatorio sul tifo di Demos-Coop (settembre 2015). Il 53% dei tifosi ritiene, infatti, che il campionato, rispetto a 10 anni fa, sia maggiormente condizionato dalle scommesse. Il 42% dalla criminalità organizzata e dalla corruzione. Per contro, solo il 15% pensa che sia divenuto più credibile. Il 45% di meno. L’intreccio tra calcio e politica appare piuttosto evidente. Entrambi gli ambiti sono minacciati più che dall’antipolitica e dall’anticalcio, dall’indifferenza. Dal vuoto delle urne e degli spalti. Dal distacco. Nel calcio le ostilità, i nemici, non necessariamente sono un male. D’altronde, per sessant’anni il coinvolgimento politico si è costruito e consolidato sui muri. Quello di Berlino prima, il muro di Arcore poi. Anticomunismo e antiberlusconismo. Nel calcio, come si è detto, le passioni sono attraversate dai muri. Non solo cittadini (dove i derby ne sono un esempio evidente). Ma anche nazionali. Perché la Juve è una squadra che non ha una geografia locale. È amata e odiata dappertutto. Però, se gli spettatori, i tifosi, non credono più a quel che vedono, allora subentra il disincanto. Il distacco. L’indifferenza, appunto. Così, per citare Spinoza, anche nel calcio è giunto il tempo delle «passioni tristi», o peggio, senza passioni. Che forse preannuncia un periodo molto mesto per gli interessi (economici) delle società calcistiche e delle reti tv. Ma anche per i tifosi. Perché vivere senza passioni e senza bandiere, politiche e perfino calcistiche, non è un bel vivere. E, soprattutto per il calcio, è un grande rischio. Perché la politica può comunque sopravvivere alle urne vuote, all’astensione crescente. Ma il calcio non può sopravvivere agli stadi vuoti e, soprattutto, alle piazze mediali e digitali deserte. Perché senza passione non c’è pubblico. E senza pubblico, non c’è spettacolo. Non c’è mercato. Non ci sono risorse. Perché neppure cinesi e indonesiani sono interessati a uno spettacolo che perde l’interesse del pubblico. Note: 1. Si veda Gli italiani e lo Stato. Osservatorio Demos, dicembre 2015. disponibile in www.demos.it/a01211.php 2. Ibidem. 3. P.L. BERGER, T. LUCKMAN, La realtà come costruzione sociale. Bologna 1997, il Mulino. 4. G. MAZZOLENI, A. SFARDINI, Politica pop. Da “Porta a Porta” a “L’isola dei famosi”, Bologna 2009, il Mulino 2009. 5. I. DIAMANTI, «Tifo», in Password. Renzi, la Juve e altre questioni italiane, Milano 2016, Feltrinelli, pp. 97-98. 6. DIAMANTI, F. BORDIGNON, L. CECCARINI. Un salto nel voto. Ritratto dell’Italia politica. Roma-Bari 2013, Laterza, p. 24. 7. Si veda l’indagine dell’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani Demos-Coop dedicata al calcio disponibile in www.demos.it/a01l72.php 8. Si vedano tra i numerosi articoli sul tema E. CURRÒ, «L’Italia che vede il calcio tante partite per pochi e stadi sempre più vuoti», la Repubblica, 30/12/2015; F. BIANCHI, “Ma che tristezza quegli stadi vuoti», Spy Calcio, 5/12/2015; E. CURRÒ «Champions, allarme stadi vuoti: spettatori in fuga», la Repubblica, 21/11/2012. 9. Si veda il focus dell’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani Demos-Coop dedicato al calcio, Il tifo al tempo della rete. Dalla radiolina al tablet, disponibile in goo.gl/O06D5Z 10. Dati raccolti dall’Osservatorio sul capitale sociale degli italiani Demos-Coop nell’indagine dedicata al calcio disponibile in www.demos.it/a01172.php 11. Si veda il dossier disponibile in goo.gl/oZt5PL