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 2016  maggio 30 Lunedì calendario

LARRY KUDLOW: IL DOTTOR STRANAMORE DELL’ECONOMIA CHE CONSIGLIA TRUMP

Anche la "Trumponomics", come è stata soprannominata la strategia economica del candidato repubblicano alla Casa Bianca, ha il suo guru. Si chiama Lawrence Kudlow, "Larry" per gli amici. Conduce un programma televisivo sulla rete Cnbc, ha 68 anni, un animo battagliero e un’innata propensione alle conversioni, ai ribaltoni e ai vuoti di memoria: proprio come Donald Trump. Il quale, assegnandogli il compito di riscrivere la piattaforma fiscale del partito per le elezioni di novembre per la Casa Bianca, lo ha scelto di fatto come consigliere economico, affiancandogli Stephen Moore della Heritage Foundation. È un incarico ancora ufficioso, questo di Kudlow, e comunque soggetto a quelle retromarce opportunistiche che costellano la bizzarra candidatura del tycoon newyorkese. Tutto è fluido, nell’appeal populista di Trump che tanto affascina l’America dei bianchi xenofobi e degli emarginati dalla globalizzazione. Ogni proposta programmatica dell’aspirante presidente, può – se conviene – essere modificata senza batter ciglio. Ogni suo giudizio può essere rovesciato secondo la audience. Ogni rapporto personale può essere sconfessato.
Trump, ad esempio, ha negato di sapere chi fosse David Duke, il politico in odore di Ku Klux Klan che si era schierato con lui. Ha persino detto a un giornalista americano di non conoscere Matteo Salvini, che pure gli aveva stretto la mano a Filadelfia e sbandierato un’alleanza ideale tra i due populismi transatlantici. Così anche Larry Kudlow potrebbe essere un giorno scaricato se dovesse diventare scomodo o attirare troppe polemiche.
Per il momento il guru della "Trumponomics" vola basso: da un lato perché ha un gran da fare nel definire la piattaforma economica del candidato, aggiustando il tiro rispetto a nove mesi di promesse impossibili e improvvisate; dall’altro perché Kudlow ha molti scheletri nell’armadio e preferisce che i media americani si appassionino per la promessa di un taglio drastico e generalizzato delle tasse, in linea con i "dogmi" della "supply side" degli anni della scuola di Chicago negli anni 80 e della "Reaganomics", piuttosto che conoscere alcuni dettagli inquietanti della sua vita personale e politica.
Qualche esempio? Kudlow era un militante della sinistra democratica, prima di essere abbagliato da Ronald Reagan e lavorare nella Casa Bianca repubblicana. Era un ebreo, prima di convertirsi di colpo al cattolicesimo. Era pronto a scommettere, poco prima della tempesta finanziaria, che il boom degli anni di George Bush sarebbe continuato a oltranza. E per anni ha sniffato cocaina: un vizio che gli costava, per sua stessa ammissione, 9mila euro al mese. Nato nel New Jersey nel 1947 da una famiglia ebraica, "Larry" aveva frequentato delle buone scuole private prima di iscriversi all’Università di Rochester, nello stato di New York. In quel periodo, assieme a un altro studente di sinistra che avrebbe fatto strada – Bill Clinton – era in prima fila nella campagna elettorale di Joseph Duffey, un oppositore della guerra del Vietnam. Ma l’ascesa di Reagan lo convinse a cambiar gabbana: per quattro anni si occupò di bilancio nell’entourage del presidente, prima di passare alla Bear Stearns, la banca di Wall Street poi travolta dalla bufera del 2008, come capo del servizio economico.
Guadagnava molto, ma bruciava tutto nelle nottate allegre all’insegna dell’alcol e della polvere bianca. E fu licenziato in tronco nel 1994 proprio per un incidente legato alla cocaina. Si rifugiò alla National Review, una rivista guidata da una delle figure di spicco della destra colta americana, William Buckley. Ma anche da lì fu costretto ad andarsene per via della droga. Nel 1995 decise finalmente di farsi ricoverare in un centro di recupero del Minnesota. Ci rimase cinque mesi, aprendo un nuovo capitolo della sua vita anche in termini religiosi: si convertì al cattolicesimo e si fece battezzare a San Tommaso Moro, la chiesa di riferimento della Upper East side, il quartiere elegante e conservatore di Manhattan.
Da allora Kudlow, senza mai rinunciare a segreti sogni politici, è diventato soprattutto un personaggio televisivo, conducendo uno show settimanale sulla Cnbc, la rete di notizie economiche. Ha anche creato una società di consulenza al servizio di facoltosi clienti e ha lanciato un blog dal quale impartisce le sue "lezioni" di politica estera e di politica economica: che spesso si sono rivelate sbagliate, come alla vigilia del disastro di Wall Street del 2008, o incaute, come quando si schierò per la guerra di Bush contro Saddam Hussein.
La prima "mission" che Trump ha affidato a Kudlow è quella di riscrivere il piano fiscale, il punto centrale della piattaforma economica repubblicana, rendendolo più attendibile (e quindi più credibile) rispetto alle dichiarazioni iniziali.
Quando nel settembre dell’anno scorso il miliardario scese in campo, indicò una serie di obiettivi quasi sfrontati: niente più tasse federali per chi guadagna meno di 25mila dollari l’anno (o 50mila nel caso di una coppia sposata), in pratica una esenzione fiscale per i redditi inferiori a 1900 euro al mese; riduzione dell’aliquota massima di tassazione dei redditi dall’attuale 39,6 per cento ad appena il 25 per cento; taglio drastico delle aliquote per le imprese dal 35 al 15 per cento; abbassamento del debito pubblico americano negoziando sconti con i creditori; recupero di posti di lavoro attraverso una azione frontale contro la delocalizzazione e le importazioni a basso costo dalla Cina e dal Messico.
Tutto questo – hanno subito contrattaccato i suoi rivali e detrattori – porterà gli Stati Uniti in rotta di collisione con i partner economici e a una nuova fase di protezionismo a spese della crescita. Tutto questo – ha tuonato la Tax Foundation, associazione – baluardo del conservatorismo fiscale – farà crescere il deficit pubblico di 10mila miliardi di dollari in dieci anni. Tutto questo – ha aggiunto Gene Sperling, uno degli ex-consiglieri economici di Barack Obama e ora al fianco di Hillary Clinton – "rappresenta la proposta fiscale più rischiosa, più temeraria e più regressiva mai presentata da un candidato di primo piano per la Casa Bianca".
D’altra parte la "Trumponomics" ha attecchito, permettendo all’immobiliarista sbruffone di conquistare nuovi adepti a destra e di battere a sorpresa i rivali dell’establishment repubblicano. Adesso ovviamente si apre una fase nuova in vista delle elezioni di novembre, dove deve strappare a Hillary Clinton i consensi di settori più moderati (e più razionali) dell’elettorato. E quindi, pur rimanendo fedele al dogma della "Reaganomics" e del suo ispiratore, Arthur Laffer, secondo cui il taglio delle tasse stimola le imprese e la crescita economica, compensando con maggiori introiti fiscali la perdita iniziale del gettito, Trump vuole aggiornare il piano.
Kudlow, che già prima del successo del palazzinaro nelle primarie aveva creato assieme a Stephen Moore, all’ex-candidato presidenziale Steve Forbes e allo stesso Laffer, un gruppo a sostegno di una politica economica conservatrice, chiamandolo Committee to Unleash Prosperity, si è messo a lavoro e ha offerto le prime soluzioni. Secondo le prime indiscrezioni, il nuovo piano Kudlow-Moore attenua i tagli alle tasse: l’aliquota massima passerebbe al 28 per cento, con altre due aliquote al 25 e al 15 per cento). Verrebbe diminuito il numero di contribuenti che non pagherebbero più le tasse sul reddito, mentre quelle sui capital gains rimarrebbero al 15 per cento per ogni fascia di reddito. Risultato: l’aumento del deficit con la "Trumponomics" sarebbe di "solo" 3.800 miliardi di dollari rispetto ai 10mila della piattaforma iniziale.