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 2016  maggio 31 Martedì calendario

IL TRAFFICO DI CARNE UMANA PRODUCE UNA RICCHEZZA IMMENSA. FINCHÉ I MIGRANTI SARANNO UNA QUESTIONE DI PIL, NESSUN ACCORDO POTRÀ MAI REGGERE

Non è un’invasione. Ma un esodo di massa sì. Ce lo dicono i numeri che la nostra intelligence fa circolare in queste ore.
Dalla Libia sono pronti a partire 150 mila profughi. Accordi e protocolli internazionali, promesse del governo libico, sono carta straccia. A comandare nei porti di Al Zwara, Sabratha e Tripoli, è sempre la mafia degli scafisti. Sono loro ad aprire e chiudere i “rubinetti” dell’immigrazione selvaggia. Migliaia di disperati sono stati trattenuti per mesi in capannoni, sfruttati, derubati, violentati, prima che “l’Organizzazione” decidesse di dare il via libera agli imbarchi.
“Possiamo fare tutti gli accordi di questo mondo – ci dice una fonte dell’intelligence – ma il traffico di carne umana produce una ricchezza immensa, e contro i soldi non ci sono pattugliatori che tengano”. Il nostro uomo ci fornisce una cifra per aiutarci a capire l’entità del fenomeno: il 40-50% del Pil della Tripolitania è ormai prodotto dal traffico di esseri umani. I disperati provenienti da Ghana, Sudan, Siria, Mali, (almeno 5 mila partenze si registrano dall’Egitto, l’anno scorso erano 2 mila) alimentano una economia che finanzia intere tribù, villaggi e città.
Non è direttamente il Daesh a organizzare le traversate, ma organizzazioni autonome poco interessate alla costruzione del Califfato. I trafficanti di carne umana pagano una tassa agli esattori dell’Isis, migliaia di dollari che servono a finanziare i combattenti e all’acquisto di nuove armi. Non solo dollari, gli strateghi del Daesh usano la disperazione dei profughi come arma di possibile destabilizzazione dei paesi europei interessati. Di fronte alla tragedia di questi giorni e ai 700 morti nel Canale di Sicilia, la politica del governo mostra tutta la sua debolezza.
I numeri parlano chiaro: fino a oggi sono sbarcate 47.740 persone, il 4% in più rispetto allo stesso periodo del 2015, che è già stato un anno record. In questa situazione gli hotspot imposti dall’Ue sono già al collasso, nelle varie strutture di accoglienza (capacità ricettiva intorno alle 150 mila unità) sono già ospitate 119.294 migranti.
L’esodo era stato annunciato nei mesi scorsi da organismi internazionali e organizzazioni umanitarie, ma l’allarme non sembra essere stato raccolto fino in fondo e neppure dinanzi alle tragedie ci sono state prese di posizione credibili e piani affidabili per fermare la mattanza.
A rendere ancora più complicata la situazione è l’emergere di divisioni tra il ministero dell’Interno e gli apparati di sicurezza. Un articolo del Corriere della Sera di ieri che parlava delle misure messe in atto dal Viminale per la nuova emergenza ha fatto salire la tensione nelle stanze dell’Aise, il servizio segreto estero. Quel riferimento al “flop dell’intelligence” che non ha previsto quello che stava accadendo nei porti libici non è piaciuto. “La Libia è un terreno difficilissimo – è l’unico commento che è possibile registrare – una palude più che un deserto. I nostri uomini si muovono in uno scenario dominato da un governo ancora fragile, tribù divise tra di loro, apparati statali corrotti e gli uomini del Daesh che giocano su più tavoli. Quello degli scafisti nelle aree costiere è il più importante”.
Sul versante libico arrivano invece rassicurazioni. “La questione dei flussi migratori è un fatto complesso, non solo locale”, ha dichiarato il ministro dei Trasporti Milad Mohamed Maatough, ieri a Milano per un incontro bilaterale col ministro Graziano Delrio. “Un problema che va affrontato anche con il supporto e l’addestramento della Guardia costiera italiana”. Sostegno promesso dal Delrio ma non ancora operativo.
Si vuole ripetere l’operazione che a metà anni Novanta si fece in Albania, dove i pattugliatori della Guardia Costiera e delle Fiamme Gialle operavano in sinergia con quello che restava della marina albanese per combattere la mafia dei gommoni. Operazione riuscita.
Ma l’Albania di quegli anni non è la Libia di oggi. Che fare? Renzi si appella all’Europa che ha tempi troppo lunghi per l’approvazione di piani e strategie rispetto a una emergenza già in atto. Obiettivo del governo italiano è che il Consiglio europeo previsto per giugno approvi il migration compact e decida una serie di iniziative per mettere un freno alle partenze dall’Africa.
Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 31/5/2016