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 2016  maggio 31 Martedì calendario

RITRATTI DI FRANCESCO GRECO – Piero Colaprico per la Repubblica Che potesse diventare lui il procuratore capo dopo Edmondo Bruti Liberati? Ci sperava e ci credeva: nelle ultime settimane, per i ritardi della decisione del Csm, aveva anche ripreso a fumare

RITRATTI DI FRANCESCO GRECO – Piero Colaprico per la Repubblica Che potesse diventare lui il procuratore capo dopo Edmondo Bruti Liberati? Ci sperava e ci credeva: nelle ultime settimane, per i ritardi della decisione del Csm, aveva anche ripreso a fumare. Rismetterà ora, che finalmente gli tocca la stanza affacciata su corso di Porta Vittoria, dove per trentasette anni è entrato bussando.È infatti arrivata l’ora dell’«Highlander». Alla fine ne è rimasto solo uno. Lui: Francesco Greco a 65 anni corona il sogno di una vita e, dopo essere stato l’ultimo dell’antico pool Mani Pulite rimasto nella trincea dell’ufficio, diventa il nuovo procuratore capo di Milano.Dire Francesco Greco significa un po’ dire, fatte le debite differenze d’età e di stagioni, Francesco Saverio Borrelli. Era stato proprio il suo famoso predecessore, l’allora capo della procura ai tempi di Tangentopoli, a raccontare che «come mentalità e come tratto umano, il sostituto Greco è quello che sento più affine». Non c’entravano solo la «napoletanità» o la scarsa propensione ad alzare la voce.Ad accomunarli è anche l’aria apparentemente svagata di chi, fingendo di non sapere niente, sa (quasi) sempre tutto. Così come la capacità di entrambi di essere professionisti della giustizia, ma mai missionari. Di saper creare staff affidabili e allacciare rapporti trasversali e, allo stesso tempo, trasparenti. Tutti sanno chi va a far visita a Greco, così come tutti sanno da chi il suo nome sia stato proposto per la Consob, l’organo di controllo delle società quotate in Borsa.Se oggi la procura di Milano a gestione Greco ha un Dna, è quello – lo si può affermare dalla lettura delle carte dei processi – di sapere e volere applicare il diritto penale, statico e nodoso, alla fluidità del mondo economico e finanziario. Greco e la Milano capitale del denaro e degli affari rappresentano un binomio. Accanto a manager e imprenditori onesti, ci sono i colletti bianchi dalle mani sporche: Greco li ha inquisiti e combattuti per decenni.Il destino, ai suoi esordi, l’aveva chiamato a seguire la più grave strage di malavita che l’Italia abbia mai avuto: otto morti ammazzati nella periferia di via Moncucco. Lontano 1979, Ponte dei Santi. Credeva che la telefonata del 113 fosse lo scherzo pesante di un collega.Non amando la nera, ha capito che indagare sui bilanci farlocchi fosse il pane giusto per i suoi denti. Prima di Antonio Di Pietro, aveva scoperchiato il sistema delle tangenti alla metropolitana milanese. Vale la pena ricordare che c’era un’azienda, la Icomec, fallita in piena «Milano da bere» (anni ‘80) per aver pagato troppe mazzette. Parte dei soldi sporchi erano confluiti sul socialdemocratico Pietro Longo, rinviato e condannato, e su Antonio Natali, il padrino politico di Bettino Craxi, e Natali venne salvato dalle elezioni.Con quel viatico, su indicazione di Borrelli, Greco era entrato – dopo Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo – nel pool Mani Pulite. Di Pietro un po’ ne pativa le conoscenze e le battute taglienti, lui tentava di andarci d’accordo. S’erano occupati insieme di All Iberian, la società collegata alla galassia dei paradisi fiscali di Silvio Berlusconi.Quando Di Pietro s’era sfilato la toga, era toccato a Greco raccogliere il testimone e proseguire i processi che ruotavano sulla chimica. E via via che i colleghi mollavano Milano, di quella stagione erano rimasti in due – lui e Ilda Boccassini dell’Antimafia – a presidiare il quarto piano del palazzo di Giustizia.Scandalo Parmalat, ruberie dentro la Sanità Lombarda di un Roberto Formigoni sotto processo, tasse di colossi come Google e di Apple, rientro dei capitali dalla Svizzera, sono innumerevoli le indagini curate da Greco in tanti decenni da pubblico ministero. Aveva fama di uomo di sinistra, ma oggi come ieri gli andrebbe riconosciuta una patente di equidistanza. Così affermano personaggi più diversi, da faccendieri come Luigi Bisignani a ex ministri come Giulio Tremonti. Ma cosa diranno i suoi collegi a Milano lo scopriremo solo nelle prossime, delicate settimane. *** Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera Sbagliano, ma per tutt’altro verso hanno ragione, coloro che nella nomina di Greco salutano chissà quale «Procura della Nazione». Sbagliano, perché quasi 40 anni di carriera – l’inchiesta sulle tangenti Icomec nell’era geologica pre-Mani pulite di cui poi Greco nel 1992-1994 sarà nucleo storico con Di Pietro-Colombo-Davigo, la tangente Enimont, le indagini All Iberian su Berlusconi, il crac Parmalat, le scalate bancarie Antonveneta-Bnl sino alla condanna sul primo capitolo del governatore di Banca d’Italia Fazio – testimoniano che solo una grottesca caricatura potrebbe schiacciare il suo profilo di pm sulle sue multiformi relazioni. Ma hanno anche ragione. Perché Greco, per mentalità personale e approccio sostanzialista al lavoro, paradossalmente può essere assimilato da sempre a una sorta di «renziano» prima ancora di Renzi: cioè un cultore ante litteram di «disintermediazione» e trasversalità all’insegna del risultato concreto da incassare. Fosse per lui – «io sono molto laico e anche contrattualista pure nel penale» —, all’americana neppure processerebbe più chi sceglie di pagare e si mette in regola aderendo a un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate, «e invece noi dobbiamo comunque continuare a fare un processo che a nessuno più interessa». Mentalità che – a partire dal rientro dall’Olanda del gruppo Prada nel 2014 con 450 milioni al Fisco – si coglie anche dietro le trattative con i web-colossi dell’elusione fiscale come Apple o Google: iniziative apripista in Europa, nelle quali il pungolo penale sospinge le compagnie estere a intese con il Fisco tanto ingenti (ad esempio i 318 milioni di Apple) quanto non del tutto onerose rispetto alle iniziali miliardarie contestazioni. Anche perché, se i migliori risultati sono sempre giunti da patteggiamenti all’esito di indagini (come i 400 milioni dal caso Antonveneta), più accidentato è stato invece il percorso giudiziario quando si è snodato nelle aule dei processi: dove taluni Tribunali è capitato lamentassero imputazioni da mettere a fuoco (come nel processo All Iberian poi soffocato da una berlusconiana legge ad personam), o si rammaricassero (come nelle motivazioni su Parmalat-Tanzi) che ulteriori responsabilità restassero inesplorate dalla priorità data a rapidi patteggiamenti. Attento a coltivare il rapporto non solo con la Guardia di Finanza ma anche con Agenzia delle Entrate (che ha personale stabile in Procura) e Banca d’Italia, e dotato d’una visione capace negli anni di anticipare nuove strategie nelle indagini economiche (la responsabilità amministrativa delle imprese, l’uso del reato di aggiotaggio, ora la caccia agli intermediari riciclatori dell’evasione), Greco, oltre a portare allo Stato incassi da manovra finanziaria, di fatto ha ispirato più leggi di gran parte dei parlamentari: autoriciclaggio, falso in bilancio, rimpatrio dei capitali, e soluzione giuridica (sinora impantanatasi in Svizzera nei ricorsi dei Riva) per riversare nella bonifica ambientale dell’Ilva di Taranto, ancor prima del processo fiscale, il miliardo e mezzo di euro sequestrato da Milano. Sarà anche questa la fonte dei riposizionamenti degli estimatori dell’ultima ora di un pm che va ai seminari Aspen Institute di Tremonti, ai convegni dell’avvocato ex ministro della Giustizia Severino, in vacanza in passato con Guido Rossi, o ai dibattiti con il sindacalista Maurizio Landini. Fra quanti bollano la voluntary disclosure come un favore del governo agli evasori fiscali, ad esempio, tanti ora acclamano capo dei pm milanesi proprio l’artefice della legge, rivendicata da Greco (più ancora che per i 60 miliardi rimessi nel circuito legale o i 4 miliardi arrivati al Fisco) per il fatto che «120.000 persone abbiano così deciso di fidarsi dello Stato e aprire un rapporto di collaborazione». Buffo anche che i fans dell’estesa competenza territorial-finanziaria dei pm di Trani incensino nel contempo proprio Greco che, «tra le cose che non funzionano in magistratura», mette l’immaginare «che il centro della finanza mondiale abbia competenza dalle parti della Puglia, anziché a Milano dove c’è la Borsa». E non poco singolare è che gli stessi che tacciavano l’ex procuratore Bruti Liberati di una spiccata attitudine a ponderare le compatibilità politico-economiche dell’attività della sua Procura, ora si spellino le mani nell’applaudire la nomina del vice di Bruti più in sintonia con Bruti, cioè col procuratore scordatosi tre mesi le intercettazioni fiorentine del caso Sea-Gamberale. Bersaglio in passato degli strali dell’entourage berlusconiano (anche se ora fa sorridere che i suoi giornali lo ritraggano «svettare su tutti per metafisico potere e superiorità professionale», e gli attribuiscano la condanna di Berlusconi ottenuta invece dal pm Fabio De Pasquale), nel contempo Greco è stato destinatario nel 1997 delle insofferenze dalemiane e prosciolto da una azione disciplinare del governo Prodi per aver detto in un convegno di Micromega che l’allora «governo di sinistra» stava «facendo sulla giustizia ciò che neppure Craxi aveva mai tentato». Oggi la critica è invece all’«azione delle Procure ormai troppo divaricata sul territorio, alcune cercano di non far prescrivere i reati e altre li mettono negli armadi: quando la magistratura deciderà prima o poi, e spero più prima che poi, di avere una visione uniforme, che ovviamente rispetti l’autonomia e l’indipendenza dei singoli Uffici ma anche un criterio di omogeneità, faremo tutti un passo avanti». *** Paolo Colonnello per La Stampa «Iniziamo a portare a casa il bottino, poi si vede…». Meno manette e più efficacia. Ovvero: meno carcere e più entrate per l’erario, meno burocrazia e più leggi moderne. Per un amante della vela e soprattutto dello sci, due sport di grande libertà, arrivare in fondo alla pista senza danni e con grandi vantaggi per la salute e l’umore, non è un obiettivo da poco. Così, se c’è una cosa che Francesco Greco, 64 anni, da ieri nuovo procuratore di Milano, ha capito molto in fretta nella lotta alla criminalità finanziaria, di cui è considerato il massimo esperto in Italia, è che per fare veramente male a certi colletti bianchi bisogna colpirli più nel portafoglio che nella libertà personale. In questo - e non soltanto - distinguendosi molto dal suo amico ed ex collega Antonio Di Pietro con cui, insieme a Piercamillo Davigo e Gherardo Colombo, condivise oneri e onori di quella che rimarrà per sempre l’inchiesta che ha cambiato la storia del Paese: Mani Pulite. Non è un caso perciò se solo negli ultimi 5 anni il dipartimento da lui guidato ha trattato 14mila fascicoli, portando nelle casse dello Stato oltre 3,6 miliardi di euro e praticamente senza quasi mai mandare in carcere qualcuno. Di Greco infatti tutto si può dire ma mai che abbia mostrato accanimenti giudiziari: la sua è sempre stata una giustizia pragmatica, concreta, molto milanese, a dispetto delle origini napoletane e degli studi romani. Protagonista di indagini finanziarie clamorose negli ultimi 10 anni - dalla scalata occulta del banco Ambrosiano al crack Parmalat fino alle vicende dell’Ilva, passando da Mps, Google e Apple - si deve a Greco, per esempio, la scoperta della famosa galassia off-shore di Berlusconi, quell’«All Iberian» che fu all’origine di tutti i successivi guai giudiziari del Cavaliere. E ancor prima, si parla della metà degli anni ’80, dell’arresto dell’uomo che fu il padrino storico di Bettino Craxi, quell’Antonio Natali, ex presidente della Metropolitana che Greco fece mettere in carcere così come chiese l’arresto di Pietro Longo, segretario del Psdi, uno dei cinque segretari che formavano le maggioranze di governo in quegli anni. Tangentopoli doveva ancora arrivare, ma la corruzione tra i partiti esisteva già e Greco ne era ben consapevole, anche se venne chiamato nel pool di Mani Pulite solo quando le indagini arrivarono a toccare i vertici finanziari e industriali dell’epoca: da Raul Gardini a Sergio Cusani, divenuto in seguito, dopo 4 abbondanti anni di carcere, uno dei tanti “consulenti” cui Greco fa ricorso per penetrare e comprendere i meccanismi più segreti e complessi della finanza corsara. Come tutti, ovviamente con gli anni anche Francesco Greco è cambiato: da pm rivoluzionario e intransigente, entrato in magistratura nel fatidico 1977, e subito iscritto a Magistratura Democratica, a magistrato ponderato e strategico, più lontano dalle correnti (non a caso, ieri oltre ai voti di sinistra, ha ricevuto anche quelli “centristi” di Unità per la Costituzione) capace di intessere rapporti anche con il potere politico e il mondo finanziario per ottenere leggi come la “voluntary disclosure” che hanno fatto rientrare capitali dall’estero per centinaia di milioni di euro. Oppure per far approvare le norme sull’autoricilaggio, reato temutissimo nei paradisi fiscali: 37 anni di lavoro alla procura di Milano, lo hanno messo in grado conoscere le storie di tantissimi personaggi e di non temere praticamente nessuno. Uomo indipendente, dall’intelligenza istintiva, non di rado tattico, Greco, figlio di un ammiraglio, sposato con Laura Laera, presidente del Tribunale per i Minori di Firenze, padre di due figlie, era il candidato naturale e più adatto alla poltrona che fu di Saverio Borrelli e ultimamente di Edmondo Bruti Liberati, di cui ha preso le parti nella “guerra” contro Alfredo Robledo. Una "continuità" che potrebbe però riservare sorprese. Ieri Greco ha atteso la nomina viaggiando verso Roma. Da settimana prossima, la procura milanese si rimetterà finalmente in moto. *** Donatella Stasio per Il Sole 24 Ore Èfinita com’era giusto che finisse per la Procura di Milano, l’ufficio giudiziario che con le sue inchieste ha contribuito a fare la storia dell’Italia grazie ai tanti magistrati che lì hanno lavorato, sono cresciuti, hanno saputo fare squadra. Francesco Greco è uno di loro. Perciò sarebbe stato a dir poco bizzarro che - al netto di qualità professionali, successi conseguiti, attitudini organizzative - il Csm fosse andato a pescare un «papa straniero» per raccogliere il testimone di Edmondo Bruti Liberati. Milano, capitale finanziaria dell’Italia, ha bisogno di una Procura guidata con «raffinata intelligenza» e con il «giusto distacco» nel contrasto all’illegalità economica. Qualità che Greco, nei suoi 37 anni di carriera in quell’ufficio, ha dimostrato incontestabilmente di avere, tanto quanto la capacità «di fare squadra» con i colleghi. Una scelta diversa sarebbe stata incomprensibile, autolesionistica, insensata, punitiva, controproducente. Incomprensibile per l’opinione pubblica, autolesionistica per la magistratura, insensata sul piano professionale, punitiva rispetto all’ufficio milanese, controproducente per la lotta alla criminalità economica. Senza nulla togliere agli altri candidati - compreso Gianni Melillo, capo di Gabinetto del ministro della giustizia - Greco era e doveva essere il successore naturale di Bruti Liberati anche per marcare una continuità storica con le precedenti gestioni della Procura. Che - al di là di criticità contingenti talvolta trasformate in veleni - sono state tutte «gestioni democratiche». La storia di Francesco Greco è nota: la vastissima competenza sui reati dell’economia, la capacità di «fare squadra», l’impegno per affermare le regole del mercato, i 3 miliardi e 600milioni recuperati all’Erario tra il 2010 e il 2014 nel contrasto alla criminalità economica, l’attenzione a evitare danni inutili al tessuto economico e produttivo del Paese e a salvaguardare il capitale umano e il valore sociale dell’impresa. Ma nei pareri espressi durante la sua carriera c’è un’espressione ricorrente, particolarmente significativa del suo lavoro di Pm, là dove si parla di «giusto distacco». «Giusto distacco» nel valutare i fatti di indagine, «senza nessun accanimento accusatorio, ma con rigore e senso critico non comune» - si dice - sapendo costruire, sui fatti, «un quadro giuridico solido e difficilmente attaccabile». È questa, forse, una delle qualità più importanti di Greco, che gli ha consentito di attraversare gli ultimi trent’anni della difficile vita economica italiana come un “mastino” dotato di equilibrio, del rispetto delle garanzie e della capacità di cogliere i nessi delle vicende affrontate. Il che ne ha fatto un vero protagonista della contemporaneità.