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 2016  maggio 28 Sabato calendario

IO, IL BAR E UN CONTO TROPPO SALATO


[Francesco Flachi]

«Signora, acqua naturale o gassata? Mamma, passami la lista dei panini. Voi due aspettate un attimo, ché adesso si liberano due posti».
Francesco Flachi passa tra i tavoli del suo locale – il “Panino di categoria”, nel quartiere di Ponte Rosso a Firenze, dove è nato 41 anni fa – con la stessa elettrica agilità con la quale ha dribblato i difensori per 16 anni, tanto è durata la sua carriera di calciatore professionista, dal 1993 al 2009. Le 134 partite e i 42 gol in A, più altri 67 in B, gli hanno lasciato in eredità un fisico da ragazzino e una gloria imperitura tra la gente della sua città e non solo: «Da Genova, dove sono stato da dio nelle mie stagioni alla Sampdoria, ancora arrivano ogni fine settimana a salutarmi». Le due squalifiche per uso di cocaina, la seconda delle quali lo ha di fatto costretto al ritiro, gli hanno invece prematuramente ingrigito i capelli e intinto gli occhi nell’inchiostro scuro dell’amarezza.
«Che effetto fa passare dall’essere riverito come calciatore, al servire al tavolo dei perfetti sconosciuti? È proprio questo il bello. E questo è stato il mio modo di vivere, da calciatore e no: sono sempre sta-
to in mezzo alla gente, di qualsiasi estrazione sociale. Non mi sono mai nascosto e non ho mai fatto distinzioni. I problemi se li facevano gli altri nei miei confronti, immaginando che mi dessi delle arie o fossi inavvicinabile: no, io sono una persona normale cresciuta in mezzo a gente normale. Stare in mezzo a studenti e pensionati mi mette allegria, anche se ogni tanto mi fermo a ricordare e mi piomba addosso un velo di tristezza e di malinconia, al pensiero che avrei potuto smettere più tardi rispetto a quanto sono stato costretto a fare. Quando vedo giocare certa gente in A, mi dico: Francesco, tu in mezzo a questi ci staresti ancora adesso alla grande. Ma proprio alla grande». «Sì, avrei smesso più avanti, se non fosse successo quello che è successo. Sono stato un bischero: lo pensavo allora e lo penso oggi. Ma non bisogna guardare troppo al passato, se no non si riesce mai a costruire qualcosa che abbia un futuro. Poi, dico sempre che l’importante è non ammazzare e non rubare: io sono stato trattato come un criminale, la prima volta mi hanno dato 2 anni, la seconda 12, ma con la cocaina ho fatto male soltanto a me stesso».

NEANCHE IN TRIBUNA
«Ho davanti ancora 6 anni di squalifica, e la cosa più grave, considerando che alla mia età non posso più avere velleità come calciatore, è che allo stadio non mi fanno entrare neanche da spettatore. Non sono stato uno stinco di santo, ho sbagliato, ma non poter vedere una partita dal vivo perché il mio nome risulta tra gli “indesiderati”, no, dopo 6 anni no. Non posso avere un biglietto nominativo, mi riconoscono e mi fanno entrare in curva. Ho una scuola calcio, alleno una squadra di Terza Categoria, il Bagni a Ripoli, e non posso stare in panchina. Sono ai margini del calcio, che è stata la mia vita per tanto tempo. Altri, che hanno fatto porcherie ben più gravi, comprando e vendendo partite, sono stati puniti con mano più leggera. Io non ho rubato, non ho mai scommesso, anche se nel 2006 mi squalificarono per 2 mesi perché avrei chiesto informazioni su una partita in una telefonata di cui non c’era traccia nel rinvio a giudizio. Non ho imbrogliato altri che me stesso. Cosa è più grave, una squalifica per doping o per aver alterato il risultato di una gara? Spero che qualcuno si passi una mano sulla coscienza».
«Se mi piacerebbe allenare sul serio? E come faccio a dirlo, se non posso neanche prendere il patentino. La squalifica mi scade nel 2021: può darsi che per allora mi sarà passata la voglia. Mi manca lo spogliatoio, questo sì».
«Perché la cocaina? Non credete alle fregnacce sulla coca che dà euforia, fa passare la stanchezza, aumenta la libido: a me era appena nato il bambino, che vuoi che facessi? Il perché non lo so nemmeno
io. Il problema è che ho un carattere che non ama le mezze misure: o faccio una cosa o non la faccio. E vado per istinto. In quel momento volevo farlo, sono stato debole, forse avevo un disagio interiore, ma non cerco alibi. Ho provato, ho sbagliato. Ma non ho alterato le mie prestazioni sportive, l’ho assunta solo per uso personale. E in ogni caso non mi cambierei con nessuno».

MA QUALI AMICI?
«Io sono una persona educata, uno che ha sempre offerto rispetto prima ancora di pretenderlo. Se parli coi miei ex compagni, dovunque sia stato non troverai nessuno che possa dire male di me come persona. Però nel calcio è difficile trovare amici veri: quello c’ha la moglie più bella, e la tua ti chiede la stessa borsa della moglie di quell’altro, e quell’altro ancora ha la macchina più figa... Anche fuori dal calcio, nel momento del bisogno di amici ne ho visti pochi. Prendevo 2030 biglietti per volta, li portavo a cena fuori, quelli che dicevano di essere amici: sì, amici del calciatore... Io penso che gli amici stiano in famiglia. Sono loro che mi hanno riaperto la porta di casa».
«È vero, una volta ho detto: “Sarebbe stato meglio essere normale”, perché capita di non aver voglia di avere gli occhi di tutti puntati addosso. Ma a me la vita da calciatore è piaciuta, forse perché l’ho affrontata vivendo alla giornata. A Genova, soprattutto. A Firenze ero troppo giovane, avevo intorno grandi campioni e non ho avuto tempo di crescere. Nasco qui e sono tifoso della Fiorentina: sognavo di indossare la maglia viola per tutta la carriera, ma giocare con Batistuta, Edmundo, Olivera era difficile. Diciamo che la Fiorentina è stata una moglie, a Genova ho trovato l’amante più bella. Il legame con la città va oltre il calcio. Tra me e la Samp c’è stato il rapporto che ha Totti con la Roma. Ho smesso di giocare a 32 anni, con la Samp ho segnato 112 gol tra campionato e Coppa Italia: io penso che Vialli l’avrei preso, a 132, e Mancini ce l’avevo a 172... Quando torno a Genova è come se non fosse passato un giorno, altro che 7 anni: cori, abbracci, non mi fanno mai pagare nei locali... Se non fosse finita in modo così traumatico, sarei rimasto a vivere lì. I miei figli sono nati lì. Non mi mancava niente. Benedetta ha 14 anni e Tommaso 9: non mi hanno mai fatto domande. Tanto ora c’è Internet, la mia storia la troveranno lì. A me importa fare il padre quando conta».
«I gol più belli? Facile dire quelli in rovesciata, ma per me sono stati tutti belli allo stesso modo. Però in rovesciata ne ho fatti 6, o forse 4, in un solo campionato: trovamene uno capace di fare altrettanto nel calcio di oggi. E non chiedermi se ora c’è qualcuno che mi somiglia, perché ti rispondo così: speriamo di no».