Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  maggio 27 Venerdì calendario

STENDHAL: C’È POSTA PER NOI


«Se vuoi veramente convincerti della verità, non hai che da leggere le lettere di Voltaire e quelle di Rousseau. Sono i due uomini di cui ti ho di recente parlato. Li si conoscerà perfettamente solo quando le lettere che hanno scritto saranno pubblicate...». La lettera che reca questo auspicio, «conoscere perfettamente», parte da Marsiglia il 7 ottobre 1805 ed è indirizzata a Mademoiselle Pauline Beyle chez Monsieur Beyle son pére, rue de Bonne, Grenoble. L’ha inviata Henri, il fratello maggiore della destinataria, alla quale da tempo dedica, attraverso la corrispondenza, raccomandazioni propedeutiche alla vita, alla cultura. Soprattutto inviti alla lettura.
Henri è un ex sottotenente di cavalleria in congedo dall’armée con la quale ha partecipato alla campagna d’Italia, guidata dal primo console Napoleone Bonaparte. Allora era un oscuro ventiduenne ardente di vita, goloso di esistenza. Dovranno passare un po’ di anni prima ch’egli «incontri» quel suo doppio che lo avrebbe reso celebre: Stendhal. E certo non aveva ancora scritto la quantità di lettere che, pubblicate, avrebbero consentito di conoscerlo un poco di più nell’intricato garbuglio di pseudonimi dietro ai quali si nascondeva, e dove, di volta in volta, assumeva eterogenee personalità.
Non vi è dunque un solo Henri Beyle, ma la sua sublime moltiplicazione. Henri-Clarence Banti, Octavien-Henri Fair-Monfort, Leimery, Seymours, Le Bourlier, colonel L. Myself, Ceranuto, d’Averney, M. de Léry, Charlier, Coste, Louis-César-Alexandre Bombet, Barett, Aubertin, l’Animal, l’évéque d’Egrah, Bliarce, Jacques, Brulard, Darlincourt, D. Gruffot Papera, L. St Pétau sono i contronomi, ma se ne troveranno altri, con cui Beyle si «presentava», o alludeva a se stesso. Imbrogliava la propria personalità. Essere tanti nell’illusione di rinvenire in sé il vero Henri Beyle. Certo, la più celebre contraffazione è Stendhal, talvolta De Stendhal, il supernoto pseudonimo con cui firmò i libri: Rome, Naples et Florence, en 1817, Promenades dans Rome, Le Rouge et le Noir, La Chartreuse de Parme, Armance. Histoire de la Peinture en Italie... fin all’autobiografia Vie de Henry Brulard écrite par lui même... Henri aveva anche un «gemello siamese» con il quale fornicava tradendo Stendhal. Si chiamava Dominique – Dominique, come 1’amatissimo Domenico Cimarosa – il «doppio» prediletto con cui firmava foreste di ossessivi appunti vergati sui margini dei libri, i celebrati Marginalia, croce e delizia di ostinati esegeti.
Secondo l’esortazione alla sorella, a proposito delle lettere di Voltaire e Rousseau, si potrà avvicinarci un poco di più alla personalità di Beyle, alla ragione del suo giocare ai quattro cantoni con la vita, con la pubblicazione della corrispondenza «completa» che, sotto il titolo Il laboratorio di sé. Corrispondenza (1800-1806), vol. I (Edizioni Aragno, pp. 756, euro 35. A cura di Vito Sorbello) è la versione italiana dalla Correspondance générale, edita chez Champion in sei volumi tra il 1997 e il 1999.
Non v’ha dubbio che la decrittazione del profluvio delle lettere di Beyle potrebbe essere uno dei possibili itinerari per conoscere il suo modo di essere se quei manoscritti non avessero avuto una sorte dissipata. Intanto attraverso una normale seminagione avventizia, le lettere finite nelle mani dei destinatari e poi di chissà chi. E in più perché, dopo il fatale 22 marzo 1842, giorno in cui, per strada, in boulevard de Capucines a Parigi, Beyle fu schiantato da un colpo apoplettico, le carte subirono una curiosa sorte: finirono in custodia dell’ineffabile cousin Romain Colomb che si autorizzò a diventarne il «gestore». In realtà fu il primo a rendere omaggio al cugino pubblicando il suo punto di vista su di lui in Notice sur la vie et les ouvrages de H. Beyle. Colomb toccò tuttavia il vertice quando, con una eccentrica quanto arbitraria autoidentificazione, si dedicò a renderne pubblica la corrispondenza, dopo aver ramazzato da vari corrispondenti le lettere. Scegliendo ovviamente lui quelle che riteneva doversi rendere note. Scartando le non adeguate. Un montaggio di parte, degno del più intrigante inverosimile pasticcione. Infilando nella corrispondenza frammenti e appunti tratti della quantità di manoscritti lasciati da Beyle, trasformandoli in missive, indicando se medesimo quale destinatario. Sono le «celebrate» lettere a mon cousin Romain Colomb. E di più, allorché in parti lo stile non doveva sembrargli adeguato, compiendo, con arbitrari interventi, una vera e propria manipolazione dei testi. Quando nel 1855 il risultato delle «belle pensate», a cura ovviamente di Romain Colomb, con la benedizione di un testo introduttivo di Prosper Merimée, uscì come Correspondence inédite de Stendhal, suscitò comunque grande curiosità. Anche se in molti casi si trattava di era una vera e propria falsificazione degli originali. D’altra parte era la prima volta che si poteva curiosare nel privato dell’autore del Rouge et le Noir e non erano pochi coloro i quali volevano sapere qualcosa di più sull’uomo che aveva aggiunto al mondo personaggi seducenti pur tra grovigli di finzioni e inganni. Tipi ad un tempo capaci di affascinare e sgomentare, tali allo sciagurato e inquietante campione della dissimulazione di nome Julien Sorel... La pudica, delicata e passionale madame de Rênal, l’ammaliante Sanseverina, il torpido e imprevedibile Fabrizio Del Dongo, l’infervorato giustizialista Ferrante Palla...
Le lettere pubblicate dal cugino Colomb non erano la verìtable radiografia di sé che il loro autore potesse svelare. Semmai un’invenzione di lato. L’opera dell’impiastrone ebbe tuttavia un merito. Suscitò un vero e proprio interesse nei discendenti di antichi corrispondenti e soprattutto dei collezionisti di autografi stendhaliani. Le lettere saltarono fuori a centinaia, scovate da nipoti e pronipoti il cui avo era stato in rapporti epistolari con Stendhal. Ne affiorarono, dimenticate da anni, dal fondo dei cassetti. Vi fu chi si incaricò d’andare a «raschiare» in archivi consolari con i quali Henri Beyle era stato in rapporti ufficiali. Non si dimenticò ch’egli aveva ricoperto, annoiato a morte, l’incarico di Console di Francia a Civitavecchia, nell’allora Stato della Chiesa. Dalle carte emersero i vivaci dissidi avuti con l’Ambasciatore di Francia a Roma, con il ministro Thiers a Parigi e soprattutto si rese nota un’angolosa corrispondenza con il suo «segretario consolare», Lysimaque Tavernier. Con questo ambiguo greco Beyle aveva un rapporto che definire astioso è un ossequio. Venato di perfidie, spiate, bizze maliziose.
Dopo la «caccia» alle lettere, dall’editore Charles Bosse fu predisposto un nuovo compendio, assemblato tra polemiche e ritrose gelosie, soprattutto da parte di collezionisti che, con ogni mezzo, avevano allungato le mani sugli autografi. Una autentica disputa si accese con un ricco avvocato parigino, fervente stendhaliano, che non voleva mettere a disposizione, neppure quasi mostrare, le 216 lettere di Beyle di sua proprietà, di cui 182 inedite. Furono necessarie estenuanti trattative per convincere Paul-Arthur Cheramy, questo il nome del possessivo e furibondo geloso. Per «contribuire» all’edizione pretese il proprio nome sul frontespizio. Uscì così, nel 1908, Correspondence de Stendhal publiée par A. Paupe e P.-A. Cheramy sur les originaux de diverses collections. Dopo di che, nel crescente interesse per lo scrittore dagli scarsi lettori avuti in vita, che desolato e speranzoso aveva preconizzato per sé «Mi leggeranno a metà del Novecento», altre lettere apparvero su riviste, rese note in saggi, comunicate in convegni, in una crescente dedizione ai sempre più rari preziosi chirografi. Si rese necessario allora, con vaghe pretese di completezza, un altro zibaldone di lettere: dieci volumi, pubblicato tra il 1933 e il 1934 dalle celebrate edizioni Le Divan, a cura di Henri Martineau, uno stendhaliano d’eccezione. Opera cui, nei decenni, seguirono nuove edizioni (sempre con aggiunte di lettere inedite ritrovate) curate da vivaci ed eccellenti amateur facenti parte di quella indefessa massoneria che è l’accolita degli amis des Stendhal. Per poi, con progressivi svelamenti, scoperte, ostensione di sorprendenti e non conosciute missive dell’ineffabile grafomane, approdare all’edizione Champion, in sei cospicui tomi, illusoriamente completa, di cui sta uscendo la traduzione in italiano.
Neppure questa summa è tuttavia riuscita a far «conoscere perfettamente» e «completamente», il «signor me stesso H.B.». Da una collezione privata è saltata fuori un’altra lettera, ovviamente inedita, inoltrata da Livorno il 9 ottobre 1841 a Vincenzo Salvagnoli, avvocato fiorentino «n. 412, acanto [sic] all’Arco di S. Pietro mercatino» nella quale, «lo scrivente», firmando Beyle, prega l’amico Salvagnoli di inviare a «suo nome», cioè di Beyle, i due volumi della Histoire de la Peinture en Italie a monsieur Caraffa quale «souvenir d’amitié de Stendhal». Ancora una volta l’altro di se stesso.
Per non perdere l’abitudine.
Giuseppe Marcenaro