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 2016  maggio 31 Martedì calendario

DELITTI USCITI SUL FOGLIO DEI FOGLI DEL 30 MAGGIO 2016


Liliana Armellini, 73 anni. Di Este, molto nota in città perché aveva lavorato al bar dell’ospedale, qualche difficoltà a camminare, viveva in una di casa su tre piani con la sorella Vittorina, 76 anni, inferma e malata di Alzheimer. Le due conducevano una vita assai modesta, unico sfizio la pizza il sabato sera. L’altra mattina la badante, dopo aver suonato a lungo e invano il campanello, chiamò i vigili del fuoco che sfondando la porta trovarono Liliana cadavere nel corridoio, a pancia in giù, le caviglie legate con nastro isolante, un rivolo di sangue dalla bocca. Vittorina riferì di non aver sentito nessun rumore. Dalla casa risultò mancare solo una chiave e un portafogli con pochi spiccioli.
Notte di lunedì 23 maggio in via Pilastro 71 a Este, Padova.

Claudie Daìnielle Chatelin, 73 anni. Svizzera ma da anni residente a Perugia, molto nota nel suo quartiere, da quando la figlia era morta per una malattia viveva con un cane e cinque gatti. Ogni tanto andava a farle compagnia Renata Kette, 53 anni, originaria dell’Albania. L’altra mattina chissà perché le due presero a litigare e la Kette riempì la Chatelin di calci e pugni finché non smise di respirare.
Mattina di venerdì 27 maggio al civico 50 di via Oberdan, nel centro di Perugia.

Matteo Arion Frassine, 4 mesi. Dolce e paffuto, figlio di Cecilia Frassine, 22 anni, italo-austriaca, studentessa universitaria, ragazza madre, biondina, magra, piercing sul labbro superiore, una passione per il rap. Da martedì 17 maggio mamma, pupo e nonna erano in vacanza in Italia nel camping Amalasunta, a pochi passi dal lago di Bolsena, nel comune di Montefiascone. Sabato sera dopo cena Matteo prese a urlare e non la smetteva più, Cecilia disse alla madre «lo porto fuori e cerco di farlo dormire». Uscì dal bungalow, camminò per circa un chilometro, si fermò, soffocò il bambino tenendogli premuto sul viso un giaccone, poi legò una fascia porta bebè a una quercia, l’altro capo se lo girò attorno al collo, e si lasciò penzolare.
Sera di sabato 21 maggio su una collinetta nel comune di Montefiascone, Viterbo.

Nino Sorrentino, 76 anni. Storico proprietario dell’enoteca Vino e Olio in via Premuda, quartiere Trionfale, a Roma, «riservato, gran lavoratore, benvoluto da tutti». L’altra notte nel suo locale entrò già ubriaco Joelson Bernasconi, 33 anni, origini brasiliane, tassista, adottato quando aveva cinque anni da una coppia di romani del Trionfale, entrambi dipendenti del ministero delle Finanze, dedito alla bottiglia da quando due anni fa gli era morto il padre. Il Sorrentino, che l’aveva visto crescere, si rifiutò di dargli altro alcol, allora lui afferrata una bottiglia dal bancone con quella lo colpì più volte al viso e sul cranio e poi con un coccio gli segò la gola. In fin di vita l’uomo si trascinò fino al marciapiedi e ai vicini che erano corsi lì perché l’avevano sentito urlare riuscì a bisbigliare il nome dell’assassino prima di accasciarsi in una pozza di sangue (morto in ospedale dopo ore d’agonia). Il Bernasconi, trovato ancora in zona dai carabinieri, tentò di fuggire e di investirli con la sua auto bianca, ma fu bloccato. Poi prese a urlare «ma che volete? lasciatemi in pace» fino a che, alla notizia della morte del Sorrentino, s’ammutolì.
Notte di martedì 24 maggio nell’enoteca Vino e Olio in via Premuda, Roma.

SUICIDI

Giulio Delfini, 74 anni. Medico come il fratello Paolo, 75 anni. I due, che abitavano nel loro antico palazzo nel centro storico di Modena, vivevano in simbiosi e, escluso il lavoro, quasi non avevano contatti col resto del mondo. Lunedì mattina il Delfini Paolo fu stroncato da un infarto. Appena lo vide morto, il fratello scrisse una lettera per far sapere che il loro immenso patrimonio (tanti immobili di lusso e quote di cliniche private) doveva andare alla Curia di Modena. Subito dopo si puntò una pistola alla tempia e fece fuoco. I cadaveri, scoperti dalla donna delle pulizie.
Mattina di lunedì 23 maggio a Palazzo Coccapani, costruito tra Sei e Settecento, stanze ampie e sontuose, a Modena.

Un ragazzo di 23 anni. Di Pojana Maggiore (Vicenza), sposato, una figlia di pochi mesi. Martedì mattina salutò la moglie che andava al lavoro, accompagnò la figlia dai nonni materni, poi andò in ferramenta e comprò un gancio e una corda. Rientrato a casa si chiuse a chiave, bloccò la serratura, scrisse una lettera alla consorte, si sedette sul divano del salotto e con uno smartphone registrò tre video in cui elencava i nomi di coloro che, secondo lui, gli avevano fatto del male costringendolo a farla finita. Poi alla moglie mandò pure un sms, per dirle di entrare in casa senza la figlia. Subito dopo, col gancio e la corda comprati poco prima, si impiccò. A trovarlo che penzolava fu la consorte, corsa nell’appartamento insieme alla zia del ragazzo: le due, per riuscire a entrare, dovettero sfondare la porta con l’aiuto dei vicini.
Mattina di martedì 24 maggio a Pojana Maggiore (Vicenza).